E’ bella, famosa e bionda.
Ma, nonostante avrebbe tutte le carte in regola per incarnare il clichè dei clichè del “bionda e scema”, con lei i testimonial dei luoghi comuni non hanno speranze.
E’ Beatrice Venezi: lucchese, classe 1990, direttore d’orchestra riconosciuta in ogni continente, inserita nella classifica di Forbes tra le prime 100 personalità più influenti del mondo, autrice di due libri, di un disco e indiscusso orgoglio italiano.
Educata e battagliera, elegante e ribelle, una principessa moderna, mai fuori posto, posata ma mai in posa: Beatrice Venezi, oltre al suo talento indiscusso, sfodera una personalità rara in questa società in cui puntare il dito è più comodo che alzarlo per parlare.
Beatrice è una donna, una giovane donna con le idee molto chiare, una di quelle che sa sognare senza perdere di vista cosa c’è sotto, una di quelle che sa osare con prudenza, una di quelli che i suoi immensi successi non sono altro che il motore per spingersi sempre oltre. E’ curiosa, ambiziosa ed estremamente intelligente, l’esempio di una generazione che identifichiamo come distratta e sfaticata, e spesso purtroppo è così, ma che altre volte, come in questo caso, ci fa capire che solo a 30 anni si ha il sacrosanto diritto e dovere di cambiare il mondo con i nostri sogni e con il costante impegno di non abbandonarli.
Non è stata una vita semplice, seppur costellata di ineguagliabili successi, quella di Beatrice Venezi, per ottenere grandi risultati sono inevitabili le rinunce ma la fame è sempre stata più della fatica: fame di futuro, fame di affermarsi in quanto professionista ma soprattutto come donna, fame di non scendere mai a compromessi che minassero la sua identità, quella fame che ha solo chi, con coraggio e consapevolezza, non perde mai stesso.
Abbiamo parlato con lei, della sua storia, dei suoi successi sparsi per il mondo, delle sue rinunce e delle sue battaglie contro la banalità e il pressappochismo soprattutto per le donne, quelle donne che hanno il diritto di affermarsi professionalmente senza il peso del pregiudizio che gli piomba addosso, oggi come 50 anni fa.
Come ti sei avvicinata alla musica e come hai deciso di fare della tua passione, la tua professione?
Scegliere la musica è stata una consapevolezza immediata. Ho iniziato con il pianoforte ma già sapevo che questa sarebbe stata la mia strada, tanto era l’amore per quello che facevo. La direzione d’orchestra è arrivata nel tempo ma non ho mai avuto dubbi sul cambiare strada. Ci sono stati ovviamente anche momenti di down e di difficoltà, ma tutto è stato ripagato ampiamente.
Come è stata la tua adolescenza e quali rinunce ha comportato scegliere una carriera come la tua?
La mia non è stata un’adolescenza normale, non avevo tempo per niente, se non per studiare. Frequentavo il liceo e contemporaneamente il conservatorio, passavo tutte le mie giornate, compresi i week end, a studiare, senza nessun’altra distrazione. Avevo la fortuna di riuscire a stare molto concentrata in classe, in modo che metà del lavoro già lo facevo durante le lezioni, così che a casa mi dedicavo alla musica, visto che il pianoforte è uno strumento molto impegnativo e che richiede molta pratica.
La tua famiglia ti ha appoggiato nelle tue scelte?
La mia famiglia mi ha sempre e comunque appoggiato, anche in tutte quelle scelte che erano oggettivamente non facilmente condivisibili. Pensa che anche adesso, prima del Covid ovviamente, i miei genitori cercano di seguirmi ovunque vada per lavoro: sono arrivati in Armenia, in Azerbaigian e in Giappone. A breve uscirà il mio secondo libro, intitolato “Le sorelle di Mozart”, è dedicato a tutte le donne ma in primis proprio alla mia famiglia, alla quale devo dire grazie perchè, se sono quello che sono oggi, lo devo a loro.
Tu rappresenti l’esempio che scardina il clichè che la musica classica sia di nicchia e un po’ da vecchi, giusto?
La mia missione è esattamente quella di non far passare la musica classica come di nicchia. La musica classica nasce in realtà come musica popolare e non elitaria, il teatro ha sempre avuto una funzione sociale ed è lì che dobbiamo tornare. Io utilizzo i social, strumento per eccellenza del nostro tempo, per coinvolgere le persone e quando vedo che le persone vengono a teatro per la prima volta grazie a me, ho già vinto la mia battaglia. L’obiettivo non è solo fare musica, per me, ma avere un riscontro sociale: alla fine siamo davvero piccoli come esseri umani, che almeno resti una traccia di noi.
In Italia è oggettivamente più difficile affermarsi professionalmente per una donna?
Viaggiando molto devo dire che l’Italia non smette mai di stupirmi, non solo per la sua bellezza. C’è un mondo molto ottuso nei confronti della donna e questo in tutti gli ambiti, a partire dalla politica. In parte, devo dire, è anche una scusa o una giustificazione dei giovani che dovrebbero essere proprio loro il motore della società e stravolgerla, senza soffermarsi solo su quello che non va, ma c’è anche da dire che, oggettivamente, è difficile affermarsi in Italia, ancora di più per le donne. Questo perchè siamo legati allo stereotipo del “o sei bella o sei brava” e paradossalmente per avere credibilità siamo costrette a imbruttirci, a mascolinizzarci solo perchè la nostra società ormai è tutta apparenza e poca sostanza.
Tu sei bella e talentuosa: è vero che, a differenza degli altri direttori d’orchestra donne, non sali sul palco con abiti maschili ma mostri la tua femminilità senza problemi?
Si, è vero e lo faccio con orgoglio perchè il vestire abiti maschili per un ruolo, che solitamente è stato ricoperto da maschi, corrisponde solo all’aderenza a un modello. Per me non è così e questo perchè donne direttori d’orchestra ce ne sono state pochissime e il modello va quindi reinventato per far sì che la donna abbia pari dignità. Non giudico la femminilità in sè, ognuno la vive e la esprime come vuole, ma è il preconcetto che è sbagliato.
La donna assumerà pari dignità dell’uomo quando sarà considerata alla pari di esso, non con le quote rosa, per esempio, ma con interventi mirati a nostro favore che possano migliorare e facilitare la vita e la carriera.
Come sei vista all’estero?
Mi è capitato di lavorare in paesi storicamente e culturalmente maschili, come il Giappone o l’Armenia e devo dire che inizialmente c’è stata un po’ di sorpresa, soprattutto nel Caucaso dove sono stata una delle prime donne a dirigere un’orchestra. Inevitabilmente le stesse donne restavano a bocca aperta nel vedermi in quel ruolo ma, allo stesso tempo, questo può aver avuto una piccola grande ricaduta sul piano socio-culturale, sono piccoli semi che ogni giorno possono far nascere qualcosa di nuovo e migliore. In Giappone per esempio, società molto maschilista, le donne direttore d’orchestra ci sono, ma sono molto mascolinizzate. Inizialmente infatti mi fu chiesto di salire sul palco con abiti appunto maschili, io ovviamente rifiutai e riuscimmo a trovare un accordo in modo che fosse valutato il mio mestiere e non il mio aspetto fisico che è invece diventato un valore aggiunto, un elemento di novità.
E in Italia, ci sono differenze?
In Italia ci sono più pregiudizi e la mia posizione viene vista come un qualcosa di più vicino al glamour, sono spesso considerata troppo concentrata sulla mia esteriorità, sull’apparenza e di conseguenza, secondo il clichè “bionda uguale scema”. Ho 30 anni, ho scritto due libri, un disco e diretto mezzo mondo ma, anche di fronte all’evidenza il clichè è troppo forte. Per esempio, il mio disco quando è uscito ha avuto più recensioni all’estero, come in Giappone, in Inghilterra, in Francia che in Italia, che mi ha riservato solo poche critiche in giornali di settore.
Come vivi questa questo?
Penso che sia un peccato perchè, a prescindere dal fatto che possa piacere o no e questo è soggettivo, è sicuro invece che grazie a quello che sono molte più persone vengono ai miei concerti rispetto ad altri e si avvicinano quindi alla musica e al teatro. Cerco sempre di approcciarmi al pubblico con un linguaggio più aperto al confronto, senza posizionarmi su quel piedistallo che spesso una disciplina come la mia presuppone, di avere sempre un dialogo sia con i collaboratori che con il pubblico in modo da non spaventare chi ho davanti ma, anzi, di metterlo a suo agio.
Come ti vedi da qui a 3 anni?
Con il Covid e con tutto ciò che i lavoratori dell’arte stanno vivendo, al momento direi che la situazione per questo settore è drammatica e ingiustamente senza nessuna tutela. Personalmente mi sento di non considerare quindi tutto questo strano 2020 e almeno i primi sei mesi del 2021!
Ho perso molte opportunità internazionali negli ultimi tempi e spero appunto di poterle recuperare il prossimo anno, sperando che la situazione sia più sotto controllo. Ci saranno debutti importanti, ai quali tengo molto, tra cui quello in Francia, in Inghilterra e in Giappone, sempre Covid permettendo.
A giorni poi, esattamente il 3 novembre, uscirà il mio secondo libro, intitolato “Le donne di Mozart”, e a fine 2021 uscirà il mio secondo disco al quale sto lavorando. Inoltre sono dietro a un progetto sull’educazione musicale, realizzabile dalla fine del 2022, nel quale proporrò nei libri scolastici una visione diversa della musica e una possibilità di educazione all’ascolto differente.
Cosa consiglieresti, infine, a un giovane che sogna una carriera piena di successi come la tua?
Sicuramente consiglierei di trovare un buon maestro, che non corrisponde a un bravo insegnante, ma è colui che vede oltre, che vede chi sei davvero e cerca sempre di tirare fuori il meglio di te, non secondo le aspettative ma secondo il bene dell’allievo e questo purtroppo è raro. Poi direi, non solo alle ragazze ma anche ai ragazzi, che oggi viviamo in una società in cui i clichè contano più della realtà, una società in cui tutti possiamo essere tutto, perdendo così la possibilità di capire davvero la propria strada. E’ importante invece intraprendere una reale specializzazione, perchè per sapere dove si vuole andare, bisogna essere consapevole da dove si proviene.
Inoltre consiglierei di non sentirsi limitati mai, l’atteggiamento italiano impone quasi di fare una sola cosa nella vita e farla bene, mentre l’impostazione di alcuni paesi anglofoni presuppone che ognuno di noi possa fare molte più cose e farle bene. Non dobbiamo porci limiti a quelli che sono i nostri talenti perchè si possono scoprire anche in fasi diverse della vita e questo non significa che non siano importanti o che non siano adatti a noi, ma anzi è giusto assecondarli, anche fosse solo per una piena soddisfazione personale.
In una società in cui la superficialità dilaga, dove l’essenza lascia il posto all’apparenza, dove gli entusiasmi artificiali diventano il premio di una spietata gara a chi sa mostrarsi meglio, c’è ancora chi crede in quei valori imprescindibili. Beatrice Venezi è un’eccellenza mondiale e per questo l’Italia deve andarne fiera, ma è anche l’esempio di come l’educazione, il rispetto e la professionalità – per fortuna – non passano mai di moda.