La Grande Guerra a Lucca e dintorni.
Storie minute dei nostri paesani lucchesi; non si conosce il numero esatto di quelli richiamati alle armi, ma erano molti, moltissimi i lucchesi che partirono nel 1915 e negli anni seguenti, per alimentare i fronti di guerra o imbarcati sulle regie navi; sappiamo però i caduti: 816 circa; sono comunque tanti, troppi per la nostra terra.
816 morti in guerra; la nostra gente. I loro nomi, lo abbiamo già ricordato, ma “repetita iuvant” per gli ignavi della città, sono martellati nella parete della Chiesa di San Cristoforo, eletta a Sacrario lucchese negli anni’40.
Partiti da Lucca, da Montuolo, da Nave, Gattaiola, dal Piaggione, da Ponte a Moriano da Picciorana, da San Concordio, da Santa Maria del Giudice ecc.., dalle frazioni, dalle località più remote per la prima volta vedevano un Mondo Nuovo.
Andavano a “naja”; che è una parola militare strana, della quale nessuno conosce l’etimologia vera, anche se è sulla bocca di tutti quelli che si atteggiano ad averla fatta. Naja vuol dire “tenaglia”, “tenaja”, da cui…“naja”; un legame stretto, che ti lega, ti tiene. Nasce tra loro la parola “camerata”, compagno di camerata militare, enormi stanzoni dove si dormiva in 10 e più soldati. Il camerata è qualcosa meno di un amico, e più di un collega. È un mio camerata…
I giovani soldati italiani entravano così, forzatamente, in quello che oggi definiremmo uno “sharing”, una miscellanea di costumi, idiomi, usanze e culture. Una globalizzazione militare ante-litteram.
Entravano nell’Italia.
Da Lucca, nel 1915, parte per il fronte uno dei tre Reggimenti di Cavalleggeri che si alternano nella Caserma “Umberto I” in Corso Garibaldi; il 14 Reggimento Cavalleggeri “Alessandria”, che a dispetto del nome ha una fortissima “lucchesità”. È dislocato in guarnigione a Lucca dal 1909; l’Amministrazione con il sindaco Del Carlo, durante i tre anni di guerra sostiene e incita questo reggimento nella sua campagna di guerra.
Il 14° Cavalleggeri “Alessandria”, partito da Lucca, giusto per dire…è quello che entra nella città di Trento il 3 Novembre 1918, innalzando il Tricolore sul Castello del Buon Consiglio, dove poco prima erano stati impiccati brutalmente Cesare Battisti e Fabio Filzi. Un reggimento partito da Lucca libera la città di Trento!
Giusto per evidenziare il fortissimo legame tra i cavalleggeri e la città, le cronache cittadine registrano, tra gli altri, che la gentile marchesina Emilia Poschi Meuron si fidanza con il Tenente Gaddo della Gherardesca, in servizio nel 14° Regg. Cavalleggeri “Alessandria”. A loro le felicitazioni.
Nelo stesso Reggimento, aveva militato anche (a modo suo…) il Ten. D’Annunzio; il poeta-soldato-marinaio-aviatore sarà però ricordato più per i “buffi” che lascia nei vari ristoranti e alberghi, che per la gloria della quale si ricopre…
Approfondiremo più avanti le presenze dei militari a Lucca. Sarà molto interessante, con curiosità storiche locali di notevole spessore.
Ma torniamo a noi.
I giovani di leva, ricevuta la “cartolina precetto”, salivano sul treno, e raggiungevano i Depositi Territoriali; i Centri di Reclutamento.
Lì venivano “incorporati”, vestiti con l’uniforme, armati. Ragazzini in uniforme. Molti di loro, i più “rustici”, i campagnoli, i montanari, non conoscevano l’uso e l’utilizzo della biancheria intima, e convinti di doverla poi pagare, la rifiutavano: “A me non servon le mutande, son roba da ricchi, no grazie!”
Poi l’addestramento, rapido, intenso e spartano.
Lo completeranno al fronte, quelli che ce la faranno.
La disciplina, l’obbedienza, l’addestramento all’uso del fucile ’91: caricare, puntare, far fuoco a comando.
Il Fucile ’91. Un’arma tutta italiana…quasi!
Il Fucile mod.1891 Mannlicher-Carcano-Parravicino.
Il “NOVANTUNO”!
Già nel leggere tutto il nome ufficiale si intuisce che c’è qualcosa che non quadra.
Lo studia e lo progetta un Capotecnico principale di Prima Classe della Fabbrica Reale di Terni, Salvatore Carcano, che per far prima, dopo aver brevettato il sistema di chiusura a otturatore girevole e scorrevole con una sicura da lui inventata, fa acquistare i diritti (5.000.000 lire oro) del “sistema di caricamento con cucchiaia dal basso” dalla fabbrica d’armi austriaca Mannlicher a 6 colpi.
Il fucile del nemico austroungarico, il Mod. 1895 che la stessa Steyr-Mannlicher realizza, avrà 5 colpi! Incredibile! Un colpo in meno, pur avendo lo stesso meccanismo di caricamento!
Il terzo nome, “Parravicino”, c’azzecca poco nello studio di progettazione e costruzione del “Novantuno”; costui è un oscuro generale, che dirige la Fabbrica Reale d’Armi di Terni, dove si progetta e realizza il fucile ’91; pretende come Direttore di firmare anche lui il documento finale di approvazione, battezzandolo pertanto anche con il suo nome.
Le solite storie italiane.
Ma l’arma funziona; bene o male, spara, spara così tanto che attraversa ben tre secoli!
Spara per primo in Italia a Milano, dove i soldati italiani di Bava Beccaris (“Bava il beccaio” di Lucio Dalla, in Parole Incrociate) stempiano con il ‘91 più di ottanta milanesi nel 1898 per la rivolta del pane. Sciagurato primato.
Il Re conferirà al Bava Beccaris per questo eroico impegno, l’Ordine Militare di Savoia e la nomina a Senatore del Regno.
Dopo due anni però Umberto I si beccherà due o tre rivolverate da tal Bresci, un anarchico pratese, proprio per vendicare i morti di Milano.
In seguito il fucile ’91 equipaggerà tutto il Regio Esercito, sparacchiando in Libia, sul Carso, davanti il Piave, e nelle varie versioni sparereà ancora dopo, in Spagna, in Russia, in Grecia, sulle nostre montagne, nel poligono di Verona per punire i felloni del 25 Luglio, Ciano compreso. Quindi spara ancora nelle mani delle Brigate Nere e della Resistenza, purtroppo ancora in Italia.
Nel 1963 un ex Marine, Lee Oswald con un fucile’91/38 uccide il Presidente degli Stati Uniti d’America John Fitzgerald Kennedy, in visita a Dallas; la bellissima moglie Jacqueline, dopo l’attentato rimarrà con lo stesso abito macchiato di sangue del marito per due giorni, per far vedere al mondo cosa avevano fatto al suo John.
Nel 1993 ritroveremo il nostro’91 a Mogadiscio in Somalia, in mano ad un vecchio guerriero ascaro, soprannominato “Scirè”. Armato di questo, il fedele ascaro si presenta alla nostra Ambasciata appena riconquistata, per montare di guardia agli ordini del Re e del Duce!
Abbiamo avuto alcuni problemi per spiegare come era andata l’intera faccenda.
Il nostro italico fucile lo ritroviamo ancora oggi in mano ai guerriglieri in Libia!
1891-2023 tre secoli di triste longevità!
Le munizioni calibro 6,5 le prepara la S.M.I., la Metallurgica degli Orlando; sono fabbricate a “colpo completo” negli Stabilimenti di Fornaci di Barga o di Campotizzoro, (Pt). A tonnellate.
Vagoni trascinati da locomotive sbuffanti trasportano i carichi di munizioni al fronte.
Nell’ultimo anno di guerra gli operai della Metallurgica faranno 12 ore continuative ininterrotte, per garantire l’afflusso delle munizioni al fronte. Questo carico di lavoro però fa sì che l’11 ottobre del 1918, in seguito alla grande mole di lavoro, al Reparto Caricamento di Fornaci si verifichi una tremenda esplosione dove rimangono gravemente ferite due donne addette a maneggiare gli esplosivi innescanti, che sono sensibilissimi.
Le munizioni sono confezionate e conservate in piccole scatole di cartone pressato; quando nelle trincee arriva l’ordine di “rompere le scatole”, esso è foriero di un imminente attacco! I soldati rompono pertanto le piccole scatolette di munizioni estraendo i caricatori da 6 colpi, per riempire le giberne; da qui è nata la nota espressione di forte scocciatura: “rompere le scatole”!
Similmente un altro modo di dire originato dalla Grande Guerra è quello di “aver le palle girate”
Questo detto deriva dalla usanza dei soldati di “smontare” la pallottola dalla cartuccia del fucile ’91 e reintrodurla nel bossolo, capovolta, con la punta dentro e la base circolare e piatta in fuori, in maniera che, al momento dello sparo, la pallottola capovolta avrebbe “lacerato” di più il malcapitato, strappandone i tessuti molli, non arrivando di punta; come una primordiale palla “Dum Dum”.
Pratica di guerra, vietatissima da tutte le Convenzioni, leggi e usi di guerra, ma tant’è. L’efficacia operativa di questa usanza in realtà era molto bassa, ma certe convinzioni nella naja sono dure a morire.
Gli Orlando sono tra i maggiori industriali della Guerra.
Viene subito in mente l’italico Albertone nazionale in “Finché c’è guerra c’è speranza”. Ma le cose non stanno esattamente così.
Gli Orlando non si tirano indietro sulla linea del fronte; a Livorno costruiscono navi e sommergibili. Progettano il “Motoscafo Armato Silurante”, il M.A.S. con il quale D’Annunzio, assieme a Luigi Rizzo e Costanzo Ciano, nel febbraio del 1918 porteranno a termine la “Beffa di Buccari”.
D’Annunzio poi latineggerà la sigla M.A.S. in “Memento Audere Semper”.
L’impresa, pur riuscendo come audacia e coraggio, infligge in realtà pochissimi danni materiali, non affondando di fatto nessuna nave, perché non erano in porto!
Ma l’effetto mediatico, abilmente sfruttato, con il ritrovamento in acqua di tre bottiglie contenenti un messaggio vergato a mano dal Vate, è grandissimo!
Di fatto produce un eccezionale danno morale agli austroungarici!
Aver violato di notte il più protetto porto della flotta austroungarica, ha rappresentato, dopo la batosta di Caporetto, un importante momento di rivincita e di ripresa della fiducia nazionale!
Il Capitano di Fregata Giuseppe Orlando, tra gli altri, combatte in Trentino e riceve una Medaglia d’Argento per una coraggiosissima azione a Riva del Garda.
Una sua cugina Margherita Kaiser Parodi Orlando, parte da Livorno assieme alla madre e la sorella, come crocerossine al fronte. Sono in servizio all’Ospedale da Campo nr. 2 di Pieris; in occasione di un forte bombardamento austroungarico, l’Infermiera Margherita non abbandona i suoi ricoverati per andare nei rifugi, e per questo viene decorata di Medaglia d’Argento al Valore; al termine del conflitto lei rimane in servizio per non lasciare i soldati convalescenti all’Ospedale Militare di Trieste; poco dopo, purtroppo, contrae la febbre spagnola e muore nel dicembre del 1918. A 21 anni.
E’ l’unica donna ad essere sepolta nel Sacrario degli Invitti della III Armata a Redipuglia! Bellissima l’epigrafe.
A noi, tra bende, fosti di Carità l’Ancella,Morte fra noi ti colse. Resta con noi sorella.
Segue….
Grazie Vittorio, per la lezione di storia.
Grazie, articolo interessante e puntuale nella ricostruzione storica degli eventi.
A tratti anche ironico , cosa che non guasta, stempera la drammatività dell’argomento ” guerra “.
Buon lavoro e …attendiamo il seguito.
be si inizia e leggere e si arriva alla fine senza distrazioni , direi un articolo o un racconto descrittivo che ti arricchisce di molti particolari . Questa rubrica si conferma davvero interessante