Per molto tempo, almeno nell’ultimo quarto del secolo scorso ma anche nei primi dieci anni di questo nuovo secolo e millennio, abbiamo avuto la certezza che la nostra aspettativa di vita migliorasse di anno in anno. Oggi purtroppo il trend si è invertito. Un recentissimo studio pubblicato online il 18 febbraio scorso sulla rivista «The Lancet Public Health» da un team internazionale guidato dall’Università dell’East Anglia nel Regno Unito, evidenzia come gli europei siano sempre meno longevi. Anche gli italiani registrano una riduzione media annua di 0,36 anni dell’aspettativa di vita.
Inizialmente – almeno a partire dal 2011 – l’aumento dell’aspettativa di vita era stato frenato dagli stili di vita scorretti. Poi fra 2019 e 2021 ovviamente ha pesato la pandemia da Covid-19.
«I progressi nella salute pubblica e nella medicina nel ventesimo secolo hanno fatto sì che l’aspettativa di vita in Europa migliorasse anno dopo anno – ha evidenziato Nick Steel dell’Università dell’East Anglia, primo autore dello studio – ma adesso non è più così. Dal 1990 al 2011, la riduzione dei decessi per malattie cardiovascolari e tumori ha continuato a portare ad aumenti sostanziali dell’aspettativa di vita, ma decenni di miglioramenti costanti hanno infine rallentato intorno al 2011, con marcate differenze internazionali. Abbiamo scoperto che i decessi per malattie cardiovascolari sono stati il principale motore della riduzione dei miglioramenti dell’aspettativa di vita tra il 2011 e il 2019. Prevedibilmente, la pandemia di Covid è stata responsabile delle diminuzioni dell’aspettativa di vita osservate tra il 2019 e il 2021. Dopo il 2011 i principali rischi come obesità, ipertensione e colesterolo alto sono aumentati o hanno smesso di migliorare in quasi tutti i Paesi. Migliori trattamenti per il colesterolo e la pressione sanguigna non sono stati sufficienti a compensare i danni causati dall’obesità e da diete povere».
Per quanto riguarda il calo dell’Italia gli autori dello studio ritengono possa essere «associato a una riduzione della spesa in sanità pubblica e misure preventive». È comunque evidente scorrendo i dati e i grafici dello studio e dei suoi allegati che i Paesi con la diminuzione più marcata della longevità sono Grecia, Inghilterra, Scozia, Irlanda del Nord, Portogallo, Galles, Francia, Austria, Paesi Bassi, Spagna, Germania, Lussemburgo, Finlandia oltre alla nostra Italia.
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Purtroppo l’inversione di tendenza evidenziata dallo studio pubblicato dalla rivista «The Lancet Public Health» era evidente anche seguendo i periodici report della sorveglianza PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia) che venne avviata nel 2006 con l’obiettivo di effettuare un monitoraggio sullo stato di salute della popolazione adulta italiana. PASSI si è caratterizzata come una sorveglianza in sanità pubblica che raccoglie, in continuo e attraverso indagini campionarie, informazioni dalla popolazione italiana adulta (18-69 anni) sugli stili di vita e i fattori di rischio comportamentali connessi all’insorgenza delle malattie croniche non trasmissibili e sul grado di conoscenza e adesione ai programmi di intervento che l’Italia sta realizzando per la loro prevenzione. Dati a livello nazionale, regionale e di Azienda USL. Fra i temi indagati ci sono il fumo, l’inattività fisica, l’eccesso ponderale, il consumo di alcol, la dieta povera di frutta e verdura, ma anche il controllo del rischio cardiovascolare, l’adesione agli screening oncologici e l’adozione di misure sicurezza per prevenzione degli incidenti stradali, o in ambienti di vita di lavoro, la copertura vaccinale antinfluenzale, lo stato di benessere fisico e psicologico, e ancora alcuni aspetti inerenti alla qualità della vita connessa alla salute. Dunque un monitoraggio relativo al raggiungimento degli obiettivi di salute fissati dai Piani sanitari nazionali e regionali e finalizzato a contribuire alla valutazione del Piano nazionale della prevenzione poiché la conoscenza dei profili di salute e dei fattori di rischio della popolazione è requisito fondamentale per realizzare attività di prevenzione specifiche e mirate ai gruppi di popolazione vulnerabili e necessaria per il monitoraggio e la valutazione dell’efficacia degli interventi attuati. Nel 2006, il Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) del Ministero della Salute ha affidato al Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (CNESPS) dell’Istituto Superiore di Sanità il compito di progettare e sperimentare un sistema di sorveglianza dedicato al monitoraggio dei progressi verso gli obiettivi dei Piani sanitari nazionali e regionali e per la valutazione del Piano nazionale della prevenzione, dove le informazioni raccolte possano essere utilizzate dalla programmazione aziendale e regionale e consentire una valutazione e un sempre più accurato orientamento delle politiche di sanità pubblica a livello locale. Nel 2007, in collaborazione con tutte le Regioni, venne avviato in forma sperimentale Passi, che entrò a regime nel 2008 caratterizzandosi come strumento interno al sistema sanitario in grado di produrre, in maniera continua e tempestiva, informazioni a livello di Azienda USL e Regione.
Rapporti e schede PASSI per la regione Toscana si possono scaricare partendo dalla pagina dell’Istituto Superiore di Sanità – EpiCentro L’epidemiologia per la sanità pubblica a questo link.
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Per esempio, prendendo la più recente scheda tematica regionale sul consumo di alcol in Toscana con i dati del sistema di sorveglianza PASSI 2022-2023 emerge che «il 63,8 per cento degli intervistati dichiara di essere bevitore, ossia di aver consumato negli ultimi 30 giorni almeno un’unità di bevanda alcolica. Circa un intervistato su cinque (19,2 per cento) può essere classificabile come consumatore di alcol a maggior rischio, o perché fa un consumo abituale elevato (2,5 per cento) o perché bevitore fuori pasto (10,4 per cento) o perché bevitore binge(9,0 per cento) oppure per una combinazione di queste tre modalità. Rispetto ai dati del 2010-2013, si nota l’aumento dei bevitori fuori pasto (10,4 per cento contro 6,7 per cento) e i bevitori binge (9,0 per cento contro 8,3 per cento), a fronte di un dimezzamento del consumo abituale elevato (2,5 per cento contro 5,1 per cento). Il consumo di alcol a maggior rischio è associato maggiormente agli uomini, alla cittadinanza italiana, diminuisce progressivamente con l’avanzare dell’età, aumenta con il livello di istruzione, mentre non cambia sensibilmente a causa delle condizioni economiche. Da notare che a seguito della pandemia di Covid-19, il consumo di alcol ad alto rischio ha registrato un aumento significativo, poi nel 2023 questi livelli sembrano essere tornati ai valori medi pre-pandemici».
Circa il “binge drinking” ricordiamo che è un comportamento «caratterizzato dall’assunzione di grandi quantità di alcol in un breve periodo di tempo, solitamente con l’obiettivo di raggiungere
rapidamente uno stato di euforia o ubriachezza. Questo fenomeno è particolarmente diffuso tra i giovani e può portare a gravi conseguenze sulla salute fisica e mentale. Il binge drinking è associato a rischi come avvelenamento da alcol, incidenti, comportamenti violenti, e problemi a lungo termine come dipendenza, danni al fegato, e disturbi cognitivi. Le caratteristiche del bevitore binge tendono a sovrapporsi quasi completamente a quelle del consumatore di alcol a maggior rischio, sebbene si noti che il binge drinking sia particolarmente spiccato nei soggetti italiani, con laurea e con molte difficoltà economiche. Sebbene in diminuzione fino al 2021, il fenomeno del binge drinking ha mostrato un aumento significativo negli ultimi anni, evidenziando una preoccupante inversione di tendenza». Un cambiamento che suggerisce di intensificare gli sforzi per contrastare il fenomeno del binge drinking.
Inutile evidenziare – in conclusione – che anche l’alcol (che viene citato 14 volte nello studio pubblicato sulla rivista «The Lancet Public Health») rientra tra i fattori di rischio comprese le malattie cardiovascolari e i tumori.