Lo scrittore Roberto Saviano ha detto, nel 2020 durante una trasmissione tv, che Meloni e Salvini sono dei “bastardi” per via delle loro posizioni sull’immigrazione clandestina e sul ruolo delle ONG. Per questo è stato citato in tribunale per diffamazione.
Fin qui si tratta di un fatto di cronaca neppure poi molto interessante. Alla fine di insulti in tv se ne sentono tanti. Non che questo dovrebbe farci fare l’abitudine né che sia giusto dire che, siccome sono tanti, allora non deve essere più “scandalo” ma “normalità” e non dovremmo farci più caso. Non ritengo giusto questo atteggiamento: dobbiamo assolutamente recuperare una certa “urbanità” come valore sociale e culturale. E dobbiamo assolutamente ribellarci al malcostume di condire ogni frase con una variegata (ma in verità neppure troppo variegata e piuttosto ripetitiva e noiosa) quantità di parolacce e turpiloqui. Perché il rispetto per l’altro, che tutti a parole diciamo essere fondamentale, passa anche da una certa attenzione ai registri di linguaggio e a i toni del dialogo.
Detto questo, però, un politico (perché, che che ne dica, tale è Saviano, chiaramente posizionato sul fronte partitico-mediatico e chiaramente spalleggiato da una parte politica) che ne insulta un altro non è esattamente una gran notizia in questi tempi grigi.
Ciò che invece emerge come elemento da evidenziare è la presa di posizione che lo stesso Saviano ha dato alla stampa in relazione all’avvio del processo.
La sua posizione è tanto candida quanto semplice: lui ha ragione e il mondo torto. Lui si è pure “contenuto” perché le azioni in questione meritavano anche reazioni più accese. E, infine, lui è uno scrittore e quindi le regole che valgono per gli altri su ciò che si può o non si può dire, semplicemente per lui non valgono perché le parole sono un fatto suo.
Ma andiamo con ordine. La prima dichiarazione è che, a suo avviso, lui ha “fiducia che si possa finalmente esorcizzare la più subdola delle paure e cioè che avere un’opinione contraria alla maggioranza significhi avere un’opinione non legittima, e che quindi avere un problema con la maggioranza di questo Governo significhi avere un problema con la giustizia. Ciò sarebbe gravissimo e confermerebbe un’ipotesi che questa maggioranza politica voglia condurci verso una democratura”.
Là! Tanto per non buttare tutto (soprattutto la magistrature) in politica. È una caratteristica delle storpiature della realtà quella di prendere dei fatti e modificarli, o tacerne una parte, per usarli contro qualcuno senza che ci sia un nesso logico tra le due cose. La querela era partita nel 2020 quando era presidente del consiglio Conte con il PD in maggioranza. E portato avanti durante una fase di presidenza istituzionale con quasi tutti dentro tranne proprio la querelante che quindi era l’unica forza politica parlamentare a non essere al potere. Oggi avviene solo la prima udienza. Le affermazioni di Saviano lascerebbero quindi intendere che i giudici si sono subitaneamente allineati al potere portando avanti, di improvviso, una “caccia al dissidente” di stampo comunista-marxista.
Poi aggiunge: “L’accusa è quella di aver ecceduto il contenimento, il perimetro lecito, la linea sottilissima che demarca l’invettiva possibile da quella che qui viene chiamata diffamazione”. Difficile capire perché sottilissima. Si fosse limitato a dire che una azione o una opinione è sbagliata, anche connotando la valutazione di un tono dispregiativo per chi la ha compiuta, è legittimo. Passare da questo agli insulti no. Semplice, nitido.
E infine “Io sono uno scrittore: il mio strumento è la parola. Cerco, con la parola, di persuadere, di convincere, di attivare. Sono uno scrittore e quindi, avendo ottenuto la libertà di parola prima di qualsiasi altra, sono deciso a presidiarla. Ho sempre scelto di difendere le mie parole con il mio corpo in maniera differente rispetto a quanto fanno molti parlamentari, che hanno usato lo scudo dell’immunità quando hanno avuto bisogno di proteggersi dalla giustizia”. La tesi, quindi, è che il nostro è uno scrittore e questo, il riconoscimento avuto da tanti lettori per le sue opere, gli dona una forma di alterità rispetto al cittadino comune. Avendo lui una asserita profonda comprensione dello strumento parola, ne eredita anche una implicita autorizzazione ad un uso diverso, anche più smodato. Un po’ come dire che Valentino Rossi avrebbe il diritto di sfrecciare a 150 km/h in sella ad una moto sulla circonvallazione perché lui padroneggia le moto come nessun altro. E il novello Manzoni, a questo punto, si offre alle masse anche come martire: colui che offre il suo corpo per difendere il diritto di parola. Che naturalmente nessuno nega ma che qui viene declinato come diritto di offesa.
Ma ciò che ho trovato più difficile da accettare in tutta questa intervista è stato il cinismo nello strumentalizzare le tragedie dei migranti per la ribalta della notorietà. Sia l’affermazione alla base del caso che le recenti dichiarazioni, pretendono di dire quanto alto sia il turbamento morale ed emotivo dello scrittore rispetto alle “scellerate” (qui parafrasiamo noi, sospettando che l’autore avrebbe scelto parole di maggior impatto…) posizioni dei politici additati al pubblico ludibrio. “Dinanzi ai morti, agli annegamenti, all’indifferenza, alla speculazione, dinanzi a quella madre che ha perso il bambino, io non potevo stare zitto. E sento di aver speso parole perfino troppo prudenti, di aver gridato indignazione perfino con parsimonia”. Magari vorremo anche noi essere prudenti e limitarci a indignarci con parsimonia contro l’abuso di tragedie per fini personali; contro un vittimismo povero di iniziativa e ricco di egocentrismo; contro un tripudio di ambiguità e di storpiature. E contro una moda di insultare invece che discutere il merito delle questioni che è cosa assai più difficile e necessaria. Magari vorremo ma certe interviste ce lo rendono difficile.
Condivido la posizione di essere, come appunto nel caso in questione, “contro una moda di insultare invece che discutere il merito delle questioni che è cosa assai più difficile e necessaria”.
[ E congratulazioni davvero per questo sito che rappresenta per Lucca un “luogo” come pochissimi altri di sano dibattito e approfondimento culturale, prima ancora che politico e sociale]
Saviano si può definire “scrittore” ma lui più che scrittore è un tastierista di pc e anche poco sa solo fare copia incolla. Se non fosse sostenuto da certa gente di par e poco intelletto. Comunque nessuno ha detto o scritto perché uno si definisce “scrittore” possa offendere le altre persone che possono e hanno il diritto di pensarla diversamente.