Carlo Piaggia è un nome che si sente echeggiare spesso nel territorio di Lucca e provincia. A lui sono state dedicate strade, scuole, un’intera ala del museo Athena di Capannori e un concorso letterario: il Premio letterario nazionale “Carlo Piaggia”. Quanti però conoscono effettivamente chi fosse il Piaggia? I più informati risponderanno che è stato un famoso esploratore dell’Africa nera, una professione che subito genera stupore e rimanda alle figure dei grandi avventurieri, sia della storia che della finzione letteraria e filmica. Eppure questa etichetta sta tremendamente stretta a Carlo Piaggia.
Egli infatti fu una figura fuori dagli schemi, caratterizzata da una sensibilità e da un’umanità non figlie del suo tempo, bensì molto più vicine a noi contemporanei. Nel centoquarantesimo anno dalla sua scomparsa ripercorriamo brevemente la sua vita per capire cosa lo ha reso un personaggio tanto straordinario.
Carlo Piaggia nacque da una famiglia di umili contadini a Badia di Cantignano, una piccola frazione del comune di Capannori, il 4 gennaio del 1827. Fin dalla tenera età lavorò al fianco dei genitori e dei sei fratelli, coltivando la terra e aiutando al mulino di famiglia ma sviluppando al contempo una forte passione per lo studio e la lettura, aiutato dal parroco del paese. A ventidue anni però la sua vita fu tremendamente sconvolta a causa di un’epidemia di colera che decimò la sua famiglia, portando alla scomparsa della madre, tre fratelli e due sorelle. Sconvolto dal dolore e dai gravi problemi finanziari, lasciò quello che rimaneva della sua famiglia nel 1851, veleggiando verso l’Africa in cerca di fortuna.
Nei suoi primi anni africani Piaggia visse tra Tunisi ed Alessandria d’Egitto, svolgendo le professioni più variegate come il carpentiere, l’ombrellaio, l’armaiolo e il cacciatore, dando dimostrazione di grande intelligenza pratica e di un acume fuori dal comune. Nel 1856 partì da Karthoum (Sudan) risalendo il corso del Nilo al seguito di alcuni mercanti e cacciatori di piume di Marabù. Fu durante quella prima spedizione che capì che viaggiare era lo scopo della sua vita. Negli anni che seguirono Carlo Piaggia esplorò in solitaria i territori dell’Eritrea e dell’ Etiopia, tracciò mappe dei territori inesplorati attorno alle foci del Nilo Bianco e del Nilo Azzurro e si unì spesso a spedizioni di altri grandi esploratori italiani come Orazio Antinori e Romolo Gessi, iniziando a lavorare anche per la Società Geografica Italiana dal 1871. Tornò pochissime volte in Italia nonostante il forte legame con Lucca, preferendo di gran lunga ripartire il prima possibile verso la sua adorata Africa.
La sua più grande impresa però fu l’avventura nel Sudan Meridionale, a cavallo tra il 1863 e il 1865. Addentratosi infatti in un territorio completamente inesplorato, entrò in contatto e visse in simbiosi con la tribù conosciuta come Niam- Niam (oggi Sandè o Asande), un popolo di cacciatori e guerrieri formidabili, caratterizzati anche da abitudini antropofaghe (da lì il nome dispregiativo e onomatopeico di “Gnam Gnam”). Con l’animo dell’antropologo e dello studioso Piaggia, nonostante i suoi scarsi mezzi, tenne un diario (pubblicato per la prima volta solo nel 1941) in cui annotava usi, costumi e tradizioni di queste genti, ai quali lui si rivolgeva come suoi pari a dispetto della maggior parte dei suoi colleghi e coetanei che disprezzavano come bestie i “selvaggi”. Piaggia invece pur non possedendo spesso la stessa cultura e istruzione dei suoi contemporanei, vedeva quelle popolazioni come “altri figli di Dio”, cresciuti con un’altra cultura ma non per questo strani o mostruosi, tanto che durante tutta la sua carriera si batté ferocemente anche contro la tratta degli schiavi rischiando più volte sia la sua reputazione, sia la sua stessa vita contro “quell’abominio verso l’umanità intera”.
Nel 1882, seppur molto provato nel fisico a seguito di una precedente spedizione fallimentare per il salvataggio di due esploratori della Società geografica italiana, decise di intraprendere lo stesso un nuovo viaggio per andare in aiuto del suo amico , l’esploratore olandese Shuver. Quell’altruismo che sempre lo aveva contraddistinto, purtroppo in quella occasione gli fu fatale e dopo dieci giorni dalla sua partenza, giunto nei pressi di Karkog (Sudan Meridionale) morì per gli stenti il 7 gennaio 1882. Con lui non aveva niente se non la sua medaglia al valore della Società geografica italiana, i suoi attrezzi del mestiere e una serie di lettere per il caro Shuver, al quale diceva di non rattristarsi per la sua dipartita ma di continuare con forza e determinazione nella sua esplorazione. Finiva con l’ennesimo atto di bontà verso gli altri la storia di quest’uomo che dalla piccola Badia di Cantignano aveva fatto sua l’Africa, ma non possedendola, bensì interiorizzandola e capendola. Fama e grandezza non gli erano mai interessati, solo il desiderio di conoscenza verso la natura e verso l’altro.
Parte della sua eredità relativa alle sue spedizioni si trova a Lucca, presso il Gabinetto di Storia Naturale del Liceo Classico Niccolò Machiavelli, dove è conservata una collezione composta da oltre settanta specie di uccelli e una coppia di grandi felini. Gran parte di questi animali venne catturata presso Famaka, nell’attuale Sudan Meridionale. Presso il museo Athena di Capannori invece è possibile ammirare molti oggetti appartenuti alle tribù visitate da Piaggia e tra questi vi sono monili, strumenti musicali, armi, ninnoli, oggetti sacri, feticci, ecc…oltre che mappe e schemi che ripercorrono l’itinerario dei viaggi del Piaggia nel corso delle sue peregrinazioni in Africa. A Viareggio gli è stato intitolato l’istituto tecnico commerciale “Carlo Piaggia”.
In questi tempi incerti e nebulosi però la più grande eredità che ci ha potuto lasciare quest’uomo è costituita dall’amore per la scoperta, non solo del mondo che ci circonda ma anche umana, guidata sempre dal rispetto e dalla comprensione verso il prossimo, chiunque esso sia.
“Volevo conoscere un poco anch’io il nostro mondo e vedere specialmente ciò che altri non hanno visto.” Carlo Piaggia