Assolutamente da non perdere la mostra “Incanto Pucciniano” aperta la scorsa settimana nelle sale della villa paolina (piazza Shelley) di Viareggio.
È forse questa la prima iniziativa partorita dal Comitato del Centenario – se si esclude la parte concertistica – che veramente ha le carte in regola per offrire l’occasione per un’immersione nella vicenda umana di Giacomo Puccini. La mostra, curata da Alessandra Belluomini Pucci che si è avvalsa dell’assistenza di un valido gruppo di collaboratori, ha riunito le opere più significative dei pittori che si riunirono a Torre del Lago, attirati dalle fascinose sembianze di quel paesaggio e dall’irresistibile richiamo di vivere all’ombra di Giacomo Puccini.
Chi visiti quell’esposizione, affidata a quasi 50 opere, tutte di pregevole valore difficilmente può resistere alla sensazione di venire trasportato in un’atmosfera di sogno: le raffigurazioni del paesaggio lacustre, con le sue cangianti variazioni cromatiche riflesse dalle acque dei canali dove si specchia un limpido cielo sul quale si stagliano le aguzze Apuane, che sembrano stare lì a proteggere questo mirabile accumulo di bellezza sono l’esito di una condivisa ispirazione: ognuno per proprio conto sentiva di vivere un’esperienza che li sottraeva alla arida miseria del loro tempo e li conduceva a quell’Eden, l’inizio del mondo, che stava nei loro sogni più ammalianti. Se poi la visita alla mostra fosse accompagnata dalle musiche pucciniane allora possiamo dirci certi che proveremmo anche noi l’ineffabile emozione dell’“Incanto Pucciniano”: che, diciamolo chiaro, non è cosa da poco. Tanto più in tempi come i nostri: volgari e inutilmente chiassosi.
Dunque rinnovo l’invito a visitare la mostra che esercita una salutare funzione terapeutica.
Del resto a qualcosa del genere pensavano gli artisti che, intorno alla fine dell’Ottocento elessero Torre del Lago a luogo dell’anima ed ammaliati da quello che vedevano si dedicarono a raffigurarlo nei loro quadri. Di questa eletta compagnia, che in omaggio al Grande Maestro prese il nome di “Club de la Bohème” si forniscono i nomi, cominciando con Ferruccio Pagni, al quale è giustamente dedicata la mostra: fu Pagni il primo a “intorrelagarsi”, felice neologismo coniato proprio da Puccini. Gli vennero dietro i Tommasi, Angelo e Ludovico, poi Raffello Gambogi e Francesco Fanelli e, anche piuttosto defilato Amedeo Lori. Il gruppo, una vera e propria Compagnia, dotata di un sentire comune, accoglierà poi Plinio Nomellini, proveniente da Genova dove aveva sperimentato le novità del linguaggio divisionista. Sarà Nomellini a imprimere una spinta alla maturazione del gruppo, aprendolo alla conoscenza delle novità che si affacciavano nel panorama europeo.
Di questa conoscenza seppe fare buon uso Francesco Fanelli che meglio degli altri riuscì a mettere a frutto gli ammaestramenti che venivano dalla Francia. C’è un suo quadro nella mostra di Villa Paolina che consente di valutare la qualità della sua pittura – sembra provenire direttamente dalle rive della Senna: è intitolato “Primi Fiori” ed occupa un’intera parete sprigionando una inebriante sensazione aurorale che ha il potere di ringiovanire anche le sale della Villa Paolina che di una rinfrescata avrebbero un gran bisogno.
Volentieri, a conclusione di questo scritto segnalo una coincidenza che non può essere trascurata: proprio nei giorni in cui si è aperta la mostra di Villa Paolina ricorreva il centenario della scomparsa di Francesco Fanelli, per gli amici della “Bohème Cecco”. A suo modo la mostra ha onorato l’anniversario ed ha reso omaggio ad un artista che meritava di essere ricordato.
Ma di Fanelli, degli altri e di Puccini torneremo a parlare quando sarà pronto il Catalogo della mostra.
Avendo visto questa mostra, posso dire che è veramente interessante, quadri molto belli dai colori meravigliosi. Da visitare