È cominciata la campagna elettorale. Ancora non sono del tutto definitivi gli schieramenti ma quasi.
Diamo una prima occhiata in ciascuno dei raggruppamenti elettorali che si vanno organizzando.
Da sinistra: i 5 Stelle
Partiamo dall’estrema sinistra che, di fatto è occupata dai 5S. Ora stanno cercando di raccogliere anche altre istanze per “rompere l’isolamento”. Da qui l’offerta a Sinistra Italiana e Verdi, messi in difficoltà dall’accordo Letta – Calenda.
Resta il fatto che il Movimento ha subito una “mutazione genetica”: da “né destra né sinistra” a “sinistra di lotta” ma i sondaggi non sembrano premiare questa scelta. E Conte non è decisamente l’interprete giusto per questo nuovo M5S.
Incidentalmente non possiamo non sottolineare le “coincidenze” sulla tempistica scelta dai 5S per far cadere il governo Draghi: circa 10 giorni DOPO che si era raggiunta la certezza della “pensione” da parlamentari. Andreotti diceva: “a pensar male si fa peccato ma ci si indovina quasi sempre”.
Credere che i tempi della crisi non siano stati influenzati dal conseguimento della pensione parlamentare è però assai difficile vista la terribile coincidenza di date…
Pensare che chi è venuto al potere per far finire i privilegi abbia attesa di maturarne il più importante prima di rivendicare i propri principi, non può che dispiacere.
Al di là di questo, la posizione dei 5S è un problema elettorale per il centro-sinistra (erode dei voti che andrebbero al PD senza di loro) ma non sembra allarmare il segretario del PD.
Il centrosinistra.
Su posizioni meno estreme, Letta ha deciso di puntare tutto su un accordo al centro. La sua convinzione (dichiarata) è che a sinistra c’è il PD. Quello che è a sinistra del PD è quindi poco rilevante (e, fin qui, i numeri gli hanno dato ragione).
La strategia, evidente, è di ridurre l’offerta politica a un centro-destra contro un centro-sinistra in cui, alla lunga, possa esistere solo il PD.
Ma l’aspetto più sconfortante è la brutale trattativa, molto spicciola, con cui ha perseguito questo obiettivo: l’alleanza è fatta sulla base delle poltrone da dividere per conquistare alleati elettorali.
Letta ha detto che questo è un “cartello elettorale” per “battere le destre” e che non ha un programma unitario ma ognuno avrà il suo programma. Quindi nessun problema di coerenza di contenuti e, nelle trattative, non si è parlato davvero do contenuti.
Tutto questo ha imposto un certo grado di schizofrenia al centro-sinistra: se questo è un cartello senza reale aspirazione di governo potevano tenere dentro anche i 5S; se c’è aspirazione di governo, la mancanza di un programma è un problema molto serio.
Traspare, quindi, un certo cinismo. La reale intenzione sembra essere: «stavolta perdiamo ma facciamo sparire tutte le offerte alternative al PD nel centro-sinistra». Per questo, da un lato ha isolato il M5S aspettandosi che, da solo, muoia elettoralmente (e poi anche come movimento). Dall’altra ha pagato con un po’ di parlamentari tutti quelli che potevano muoversi da soli, e così facendo avrebbero potuto creare delle proposte alternative al centro degli schieramenti nel medio periodo.
A parte qualche mugugno di chi teme di perdere la potenziale candidatura, nessuno sembra lamentarsi del commercio di poltrone in cambio di alleanze che si va facendo.
Il centro
Così Calenda ha scambiato il progetto centrista con un invidiabile pacchetto di parlamentari. E con un riconoscimento personale rilevante.
Se l’annessione dei partiti di centro al cartello elettorale di centro-sinistra porterà a Letta la vittoria, lo vedremo tra poco più di un mese e mezzo. Di sicuro è riuscito ad uccidere il progetto centrista nella culla.
Calenda era già stato eletto nelle file del PD e quindi non era alieno, al di là di dichiarazioni di stampa, ad una vicinanza con questo partito. Ma il senso di un’occasione persa c’è tutto.
Al centro dello schieramento è rimasto Renzi. Da solo.
All’ex premier non difetta certo né il coraggio né l’audacia. Ma, in questo caso, la battaglia per il 3% (soglia di sbarramento per il sistema elettorale) è davvero al limite dell’impossibile.
Di sicuro è una posizione subita e non cercata. Gli si deve comunque rendere atto che non ha né apprezzato né accettato il gioco delle offerte di poltrone (e gliele hanno offerte).
Il centrodestra
Il centrodestra ha oggi un leader chiaro, la Meloni, ma solo per la campagna elettorale. Dopo tutto è da vedere.
Forza Italia è in una oggettiva crisi di identità. Le posizioni di Berlusconi sulla presidenza della repubblica, Putin, Draghi, la guerra e persino sull’economia sono difficilmente conciliabili con le radici del partito e del suo elettorato. E la dirigenza nazionale è drammaticamente impoverita.
La fatica di creare una propria fisionomia la si vede nei sondaggi.
Berlusconi ha detto che, con la sua discesa in campagna elettorale tutto cambierà (ponendo un traguardo addirittura oltre il 20%). Ci sarà modo di vedere quale è la reale capacità che ha ancora di cambiare il corso degli eventi.
La Lega a sua volta soffre la mancanza di una piattaforma programmatica da offrire alla sua opinione pubblica. Salvini cercherà di rimontare i sondaggi con le parole d’ordine di sempre ma le indecisioni di linea sui temi degli ultimi mesi (gli stessi che hanno fatto sbandare FI: sulla presidenza della repubblica, su Putin, su Draghi, sulla guerra) pesano sul giudizio di un elettorato che, se è vero che non si è mai curato della “sparata del leader” (basta ricordare il “ce l’ho duro” di bossiana memoria) , è anche vero che non ha mai neppure gradito incertezze sul sistema economico e istituzionale. È probabile che queste elezioni siano, per Salvini, una prova di vitale importanza. Nel senso che i risultati nazionali varranno anche come giudizio sulla sua segreteria.
Chi invece naviga con il vento in poppa è FDI.
Ha accettato di buon grado lo schema lettiano di un bipolarismo accentuato. Del resto, in questo momento, vuol dire FDI e PD. E si avvantaggia delle difficoltà degli alleati ad elaborare un programma credibile e una piattaforma di principi e contenuti.
FdI ha fatto proprie le idee delle varie forze conservative di Europa e, in parte, di Stati Uniti, condite dosi forti di stato sociale: attenzione ai piccoli imprenditori, alle categorie di autonomi, ai ceti più poveri. E si fa forte di una notevole (per gli standard italici) coerenza di contenuti. In questo modo sta svuotando le constituency elettorali dei partner.
Conclusioni
Allo stato attuale i risultati delle elezioni appaiono scontati: centro-destra che vince con un certo margine e, al suo interno, FDI che diventa il primo partito della coalizione. I sondaggi ci dicono che oggi potrebbe avere più voti della somma di Lega e Forza Italia. E, dall’altra parte, il PD che egemonizza il “campo largo” e diviene l’unico vero contenitore di voti.
Con buona pace di Conte e dei 5S che si apprestano a scendere sotto il 10% in ulteriore rapido calo.
Naturalmente la campagna elettorale può riservare ancora importanti sorprese e vedremo che cosa avranno da dire i vari partiti al corpo elettorale, in particolare con i loro programmi.
C’è da augurarsi che tutti i partiti riescano ad elaborare delle piattaforme elettorali che non siano inni alla demagogia ma realistiche politiche per il paese. C’è da augurarselo ma è, purtroppo, legittimo dubitarne.
Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi