“A sognare la Repubblica”: la figura di Bombacci raccontata nel nuovo libro del giornalista lucchese Fabrizio Vincenti

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Nicola Bombacci è stato un personaggio affascinante, discusso, divisivo, passionale e in grado di infiammare le folle a cui si rivolgeva. Amico di gioventù di Mussolini, sindacalista, segretario del Partito Socialista e poi fondatore del Partito Comunista insieme ad Antonio Gramsci. Uomo del popolo e fedele consigliere di Lenin, ha partecipato attivamente ai primi anni dell’Unione Sovietica per poi prenderne le distanze con cocente delusione. Riavvicinatosi in seguito a Mussolini, si è detto socialista anche in punto di morte, ma dopo la guerra è stato completamente cancellato dalla memoria collettiva. La sua storia è stata approfondita nel nuovo libro (già alla prima ristampa) di Fabrizio Vincenti, giornalista lucchese che con disponibilità ci ha illustrato tale personaggio e che, alla fine, si è anche lasciato andare ad alcune considerazioni sullo stato attuale del giornalismo e della politica lucchese.

Vincenti, la prima domanda è: come mai ha scelto di scrivere un libro proprio su Nicola Bombacci?

Il periodo della Repubblica Sociale mi è sempre interessato molto, e avevo già avuto modo di studiarlo per altre figure. Questo è un libro che deriva da un’idea nata insieme al mio editore alcuni anni fa e che, originariamente, doveva essere scritto a quattro mani con lui. Poi proprio il mio editore – che a livello di produzione è molto concentrato sul dopoguerra – mi ha detto che potevo procedere autonomamente. Quindi tutto il materiale che avevamo raccolto in giro per l’Italia l’ho preso in gestione io e da lì è nata l’idea di scrivere un libro focalizzato sui rapporti tra Mussolini e Bombacci e, soprattutto, sull’ultimo periodo di Bombacci, ovvero quello della Repubblica Sociale Italiana.

Chi è stato e che cosa ha rappresentato, per il nostro paese, Nicola Bombacci?

Nicola Bombacci è indubbiamente una figura interessante, ancorché dimenticata, di questa nostra Italia. Perché? Perché la sua storia è un po’ la storia del nostro Paese. Bombacci è infatti un personaggio che nasce socialista, poi diventa comunista e muore fascista, quindi da questo punto di vista è anche un’anomalia rispetto al corso degli eventi. È una personalità che rappresenta il Paese perché ha attraversato tutte le correnti politiche vitali del secolo scorso. Però Bombacci è un personaggio interessante anche per la sua dirittura morale, perché è una persona che è nata e morta senza un soldo in tasca, quindi la politica non l’ha certo vissuta come arricchimento personale ma come un impegno civile e un impegno a disposizione degli altri, soprattutto degli ultimi. È un personaggio che ha fatto la storia, non dimentichiamoci che è stato uno dei fondatori del Partito Comunista: se sulle bandiere rosse che sono sventolate per tanti anni, anche dalle nostre parti, c’erano la falce il martello, lo dobbiamo a Nicola Bombacci, che ha portato tale simbolo in Italia.

Secondo lei perché, dopo la guerra, un personaggio così rilevante è stato letteralmente cancellato dalla memoria collettiva?

È stata fatta un’operazione di rimozione, così come è accaduto anche a tanti altri personaggi e per intere fette della storia italiana. Da questo punto di vista, vorrei anche ricordare quello che era il consenso di Mussolini all’estero, anche in paesi apparentemente insospettabili come l’Inghilterra, fino almeno alla metà degli anni ’30. Tutto questo è stato quasi completamente rimosso, ed è una cosa che fa pensare! Ecco, per ritornare a Bombacci, lui era una figura particolarmente scomoda per il Partito Comunista proprio perché, essendo uno dei fondatori – che poi finisce per essere ucciso da altri comunisti a quel muretto di Dongo insieme ai massimi gerarchi del Partito Fascista Repubblicano – diventa una persona da lasciare nel più completo oblio. Perché? Perché altrimenti la stessa retorica resistenzialista avrebbe trovato qualche pesante incrinatura nell’accorgersi che un personaggio nato comunista, vicino ai poveri, agli ultimi e agli operai, alla fine aveva sostenuto di poter trovare nel fascismo l’unica forma di socialismo possibile. E quindi, di fatto, è stato quasi cancellato dalle foto di famiglia dalla storiografia comunista!

Però ammetterà che, a prima vista, la parabola politica di Bombacci potrebbe apparire quantomeno contraddittoria. Non crede?

Solo apparentemente e solo se ci rifacciamo a quella che è la vulgata. Lui nei suoi scritti lo ha detto più volte: “Io arrivo al Fascismo nella sua fase terminale!”. Quindi sicuramente non lo ha fatto per motivi di opportunità come invece avevano fatto molti altri, poi diventati comunisti a fine guerra, ma che in prima battuta erano stati fascisti e che hanno anche lasciato scritti importanti della loro militanza. Bombacci diventa fascista alla fine di un percorso nel quale si convince – e lo scrive più volte – che l’unico socialismo reale e dal volto umano lo avrebbe potuto realizzare Mussolini e non certo Stalin. E, intendiamoci, Nicola Bombacci era uno che della Russia sovietica conosceva vita, morte e miracoli perché è stato per lungo tempo il trait d’union tra l’URSS e i comunisti italiani.

Perché, secondo lei, oggi dovrebbe essere riscoperto e approfondito un personaggio come Bombacci?

Innanzitutto per il suo carico di umanità, in un momento in cui l’umanità sembra essere in qualche maniera scomparsa. Bombacci era una persona ricca, ricchissima di sentimenti e di voglia di impegnarsi per gli altri. Tant’è vero che, anche nel mio libro, quello che prima di tutto emerge con forza è la storia di amicizia tra lui e Mussolini. Questo è l’elemento che, personalmente, mi ha colpito di più. Tra i due c’era infatti un rapporto strettissimo, che era di natura personale molto prima che politica. E poi Bombacci dovrebbe essere riscoperto perché può aiutare a ricostruire quelle correnti che hanno segnato il secolo scorso, proprio perché lui le ha attraversate tutte. Infine dovrebbe essere riscoperto perché parte del suo messaggio sociale, quello legato al tentativo di definire una società più giusta e più rispettosa degli ultimi attraverso la dignità del lavoro, è ancora valido. Quindi la lezione di Bombacci, depurata dagli elementi contingenti, è una lezione davvero preziosa.

Lei è un giornalista, e allora voglio farle una domanda: oggi – anche in relazione a certi delicati argomenti cittadini – chi si firma sui giornali è perduto, come si diceva in tempo di guerra?

Certo, chi si firma è perduto. Questa è un’espressione che veniva usata proprio durante la Repubblica Sociale, dove i pezzi li firmavano solo i direttori di testata e pochissimi altri coraggiosi, dato che si sapeva che il rischio che si correva a firmare gli articoli era elevato. E non era neppure un rischio teorico, perché durante la Repubblica Sociale sono caduti almeno una ventina di giornalisti ammazzati per strada, spesso in situazioni in cui erano completamente inermi. Diciamo che il mal vezzo di non mettere la testa fuori, e di adagiarsi al conformismo per paura delle conseguenze, da questo punto di vista è una malattia endemica. Quindi si, chi si firma continua ad essere un po’ perduto…bisogna vedere chi ha il coraggio di firmarsi!

Ma cos’è, per lei, il giornalismo? A Lucca c’è ancora qualcuno che lo fa?

Per me il giornalismo è prima di tutto una missione, è una scelta che io ho fatto in un momento preciso della mia vita. Quindi credo nel giornalismo, credo nella missione di dover informare le persone e di dover anche, attraverso il giornalismo, studiare quello che succede nel mondo, nella mia città e nella nostra Italia. Quanto a Lucca, è sempre spiacevole fare delle classifiche. Mi auguro che qualcuno che scrive ci sia sempre, e anzi ci sarebbe da auspicare che aumentasse il numero delle persone che si dedicano a un mestiere che, mi sembra, si sta avviando ai titoli di coda, almeno rispetto al giornalismo che avevamo conosciuto.

Destra, sinistra e centro: cosa pensa dell’attuale scena politica lucchese?

Domanda complessa. Vedo una grandissima confusione e anche qui vedo un grandissimo conformismo. Ci sono, in politica come nel giornalismo, pochissime persone che hanno il coraggio di mantenere la barra dritta e di non piegarsi a dinamiche che sono quantomeno discutibili. Vedo un momento di grande confusione e vedo incertezza. Vedo troppi volti noti che continuano da anni ad affollare la scena avendo quasi trasformato la politica in un mestiere.

E, per capire, chi sono questi personaggi che riescono a mantenere la barra dritta?

Anche qui, come per i giornalisti, non è il caso di fare nomi. Ci sono alcune persone che, al netto del fatto che potrebbero avere idee anche molto diverse dalle mie, hanno coerenza, continuità di pensiero e impegno civile. Altre persone mi pare che galleggino, e purtroppo mi sembra che questo secondo gruppo sia nettamente superiore, a prescindere poi dal singolo schieramento. Io vedo una situazione politica che è molto vicina a quella della fine dell’800: gran trasformismo, grandi passaggi, pochi ideali, piccoli e grandi affari che si cercano continuamente di coltivare.

Giovanni Mastria
Giovanni Mastria
Nato a Lucca, classe 1991. Scrivo con passione di cultura, attualità, cronaca e sport e, nella vita di tutti i giorni, faccio l’Avvocato. Credo in un giornalismo di qualità e, soprattutto, nella sua fondamentale funzione sociale. Perché ho fiducia nel progetto "Oltre Lo Schermo"? Perché propone modelli e contenuti nuovi, giovani e non banali.

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