Domani la Repubblica festeggia il suo compleanno. Infatti la sua data di nascita è fissata al 2 giugno 1946, giorno in cui si svolse il referendum che mise fine alla Monarchia.
Chiamati ad esprimersi con il voto, gli italiani, uomini e per la prima volta anche donne, si riversarono in gran massa alle urne. Le cronache del tempo ci hanno consegnato le immagini di lunghe code che si formarono all’ingresso dei seggi fin dalle prime ore di quella domenica. Segno tangibile di una grande volontà di partecipazione civica che raffrontata alla realtà odierna sollecita amare considerazioni. Al conteggio finale risultò che i votanti per il Referendum erano stati quasi 25 milioni che significavano una percentuale che sfiorava il 90 per cento degli aventi diritto.
Il risultato del Referendum fu netto: alla Repubblica andarono 12.718.641 voti, mentre la Monarchia si fermò a 10.718. 502. In percentuale corrispondevano al 54,26 del voto repubblicano contro al 45,74 di quello monarchico.
La Repubblica vinse dunque con uno scarto consistente, ma non schiacciante. Lo stesso esito del referendum, rimase incerto ed ad un certo momento, dopo l’arrivo a Roma dei responsi delle regioni meridionali sembrò profilarsi il successo della Monarchia. Scongiurato poi dai voti dell’Italia Centrale e Settentrionale. Ma l’incertezza fu così tanta e i contrasti fra le parti così aspri che da parte monarchica si tentò di invalidare il voto e si parlò subito di brogli e di manipolazioni che, in verità, non sono mai stati provati.
Insomma, quella che decise la nascita della Repubblica fu, per dirla in termini sportivi, una “vittoria di misura”: eppure si sbaglierebbe di grosso a non attribuire a quel risultato un valore straordinario che attestava la grande maturità del popolo italiano che intendeva condurre il paese con leggi, principi e criteri che raccoglievano l’eredità positiva della Resistenza.
Di fatto il 2 giugno era figlio diretto del 25 aprile: la Monarchia pagava per la sua colpa maggiore, la complice collusione con il regime fascista che aveva portato l’Italia all’infamia delle leggi razziali, alla soppressione delle libertà statutarie, al disastro della guerra ed alla rovina della nazione.
Chi in quel 2 giugno votò per la Repubblica intendeva chiudere con quel passato di sciagure e di ignominia ed aspirava ad un nuovo corso della vicenda italiana che si svolgesse ricostruendo l’unità morale e civile degli italiani sperimentando valori e comportamenti di quella democrazia che il fascismo aveva strenuamente combattuto per venti anni.
La Carta Costituzionale, che ha consentito all’Italia di vivere il suo più lungo periodo di pace e di progresso, tradusse in parole chiare e semplici questa aspirazione: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale.”
Guidata e sorretta da questa ispirazione la Repubblica ha saputo sanare lacerazioni che parevano insanabili ed è stata capace di recuperare anche quella vasta parte di italiani che il 2 giugno aveva optato per la Monarchia. La repubblica è effettivamente la patria di tutti gli italiani. Lo comprendiamo bene assistendo alle scene che accolgono il presidente Mattarella ogni qualvolta si incontra con la gente delle varie parti d’Italia che lo riconosce, così come aveva fatto con Pertini e Ciampi, come la guida morale dell’unità nazionale.
Sta sicuramente qui, in questa concordia nazionale, il più vero merito della Repubblica che, nata da una contrapposizione frontale – i voti del Referendum la rivelavano con nettezza – ha fatto dell’unità e della concordia nazionale un valore assoluto.
Impresa di straordinaria portata e tutt’altro che scontata in quell’Italia divisa in due: da una parte la Repubblica, il progresso, la democrazia civica, dall’altra la Monarchia, la tradizione, la passività. Una frattura che tagliava in due anche la geografia italiana. I voti del referendum l’avevano evidenziata. La repubblica prevalse al Nord e nel Centro con una percentuale di circa il 64 per cento, ma nel Sud e nelle isole il risultato si rovesciò: nel Mezzogiorno continentale la monarchia raccolse il 67,4 dei voti ed andò oltre il 60 tanto in Sicilia che in Sardegna.
La Toscana fu una delle regioni più repubblicane con 1,281°82 voti pari al 71,6 dei votanti. In tutte le province toscane, salvo Arezzo, Grosseto e Lucca la repubblica andò sopra il 70 per cento: in questa classifica all’ultimo postò si piazzò la provincia di Lucca dove la Repubblica rimase al di sotto del 60 per cento.
Se andiamo a scandagliare nelle singole porzioni del territorio provinciale scopriamo una realtà assai interessante che rivela nella provincia lucchese l’esistenza di diversità pronunciate e pesanti con aree fortemente indirizzate in un senso ed altre orientate in senso opposto: la Versilia votò massiccia per la Repubblica (Seravezza con il 74 per cento, Pietrasanta, Viareggio e Forte dei Marmi sopra al 70 per cento): Lucca fu più tiepida. con 22.850 voti (55,8 per cento) si collocò tra le città meno entusiaste del nuovo assetto istituzionale. Meglio si comportò Capannori, “il più grande comune rurale d’Italia”, che dette alla Repubblica un buon 65,8 dei suffragi. Ancor meglio fece Porcari con il 73,1 ed assai bene si comportò Barga con il 61,7.
Ma Barga segnava una sorta di confine politico: dopo quel Comune risalendo Il Serchio ci si inoltra in Garfagnana e qui per la Repubblica fu una batosta: a cominciare da Fosciandora dove la Monarchia raccolse l’84 per cento dei voti, tallonata da Villa Collemandina e Giuncugnano con l’80 per cento.
La storica marginalità di quell’area, la sua cronica disaffezione alle vicende politiche nazionali, la capillare azione dei preti che nella Repubblica vedevano la sulfurea mano della Massoneria, condizionarono pesantemente quel voto che apparentava la Garfagnana a quei comuni del profondo Sud che avevano inneggiato a “lu Re”.
Tra i lucchesi che si entusiasmarono per la vittoria della Repubblica merita di essere ricordato Alfredo Battistoni, completamente dimenticato dai custodi e dalle vestali della nostra storia: si deve al Battistoni, che si firmava Battalf, la poesia che celebrò la nascita della Repubblica. Iniziava con questi versi: “Questa data che nella Storia\ l’italiano non deve scordare\ il 2 giugno lo deve portare\ finché vive scolpito nel cuore.\ Finalmente l’Italia s’è desta \ ha saputo spezzar le catene\”
Anche se mi chiamo Umberto, che è il nome dell’ultimo re d’Italia, Buon compleanno Repubblica.
Grande articolo Professore. Chi pensava che la Garfagnana alle votazioni preferisse la Monarchia alla Repubblica.
Articolo davvero pregevole, confesso che non conoscevo la mappa dei voti al Referendum in Lucchesia e sono un po’ sorpresa per i risultati pro monarchia in Garfagnana.!