Attenzione: nelle città europee le ondate di calore colpiscono le persone più vulnerabili, impatto negativo sulla salute

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Fra le ore 14:20 e le 17:10 di ieri, domenica 9 giugno, nel centro storico di Lucca si è superata la temperatura di 30 gradi C (massima di 30,2 gradi C alle 17:05). È stato – almeno finora – il giorno più caldo dell’anno, ma siamo ovviamente ancora lontani dalle temperature roventi, ovvero quando si superano i 34 gradi C. Questo aumento della temperatura era annunciato, legandosi all’espansione dell’anticiclone africano sul Mediterraneo centrale che ha portato a una prima fiammata di estate.

Proprio in questi giorni è stato pubblicato uno studio che ha coinvolto ricercatori da tutta Europa, al quale ha partecipato anche l’Italia con il Cnr e il CMCC. È venuto fuori che nel nostro continente persiste un alto livello di diseguaglianza sociale nella capacità di accesso agli spazi verdi nelle aree urbane, ritenute una delle soluzioni più efficaci per combattere gli effetti negativi delle ondate di calore. Lo studio, pubblicato su Nature Cities, ha preso in esame quattordici grandi aree urbane europee.

Per ondata di calore si intende un periodo di tempo durante il quale la temperatura, in maniera persistente, si mantiene più elevata rispetto alle temperature usualmente rilevate in una determinata area in un periodo definito. Lo studio delle ondate di calore, e di come i cambiamenti climatici influiscano nel far in modo che esse si verifichino con maggior frequenza, è importante in quanto le temperature alte e persistenti per lunghi periodi rappresentano un rischio per la salute umana e gli ecosistemi. 

Viene evidenziato tra l’altro che le ondate di calore in Europa sono in aumento, causando un incremento del 57 per cento delle persone esposte rispetto al decennio 2000-2009. Specialmente nelle aree urbane, gli impatti di questi eventi estremi sono particolarmente pronunciati a causa delle strutture urbane che causano il cosiddetto effetto isola di calore (urban heat island). Lo stress termico derivante dalle ondate di calore è la principale causa di morti premature legate al clima in Europa.

«Tra le soluzioni più efficaci – viene spiegato – vi è lo sviluppo di infrastrutture verdi urbane, che rappresentano una delle migliori Nature Based Solutions (NBS – soluzioni che replicano processi naturali) per mitigare il surriscaldamento nelle città e fornire servizi ecosistemici. Tuttavia, la capacità di beneficiare di questi servizi di green cooling da parte dei cittadini è ancora relativamente sconosciuta».

Il nuovo studio pubblicato su Nature Cities – che ha coinvolto ricercatori e ricercatrici da tutta l’UE tra cui, per l’Italia il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC) – ha esaminato l’«ingiustizia ambientale» che sta alla base dell’accesso alle soluzioni di green cooling in quattordici grandi aree urbane europee, tra cui Firenze e Roma, utilizzando indicatori socioeconomici. Per lo studio è stato sviluppato un approccio innovativo per valutare l’esposizione dei cittadini allo stress termico basato su una combinazione di dati micrometeorologici, dati satellitari e modelli di simulazione.

Infografica che mostra la relazione tra l’indice dei servizi di green cooling e gli indicatori di alloggio, popolazione, reddito e immigrazione.
Fonte: https://doi.org/10.1038/s44284-024-00077-x

«In tutte le aree urbane analizzate, i cittadini residenti a più basso reddito, quali gli inquilini, gli immigrati e i cittadini disoccupati, hanno maggiori difficoltà di accesso ai servizi di green cooling a causa della sfavorevole conformazione urbanistica e sociale di molte città europee – ha detto il ricercatore del CMCC e coautore dello studio Giacomo Nicolini –. Al contrario, i residenti ad alto reddito, i cittadini nazionali e i proprietari di case hanno usufruito di una fornitura di raffreddamento superiore alla media. Alcune delle città oggetto di questo studio sono state selezionate perché ospitano siti di misurazione degli scambi di energia e di gas serra, come il sito dell’Osservatorio Ximeniano di Firenze gestito dal Cnr, che fornisce questo tipo di misurazioni da quasi vent’anni e fa parte della rete ICOS (Integrated Carbon Observation System), l’infrastruttura europea di riferimento sul ciclo del carbonio. Sia il CMCC sia il Cnr sono, infatti, coinvolti attivamente nella raccolta e nell’elaborazione dei dati della rete europea di ICOS, e nel network nazionale ICOS Italia, oltre all’Ecosystem Thematic Centre-ETC, gestendo diversi siti e la catena di elaborazione e convalida dei dati di tutta la rete internazionale». 

«Questo studio ci mostra che la differente capacità di adattamento ai cambiamenti climatici non è solo una questione tra Paesi ad alto e basso reddito, ma riguarda anche le differenze sociali all’interno delle ricche regioni e città europee. Gli interventi mitigativi – ha aggiunto Beniamino Gioli, ricercatore dell’Istituto di Bioeconomia del Cnr di Firenze (Cnr-Ibe) – basati sulle Nature Based Solutions dovranno assolutamente tenere in debito conto la dimensione sociale oltre a quella ambientale, con analisi integrate e multidisciplinari ad elevato dettaglio spaziale».

La Rete ICOS è un’infrastruttura di ricerca europea sui gas serra: produce collezioni standardizzate di dati di concentrazione e flussi gas serra e calore misurati da ecosistemi terrestri e marini in circa 150 stazioni di misura, tra cui il sito di Firenze (IT-OXm) impiegato in questo studio. Le collezioni di dati sono disponibili gratuitamente attraverso il portale dati ICOS Data Portal (https://data.icos-cp.eu). In particolare, i dati di flusso e meteorologici relativi ad ambienti terrestri sono prodotti dall’ICOS Ecosystem Thematic Center coordinato dal CMCC e dall’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo. Nel loro insieme queste collezioni costituiscono la base sia della ricerca scientifica sulle complesse interazioni tra l’ambiente naturale e urbano e l’atmosfera, sia per le decisioni degli stakeholder. Sito web https://www.icos-cp.eu/. ICOS Italia consiste di 24 stazioni, di cui 15 per l’ecosistema, 5 l’oceano e 4 per l’atmosfera. Inoltre, ICOS Italia, insieme ad ICOS Belgio e Francia, ospita anche l’Ecosystem Thematic Centre (ETC). Le stazioni dedicate all’ecosistema coprono i territori più tipici dell’Italia: diversi tipi di foreste, campi coltivati, e macchie di arbusti. Le stazioni atmosferiche sono localizzate nel nord dell’Italia, come sulle Alpi, e nell’isola di Lampedusa, nel Mar Mediterraneo. Le stazioni che monitorano l’oceano sono situate nel Mar Adriatico e nel Mar Ligure. Nella rete italiana si trova l’Osservatorio integrato di Lampedusa, l’unica stazione in tutto il network che raccoglie simultaneamente informazioni relative ai tre domini di interesse. ICOS Italia è coordinato dalla  Joint Research Unit (JRU), nata dalla collaborazione di 15 enti italiani, tra Università, istituti di ricerca ed altri enti: Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), Università degli Studi della Tuscia, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA), Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (ARPA) della Val d’Aosta, Provincia Autonoma di Bolzano, Fondazione Edmund Mach (FEM), Università degli Studi di Sassari, Università degli Studi di Padova, Università degli Studi di Genova, Università Cattolica del Sacro Cuore, Istituto Nazionale Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), Libera Università di Bolzano, Università degli Studi di Udine, Ricerca sul Sistema Energetico – RSE S.p.A., Università di Chieti-Pescara G. d’Annunzio. https://www.icos-italy.it/.

D’altra parte anche «The Lancet Countdown 2024» su clima e cambiamenti climatici ha messo in guardia. Viviamo una fase segnata da un caldo senza precedenti che richiede azioni senza precedenti. Il Lancet Countdown (https://www.thelancet.com/countdown-health-climate) è una collaborazione internazionale, nella quale sono coinvolti numerosi studiosi rappresentanti di diverse discipline, che monitora, in modo indipendente, l’evoluzione degli impatti dei cambiamenti climatici sulla salute, attraverso una serie di indicatori che vengono aggiornati annualmente. La relazione prodotta annualmente ha l’obiettivo di ricordare come i rischi derivanti dal cambiamento potrebbero peggiorare drasticamente negli anni a venire se non si interviene prontamente, inoltre, fornisce spunti su azioni da realizzare a favore della salute in materia di cambiamenti climatici.

Il report 2024 è stato pubblicato a metà maggio ed evidenzia come il 2023 sia stato un anno da temperature record. «Senza un adeguato intervento sul clima – è stato detto – è probabile che gli impatti negativi sulla salute legati al clima si aggraveranno in tutto il mondo, colpendo miliardi di persone. Le temperature in Europa si stanno riscaldando ad un ritmo doppio rispetto alla media globale, minacciando la salute delle popolazioni di tutto il continente e provocando inutili perdite di vite umane». Il nuovo rapporto, appena pubblicato, individua 42 indicatori, suddivisi in 5 aree (impatto, esposizione e vulnerabilità ai cambiamenti climatici; adattamento, pianificazione e resilienza per la salute; azioni di mitigazione e co-benefici sanitari; economia e finanza; impegno pubblico e politico) che monitorano gli impatti negativi del cambiamento climatico sulla salute umana, i ritardi nell’azione di contrasto da parte dei Paesi europei e le opportunità mancate per proteggere o migliorare la salute con un’adeguata azione. Nel rapporto 2024 sono stati aggiunti 9 nuovi indicatori, volti ad analizzare la sicurezza alimentare, l’assistenza sanitaria, gli investimenti nell’energia pulita, l’impegno della scienza e della politica e le opportunità mancate. Infine, si ricorda che gli impatti sulla salute legati al clima non sono uguali a livello regionale e globale e il presente rapporto punta l’attenzione anche sugli aspetti di disuguaglianza e giustizia, evidenziando i gruppi a rischio e le responsabilità dell’Europa».

Purtroppo tutti gli indicatori analizzati dimostrano che c’è stato un peggioramento degli impatti del clima sulla salute, con l’aumento dei decessi dovuti al caldo in tutta Europa. Inoltre, lo stress da calore sta provocando una riduzione dell’attività fisica, per esempio, rispetto al 1990 fare sport nelle ore più calde è considerato più rischioso, sia per le attività mediamente faticose (come il ciclismo o il calcio), che per quelle più faticose (rugby o mountain bike). Sul lungo periodo la riduzione dell’attività fisica porta ad aumento del rischio di malattie non trasmissibili, ma anche le malattie trasmissibili aumentano, in quanto si accrescono le possibilità di diffusione di patogeni e vettori di malattie sensibili al clima, ad esempio la dengue, la zika, la malaria, il west virus del Nilo, la leishmaniosi e le zecche. Aumentano anche gli eventi estremi, sia nella frequenza che nell’intensità. Negli ultimi anni sono pericolosamente aumentati gli incendi e nel periodo dal 2000 al 2019 l’Europa occidentale, meridionale e orientale ha registrato un aumento sostanziale delle condizioni di siccità estrema. Nel 2021, quasi 12 milioni di persone hanno subito gli effetti dell’insicurezza alimentare dovuta ai cambiamenti climatici.

Gli impatti sulla salute tendono ad essere distribuiti in modo diseguale e disomogeneo tra le popolazioni, a causa delle differenze di esposizione, sensibilità e capacità di adattamento, che spesso riflettono modelli intersecati di sviluppo socioeconomico, emarginazione e iniquità.
Le popolazioni più colpite tendono ad essere quelle meno responsabili e con minori probabilità di essere riconosciute o messe al centro delle priorità. L’Europa meridionale tende ad essere più colpita da malattie legate al caldo, da incendi, da insicurezza alimentare dovuta alla siccità e dalla leishmaniosi, mentre il nord Europa è maggiormente colpito da virus e zecche. All’interno dei paesi, a subire di più gli impatti del clima sono le minoranze etniche, le comunità a basso reddito, i migranti le minoranze sessuali e di genere. Il rapporto dimostra che la mortalità dovuta al caldo è stata due volte maggiore per le donne rispetto agli uomini; le famiglie a basso reddito hanno una probabilità sostanzialmente più alta di sperimentare un’insicurezza alimentare e i decessi attribuibili a carenze alimentari sono più elevati tra le donne.
Molti paesi europei rimangono i principali produttori delle emissioni a gas serra e sono anche quelli che ne hanno beneficiato di più con la crescita economica, mentre altri paesi – che hanno emesso meno gas serra – sono invece i più colpiti dai cambiamenti. Il cambiamento climatico è un problema di giustizia sociale e ambientale. L’assenza di un’azione coraggiosa rischia di intensificare ulteriormente gli impatti del cambiamento, che sono già in atto, e non intervenendo tempestivamente si rischia di perdere l’opportunità di apportare considerevoli co-benefici a breve termine per la salute, come la riduzione della mortalità prematura dovuta alla riduzione delle polveri sottili nell’ambiente. Le strutture politiche e di governance in tutta Europa dovrebbero impegnarsi con il settore sanitario e lavorare di concerto. Va anche segnalato che, mentre l’impegno e l’attenzione da parte del settore scientifico ha continuato a crescere, nel 2022 si sono registrati bassi livelli di impegno e di attenzione da parte dei media, della politica e a livello individuale.

Il rapporto conferma che il cambiamento climatico sta già incidendo negativamente sulla salute delle popolazioni europee e che, in assenza di un’adeguata azione sul clima, questo impatto continuerà ad aumentare nel prossimo futuro. Gli indicatori analizzati confermano che gli effetti negativi sono in aumento rispetto ai livelli di riferimento. Le minacce alla salute e la vulnerabilità sono state riscontrate in diverse regioni e gruppi di popolazione e si riscontrano impatti differenziali anche all’interno di uno stesso paese, ad esempio le donne sono a maggior rischio di mortalità correlata al caldo, le aree deprivate sono più esposte al fumo degli incendi e gli anziani sono più suscettibili alle ondate di calore.

Intanto è nuovamente attivo il Piano Caldo del Ministero della salute finalizzato a prevenire gli effetti negativi del caldo sulla salute, soprattutto nelle persone più fragili.

Il programma di attività prevede:

I bollettini sulle ondate di calore sono elaborati dal Dipartimento di Epidemiologia SSR Regione Lazio, nell’ambito del Sistema operativo nazionale di previsione e prevenzione degli effetti del caldo sulla salute, coordinato dal Ministero. Vengono pubblicati, come ogni anno dal lunedì al venerdì, fino a metà settembre.

Nel bollettino sono indicati quattro livelli di rischio graduato:

  • livello 0 – nessun rischio
  • livello 1 – rischio basso previsto per le successive 24-72 ore 
  • livello 2 – rischio elevato previsto per le successive 24-72 ore
  • livello 3 – condizioni di rischio elevato (livello 2) persistenti per 3 o più giorni consecutivi per le successive 24-48 ore. 

Il sistema operativo è dislocato in 27 città italiane e consente di individuare, giornalmente, per ogni specifica area urbana, le condizioni meteo-climatiche a rischio per la salute, soprattutto dei soggetti vulnerabili: anziani, malati cronici, bambini, donne in gravidanza.
Le città monitorate sono: Ancona, Bari, Bologna, Bolzano, Brescia, Cagliari, Campobasso, Catania, Civitavecchia, Firenze, Frosinone, Genova, Latina, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Pescara, Reggio Calabria, Rieti, Roma, Torino, Trieste, Venezia, Verona, Viterbo. Dal portale del Ministero è possibile scaricare numerosi opuscoli e materiale informativo sulle ondate di calore, per la popolazione generale e gli operatori del settore sanitario e socio-sanitario (medici, personale delle strutture per gli anziani, personale che assiste gli anziani).

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