Che il parere negativo formulato dal governo non abbia chiuso la tribolata storia della porta S. Anna lo dimostra il fatto che la porta S. Anna c’è.
E la sua presenza significa che bisogna aggiungere un altro capitolo a quelli fino ad ora raccontati. Ovviamente partiamo dalle reazioni che provocò in Lucca quel documento ministeriale.
Per gli “aperturisti”, che facevano riferimento all’Amministrazione Comunale, fu come un clamoroso smacco che li costringeva a verificare di non essere onnipotenti ed a riconoscere l’autorità dello Stato in una materia delicata come la tutela dei monumenti per la quale non avevano mostrato il necessario riguardo.
Esultarono, invece, i loro avversari. La loro soddisfazione per il verdetto romano era efficacemente espressa dal marchese Lorenzo Bottini, direttore del quotidiano “L’Esare”, che dal suo giornale inviava un pubblico ringraziamento ai membri della Commissione governativa, “nomi conosciuti e grandemente stimati dalla Repubblica delle arti e delle lettere” per aver saputo con coraggio civile sventare il piano allestito dai “prepotenti ignoranti” che spadroneggiavano in Palazzo Comunale.
Per uscire dall’angolo dove si era cacciato, il fronte “aperturista” doveva inventarsi un piano B: operazione facile a dirsi ,ma assai difficile a farsi perché comportava innanzitutto l’ammissione delle responsabilità degli sbagli commessi e quindi richiedeva un cambio di passo e insieme un mutamento radicale di mentalità con l’abbandono della logica perdente della contrapposizione al governo e l’avvio di una linea duttile di mediazione e di compromesso.
Per gente abituata a fare la voce grossa ed a risolvere i problemi amministrativi a colpi di imperioso decisionismo significava la sconfessione del suo operato e del suo credo, ma se voleva salvare la possibilità di aprire una porta dalle parti di S.Anna si doveva rassegnare ad abbassare la cresta.
Conoscendo le attitudini dei personaggi chiamati a questa prova immaginiamo assai facilmente quanti amari calici furono costretti a sorbire per mandar giù il doloroso boccone rappresentato dal piano B.
Esclusa la soluzione dell’apertura di due nuovi fornici della porta S. Donato, perché senza recare miglioramenti al collegamento con la città, avrebbe compromesso l’antica porta, si riprese a guardare alla zona delle Mura dove era stata prevista la breccia per S. Anna. Dello squarcio delle Mura non se ne poteva più parlare, ma forse era il caso di prospettare un intervento di ben minore portata che, senza lacerare le Mura, era in grado di stabilire un collegamento tra la città ed il popoloso sobborgo.
Per condurre un’operazione di così raffinata strategia politica non erano certo adatti i “vili meccanici” che secondo il poeta Carducci stavano al governo della città. Affidata nelle loro mani la manovra diversiva sarebbe finita in un altro fiasco. Per scongiurare il ripetersi di un altro disastro ci volevano uomini più accorti, di caratura più elevata, capaci di navigare negli ambienti romani e dotati di ascendente presso ministri e direttori generali.
Sulla piazza di Lucca l’unico che rispondeva a questi requisiti era l’onorevole Ferdinando Martini. Deputato di lungo corso, eletto nel collegio della Valdinievole, già titolare del Ministero della Pubblica Istruzione e sempre in predicato di tornare al governo, come avrebbe fatto con Salandra nel 1913, Martini sapeva bene come muoversi nella vischiosa palude romana e altrettanto sapeva bene tirare i fili e muovere le pedine per rimettere in movimento la compromessa faccenda della porta di Lucca.
Si deve al deputato di Monsummano l’iniziativa, sicuramente concertata con gli amministratori lucchesi, che apriva la strada al dispiegarsi del piano. In sostanza Martini suggeriva al ministro di nominare una nuova Commissione alla quale affidare il riesame della questione. A conferma della rete che era stata tesa, pochi giorni prima partiva per Roma dopo una missiva del sindaco Lelio Chicca seguito poi dal deputato Matteucci che avanzavano la stessa proposta di Martini.
La mossa andava a segno, incrinando il fronte dei nemici del “buco”, dal quale si allontanavano i più tiepidi che apprezzavano la difesa dell’integrità dell’antica porta S. Donato ed erano disposti ad accettare un progetto che non lacerasse le Mura per collegare S. Anna. Di questa area faceva parte il droghiere mecenate Alfredo Caselli, uno dei più decisi nemici del “buco” che adesso si convertiva alla linea del compromesso. Con il Caselli entrava nella partita il poeta Giovanni Pascoli che dal “biondino di via Fillungo” era utilizzato come autorevole patrono delle sue cause. Lo aveva fatto quando la questione del “buco” era scoppiata e Pascoli aveva unito la sua voce alla protesta dei nemici della breccia.
Dopo la mossa dell’on.Martini la scena si ribaltava e Caselli passava a sollecitare Pascoli perché facesse pressione sul ministro Rava perorando il nuovo progetto. Dalla lettera che Pascoli gli inviava il 28 dicembre 1907 si capisce che il poeta si era mosso nella direzione auspicata ed aveva ottenuto dal ministro l’assicurazione del suo pronto interessamento.
Il piano B prendeva consistenza. La manovra degli “aperturisti” passava poi nella mani dell’on.Matteucci che agiva da raccordo fra l’Amministrazione Comunale ed il Ministero. Era l’on. Matteucci che subissava il Ministro sollecitandolo a nominare la nuova Commissione, della quale venivano chiamati a far parte l’ingegner Giorgio Ferri, capo dell’Ufficio del Genio Civile di Lucca e l’architetto Pio Piacentini. A questi due venne poi aggiunto Camillo Boito, che aveva fatto parte della commissione che aveva bocciato il primo progetto, ma in quella sede si era distinto per aver tenuto un atteggiamento assai prudente.
Così si era già arrivati al settembre del 1908. I commissari se la presero assai comoda e solo il 3 novembre furono in grado di portarsi a Lucca per esaminare dal vivo come stavano le cose. Per niente soddisfatto di questo andazzo Matteucci tornava a tempestare il ministro che si limitava a rispondergli di essere in attesa del parere della Commissione. Finiva il 1908 e iniziava il 1909, ma ancora da Roma non perveniva l’atteso responso. Segnale questo delle difficoltà incontrate nel giungere ad un giudizio condiviso.
Dall’esame dei documenti riservati, conservati all’Archivio Centrale dello Stato di Roma, si apprende che il 13 marzo 1909 la commissione presentava al ministro le bozze del suo parere ed è sufficiente prendere in mano quel documento per farsi un’idea delle difficoltà incontrate dalla Commissione che alla fine aveva sì approvato il progetto presentato dal Comune, ma l’aveva condizionato ad una serie di correttivi e di modifiche che lo ridimensionavano notevolmente.
Non con quella ottica lesse la bozza il ministro che non vedendo l’ora di placare l’on. Matteucci gli comunicava in via confidenziale che la relazione dava parere favorevole all’apertura. Ancora più impegnativa era la lettera che il ministro mandava poi all’on. Giovanni Montauti, un altro dei sostenitori dell’apertura al quale assicurava che si poteva passare alla fase dell’esecuzione del progetto inviato da Lucca.
Non la pensava così Camillo Boito che con grande dignità si dissociò dalla linea del ministro e con un telegramma gli ricordò che la “Relazione famoso buco scritta da Piacentini deve essere rivista prima della pubblicazione.”
Ma per fermare la marcia del piano B ci voleva ben altro. Forti delle lettere ministeriali gli “aperturisti” passarono subito all’attacco e sollecitarono l’Amministrazione a compiere tutti gli atti necessari per far partire i lavori del “Buco”. Sapevano che il tempo giocava a loro sfavore e temevano le reazioni della cittadinanza. Che non tardava a farsi sentire. Intorno alla metà di giugno prendevano a circolare in città due petizioni, una rivolta al prefetto e l’altra indirizzata al re, che esprimevano l’opposizione all’apertura del “buco”. Le avevano firmate ben 622 cittadini, la gran parte residenti in via san Paolino ed a Sant’Anna: un numero sufficiente per meritare la prima pagina dell’“Esare” che recava questo titolo: “ Gli antibuchisti crescono”.
Mi perdonino gli amici che mi hanno seguito fin qui e soprattutto quelli come Umberto Tenucci e Mauro Marconcini e Riccardo Carnicelli e Vittorio Biondi ai quali avevo promesso che con questa settimana avrei chiuso il racconto della tribolata storia di porta sant’Anna, ma mi vedo costretto a chiedere un supplemento di pazienza e rimandare al Bollettino numero 12. Ma vi assicuro che ne vale la pena.
Professore la perdono con enorme piacere, leggere i suoi articoli è un accrescimento culturale, non vedo l’ora che sia Giovedì prossimo!
Come al solito l’articolo è interessante ed emerge , caro Professore, una genesi lunga e complicata della Porta S.Anna. Mi pare che , dopo più di un secolo, sia cambiato davvero poco sul fronte della burocrazia e della realizzazione di opere pubbliche. Buon lavoro.
Carissimo amico Professore Sereni , sicuramente perdonato, ma la voglio ringraziare per averci raccontato un pezzo di storia delle mura di Lucca citando particolari che io non sapevo, e vorrei cogliere l’occasione per ringraziare Roberta Martinelli per il libro sulle mura.
HO CERCATO DI IMMEDESIMARMI NELLA QUESTIONE DEL BUCO,;PREMESSO CHE RIMAN ASSAI DIFFICILE ESPRIMERSI IN PROPOSITO A ISTSNZA I OLTRE CENTO ANNI,NON SAPREI COME MI SAREI COMPORTATO.FAVOREVOLE O CONTRARIO? cERTO CHE LE MENTI ILLUMINATE DEI GRANDI POETI AVREBBERO AVUTO SENZ’ALTRO IL LORO PESO,MA ANCHE LA PRATICITA’ PER LA POPOLAZIONE DEL QUARTIERE E PER L’INTRA CITTà LOAVREBBE AVUTO . OGGI CREDO CHE QUEL ” BUCO SIA STATO SALUTARE PER TUTTI.
rESTO IN VIVA ATTESA DELL’ULTIMO BOLLETTINO.