Fucilato per ordine del Re, il 27 agosto 1870 a Milano. Poco meno di un mese dopo si liberava Roma.
21 anni, veniva da Gioviano, una piccola frazione del Comune di Borgo a Mozzano (LU). Una vita di castagne e stenti. Lontane discendenze fornacine. Aveva studiato in Santa Maria Nera a Lucca, presso i Chierici Regolari della Madre di Dio. Poi la leva militare e la nomina a Caporale del Regio Esercito nel 42° Reggimento Fanteria, in Pavia. Un viso franco e leale, un sorriso sempre pronto.
I moti repubblicani si fanno sentire a Pavia, a Piacenza, a Brisighella (Faenza), a Bologna, altrove si è tentata l’insurrezione a mano armata.
La mente direttiva era una sola. Mazzini.
Il Caporale Barsanti, con in testa tante idee repubblicane, mentre era di servizio a Reggio Calabria era stato affiliato al’“Alleanza Repubblicana Universale”, una confraternita mazziniana, che reclutava nei “gradi bassi” della società; successivamente insieme con un altro lucchese, tale Luigi Cecchini da Molazzana anche lui di forti idee repubblicane, organizza e promuove il moto insurrezionale del 24 marzo 1870. Insieme a pochi altri commilitoni, di mattina presto, forti della conoscenza della infrastruttura militare, attaccano la caserma S. Francesco. Cercano di convincere i commilitoni a unirsi alla rivolta. C’è un conflitto a fuoco. Feriscono a morte un ufficiale, il Sottotenente Vegezzi, che comanda la compagnia; pare che il feritore sia il sergente Luigi Cecchini; insieme a lui sono feriti tre o quattro soldati. Un sergente venne trovato più tardi cadavere. Insomma una cosa seria, troppo, per passare come una semplice protesta.
Anche nelle altre caserme sorgono rivolte e occupazioni; si teme una sommossa globale.
La repressione è drastica. I rivoltosi vengono catturati, tutti, prima o dopo, grazie a delazioni e tradimenti. Il Cecchini però, approfittando di una occasione fortunata, riesce a fuggire e si da alla macchia. Quelli di Molazzana son lesti.
Lo aiuta la rete mazziniana. Si salva.
Pietro Barsanti invece viene catturato e gli trovano due revolvers in tasca. Lui non riesce a fuggire. A vent’anni si è giovani e forti, ma talvolta si incontra la morte.
Al processo il Barsanti è difeso da tre avvocati di grido della Camera di Firenze: Mancini, Pier Ambrogio Curti e Pierantoni.
L’eloquenza dei difensori non serve però a nulla. Un tribunale militare non ha cuore che per il codice militare. Viene inesorabilmente condannato alla fucilazione; alla schiena. Sentenza infamante.
La condanna viene emessa 2 mesi dopo l’arresto, e la sentenza venne eseguita dopo altri tre mesi, alla presenza di tutte le rappresentanze di tutte le armi dell’esercito.
Il Corriere di Milano con un articolo del Dina approvava la sentenza; anche il Pungolo di Carlo Levi, e così le altre testate l’Italia Militare, la Perseveranza, il Rinnovamento, ecc.
Ma nei tre mesi successivi la sentenza di morte nasce spontaneo nel paese un sentimento popolare intenso, fortissimo, sodale, teso a ottenere la grazia per il Caporale Barsanti.
Alla testa di questo movimento, inorridita dalla pesantezza della condanna si pone una donna, una mamma, una nobildonna; la Marchesa Anna Pallavicino Trivulzio. Il marito è il Marchese Giorgio Guido Pallavicino Trivulzio che si è sciroppato una ventina di anni di carcere duro allo Spielberg, perché aveva partecipato nel 1821 ai moti insurrezionali contro gli austriaci.
Era gente che ci credeva.
La marchesa in breve tempo raccoglie oltre 40.000 firme di donne per chiedere la grazia. I giornali di tendenza repubblicana replicano questa petizione, e raccolgono 100.000 firme di uomini! Anche Garibaldi, impossibilitato materialmente, fa apporre la sua firma da un amico! Inutilmente.
I giornali di regime tengono duro, non si fanno impietosire. Solo alcune testate, lentamente, preso atto del crescente sentimento popolare, e dell’opera morale incessante della Pallavicino che li aveva supplicati, cominciano ad ammorbidirsi, ma senza effetto…
La povera donna non si dava un attimo di tregua. Aveva bussato all’uscio del re. Non era stata ricevuta. Suo marito aveva il “Cordone dell’Annunziata”, la massima onoreficienza che il Re conferiva direttamente per eccezionali servigi alla monarchia: tra gli altri privilegi, offriva il diritto di dare del “TU” al monarca, parificandolo a suo cugino! La moglie era dunque “cugina” di Sua Maestà. Avrebbe potuto essere ricevuta da lui senza essere annunciata. Niente da fare.
La Marchesa Anna Pallavicino disperata, chiese udienza, supplicò, scrisse lettere, non ricevendo risposta, riscrisse suppliche. Silenzio. Assieme dall’avvocato Mancini che aveva difeso il Barsanti, si presentarono al Primo Ministro Giovanni Lanza il 27 agosto del 1870 alle 2 del pomeriggio. La fucilazione, segreta era stata eseguita quello stesso giorno, al mattino. La nobildonna svenne alla notizia. Tutto era stato inutile.
Il Marchese Pallavicino restituì sdegnato il Collare dell’Annunziata! Un gesto ”pesantissimo” per quel tempo. Era un insulto diretto al Re!
Il Caporale Pietro Barsanti da Gioviano (LU) fu avvisato in cella mezz’ora prima; rifiutò i conforti religiosi e non rinnegò la sua indomita fede repubblicana. Con un sigaro in bocca, che in certi momenti difficili aiuta, si tolse il cappotto per non farlo sciupare delle pallottole, si legò la benda sul volto da solo, e calmo attese l’ordine di “Fuoco”!
Eran gente così, duri e convinti.
Seduto e legato ad una sedia, riceveva di primo mattino, 8 palle di fucile, al Castello Sforzesco di Milano. E moriva col coraggio di un eroe
Pietro Barsanti fu sepolto nel cimitero del Gentilino, fuori Porta Vittoria, cippo numero 19.
In Sua memoria gli amici fecero coniare una medaglia commemorativa. Mazzini, alla notizia, mentre era recluso nel carcere di Gaeta dopo uno dei suoi innumerevoli tentativi di insurrezione falliti, elogiò il giovane Barsanti invitando a non dimenticarlo.
Nonostante il “duro” Primo Ministro Lanza facesse tenere alla stampa un profilo “basso” riguardo la fucilazione del Barsanti, il “Gazzettino rosa” di Achille Bizzoni e Felice Cavallotti uscì con feroci invettive contro la monarchia, e lo stesso Cavallotti compose un’ode in onore del giustiziato.
Poi il tempo passa… ma non la buona Memoria.
Il 2 giugno 2003, grazie all’opera indefessa iniziata negli anni precedenti dai sindaci del Borgo e conclusa con il sindaco Gabriele Brunini, i resti mortali di Pietro Barsanti sono stati traslati dal Cimitero Monumentale di Milano presso il piccolo cimitero di Gioviano.
Inizialmente era stata ventilata l’idea di metterlo insieme a Tito Strocchi, altro patriota lucchese. Ma una decisione di cuore lo ha riportato alla sua terra natale.
Il Caporale Pietro Barsanti da Gioviano (LU), è considerato il primo martire repubblicano italiano.
Onori al Caporale Barsanti Pietro.
Viva l’Italia Repubblicana!
Vittorio Lino Biondi
Fonti:
Umberto SERENI. “ Per l’ Italia giusta. Uomini, vicende e memoria del Risorgimento nella Valle del Serchio” MPF.
Giovanni Baldi, “Storia della rivoluzione italiana dalla fucilazione del re Giovacchino Murat ai moti del 31 e 48: dalle memorande battaglie del 59 fino alla presa di Roma”, Nerbini, 1908
Giuseppe Galzerano, “Giovanni Passannante. La vita, l’attentato, il processo, la condanna a morte, la grazia ‘regale’ e gli anni di galera del cuoco lucano che nel 1878 ruppe l’incantesimo monarchico”, Galzerano, 2004.
Si ringrazia per l’interessante articolo. Fa sempre molto piacere conoscere la storia di uomini di questo livello che, per coerenza rispetto alle proprie idee, hanno saputo affrontato la morte con dignità ed orgoglio.
Certi valori oggi non sono più di moda a quanto pare , soprattutto nello scenario politico attuale dove….Coerenza vo cercando, ch’è sì cara..
Ringrazio il Colonnello Biondi che ogni volta ci fa conoscere personaggi che hanno fatto la storia.
grazie per il prezioso articolo – da divulgare
grazie per il prezioso articolo – certamente da divulgare – almeno per la Storia cittadina