Questo articolo, l’ultimo di Luglio, riguarda una microstoria della Grande Storia.
Dopo questo pezzo ci vuole un mese “sabbatico”, della serie: “Agosto Schermo mio non ti conosco”, durante il quale preparerò un importante articolo di storia locale, richiesto a gran voce. Appuntamento quindi a settembre.
Torniamo a noi. Con la nostra microstoria.
Le guerre non si chiudono con un interruttore. Non si spengono come la luce in salotto. C’è un tempo “tecnico” di esaurimento, di smorzamento, nel quale la ripresa della vita ordinaria è più o meno lunga e difficile.
E pericolosa. Tra i pericoli più importanti dopo una guerra, vi è la permanenza degli ordigni inesplosi sul terreno. Il secondo conflitto ha seminato sui vari territori di guerra milioni di mine e altri ammennicoli bellici vari. Bombe d’aereo inesplose, proietti di artiglieria, bombe a mano, spolette, cartucciame, armi, veicoli ecc. Tutto questo materiale bellico non esploso, ma comunque funzionante rimane sul terreno. Ed è pericoloso, pericolosissimo!
Tanto per dare una idea dimensionale del problema in Italia negli anni dal 1945 al ’48 ad opera della B.C.M (Bonifica Campi Minati) l’ufficio del Genio Militare che si occupava della bonifica bellica, sono state rimosse in Italia 12 milioni di mine, fatti brillare 15 milioni di ordigni esplosivi e recuperati 100 milioni, 300.000 armi recuperate, 5.000 artiglierie, 4.500 veicoli e distrutti 20.000 q.li. di esplosivo.
Numeri impressionanti, frutto dello sforzo militare di entrambe le parti combattenti. E il costo umano di questa immane operazione di pulizia e di bonifica è stato quantificato in 300 caduti e un migliaio di feriti/mutilati. Con l’esplosivo non si scherza e il primo errore è spesso anche l’unico e ultimo.
L’organizzazione di bonifica era territoriale; già dal il 1944, mano a mano che la liberazione del paese progrediva verso nord, questo problema veniva affrontato; la rinata organizzazione militare italiana procedeva al rastrellamento e alla bonifica degli ordigni con varie compagnie di “rastrellatori”; successivamente il servizio di bonifica venne riorganizzato per zone. In ogni regione “liberata” venne istituita una scuola di bonifica per abilitare gli operatori.
Molte operazioni di bonifica si svolsero nella pianeggiante zona di Arena Metato e Migliarino, pesantemente minata per rallentare l’avanzata della 5° Armata nel settore tirrenico; successivamente una attività molto forte fu svolta verso Pietrasanta, anch’essa pesantemente minata. Anche la Garfagnana fu interessata dalle operazioni di bonifica; queste operazioni richiesero moltissimo tempo. L’opera di bonifica era lenta. Le ultime mine in Lama, sopra l’attuale Ciocco a Barga, ad esempio, sono state rimosse e fatte brillare agli inizi degli anni ’70.
Ancora oggi, quasi giornalmente, i Carabinieri inviano segnalazioni di rinvenimenti di ordigni inesplosi alle Prefetture, per il successivo intervento di bonifica da parte dell’Esercito.
La guerra aveva infestato il territorio, come si legge dai ritagli dei giornali del tempo.
Anche la scuola partecipò in maniera “didattica” a questa campagna di sensibilizzazione sul pericolo delle mine e degli ordigni.
In ogni edificio erano appesi dei cartelli esplicativi, a colori vivaci, che mostravano scene di mutilazione per sensibilizzare l’attenzione dei bambini. Addirittura sui quaderni erano riportati gli avvisi e gli ammonimenti!
Ancora negli anni ’70 a Bagni di Lucca, ad esempio, dove ho frequentato la Prima Elementare alla Scuola Ferretti, venivano gli Artificieri di Firenze ogni sei mesi a mostrare i vari ordigni, raccomandarsi di non toccarli e di avvisare i Carabinieri.
Inevitabilmente qualche bambino, mentre l’artificiere mostrava ad esempio una bomba a mano, alzava la mano e se ne usciva con: “Ce ne ho una anche io uguale in capanna!” Questo per spiegare la copiosità di materiale bellico inesploso, ancora diffuso dopo tanti anni dalla fine della guerra.
In Emilia invece, le truppe britanniche di Sua Maestà, affrontarono pragmaticamente il grande problema della bonifica della Pianura Padana, necessaria per le coltivazioni di grano e frumento, affidando direttamente ai civili (in genere ex militari) il compito di “rastrellare” le mine dai campi coltivati; questi uomini, inquadrati nella organizzazione militare, dopo aver frequentato un breve corso, venivano mandati ad operare per campi di lavoro, con una progressione in maniera da recuperare terreno agricolo per le successive coltivazioni. Vennero chiamati per questo “Men of Corn”, gli uomini del grano.
Ogni regione interessata aveva dei Nuclei e dei Sottonuclei di Bonifica.
A Lucca esisteva il XV Nucleo Bonifica Mine. Era in Via delle
Trombe, grossomodo dove adesso c’è “l’Agorà”.
Non a caso l’unica memoria dedicata a queste persone, una targa in marmo con i nomi dei bonificatori lucchesi caduti è situata nella chiesa di Santa Maria Bianca (Forisportam), che è esattamente nello stesso quartiere dove era dislocato il Nucleo Bonifica.
Questo pezzo è dedicato a tutti i colleghi artificieri d’Italia.
Vittorio Lino Biondi.
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Anche nel giardino della mia casa a Lucca , nel 1984, durante i lavori di ristrutturazione, fu trovata una bomba aerea inglese inesplosa.E’ andato tutto bene, rimossa senza problemi; tuttavia, una gran brutta sorpresa.
Buone vacance , a settembre con altri interessanti articoli.
Buonasera Generale
Molto interessante il Suo articolo. Sto svolgendo una ricerca su ciò che è avvenuto nel circondario riminese dopo la guerra. Le chiedo una informazione. Per sapere cosa è stato fatto dagli sminatori nel mio territorio, dove hanno trovato le mine, quante ne hanno disinnescate, chi ha operato la bonifica, etc. a quale ufficio mi dovrei rivolgere? Sarà ancora conservata quella documentazione?
Cordiali saluti
Buonasera , può contattarmi in pvt su msg. O per mail. Ps: non sono Generale .