Le donne, le auto e l’arte di fare figli

-

Mi sono comprato una macchina nuova.

Mi piacciano le macchine. Mi sono sempre piaciute, sin da bambino. In fondo le auto ci fanno tornare un po’ bambini, soprattutto a noi maschietti.

Come sempre si fa in queste occasioni, sono andato a farla vedere agli amici.

Fuoco di fila di domande: “quanto fa da 0 a 100?”, “quanti cavalli ha?”, “tiene bene in curva?”, “che ADAS ha?”, “è comoda per un lungo viaggio?”, “quanti chilometri ci hai già fatto?”.

Dall’altra parte, dalla parte «rosa» della comitiva attorno a mia moglie, i commenti erano di altro tenore: “che bel colore!”, “non è il solito blu!”, “è blu cobalto!”, “no, è blu di Persia!”.

… Aveva ragione Jhon Gray. Gli uomini e le donne vengono da due pianeti diversi…

Uno di loro (scapolo) mi dice: “ma con tre figli, te la puoi permettere una macchina nuova?”

E io: “la macchina me la posso permettere… Sono le tre figlie che non mi posso permettere! Ma poi le tengo lo stesso…”

È la regola dell’uno a uno. Chiunque ha più di un figlio e meno di un milione di euro da parte direbbe lo stesso.

C’è anche chi si è divertito a fare due conti: da 0 a 18 anni, ogni figlio ti costa 175.642,72€. Essendoci tra i nostri lettori anche degli stimati professori di Economia, specifico che sono certo che gli autori dello studio abbiano ottime ragioni per giustificare anche i settantadue centesimi della stima! Ma io non sono professore e lascio ad altri questi dettagli.

Poi, dopo i 18, i figli diventano grandi.

E, si sa, figli grandi… costi grandi!

Auto, università, matrimoni, casa… Secondo un altro studio (evidentemente meno preciso del precedente, vista la cifra tonda) fino a 700’000,00€ solo per l’istruzione se si vuole scegliere anche istituti privati per gli studi dei figli. E se di figli ne hai tre, devi fare un po’ di moltiplicazioni… e magari sederti prima di leggere il totale.

E il peggio è che è una spesa che cresce nel tempo: le stesse indagini mostrano che la spesa media aumenta con l’età dei pargoli. Che poi bastava chiedere a chiunque abbia un figlio e te lo diceva gratis.

A fronte di questo lo Stato offre l’assegno unico per i figli: un contributo importante ma evidentemente insufficiente che, sommato sulla vita del pargolo, dà tra i 30’000,00 e i 70’000,00€ a figlio (dipendente da redditi e numero di figli).

Per ogni figlio devi pensare che ci vorrebbe una vita di lavoro.

Meno male che non è il conto che facciamo per decidere se metterli al mondo!

Per le donne, anche qui, è diverso: loro li portano in grembo i bambini: hanno un diverso rapporto affettivo. All’aspetto economico ci pensano ma quello affettivo ha il sopravvento.

Per noi maschietti, invece, il conto economico pesa di più.

Però ci frega il modo in cui si fanno i figlioli… in quei momenti non è il cervello che ha la precedenza nel flusso di sangue… perdiamo un po’ di lucidità!

Se vogliamo discutere del calo del tasso di natalità dobbiamo partire da qui: dal fatto che avere un figliolo costa più che comprarsi una Ferrari (che, per inciso, non potrei permettermi davvero…).

Non è solo un problema di asili nido: quello è un problema che ci riguarda per un paio di anni appena. I problemi sono dopo.

Ma se si vuole spingere in su davvero la natalità, non dobbiamo parlare solo del portafoglio: il problema va ragionato soprattutto dal punto di vista delle donne.

Perché sono loro che li fanno, questi figlioli. Senza di loro non si va avanti.

Ad una ragazza che dice che dice di non volere avere bambini, che gli dici?

“Quando saranno tuoi, sarà tutto diverso…”

“Certo, quando avrò un figlio, che dopo avermi rovinato il fisico e avermi tenuta sveglia tutte le notti, mi lascerà senza prospettive né carriera per i prossimi 20 anni, allora sì, sarà tutto diverso!”

Per parlare di natalità dobbiamo cominciare a pensare a loro. Alle future mamme. Dobbiamo ripensare la nostra società per garantire davvero che entrambi i genitori possano avere un lavoro normale e non siano costretti a scegliere tra carriera e famiglia. Perché per mantenerli, i figli, si deve lavorare in due. Ma per come siamo organizzati in Italia, per crescerli bisogna che qualcuno stia a casa almeno mezza giornata al giorno. Non serve un matematico per notare che il conto non torna. E questo non è un problema dei primi due anni ma dei primi 20.

Se vogliamo che il tasso di natalità cresca, dobbiamo quindi partire dalla scuola, che non può essere solo la mattina ma deve coprire una giornata di lavoro dei genitori. E pace santa per i sindacati degli insegnanti.

E poi, se la scuola deve educare i nostri giovani per tutto il giorno, è giusto che ciascuno possa scegliere la scuola che vuole. Il che significa che deve esserci una pluralità di scuole, anche non statali, tra cui le persone possano scegliere. Scuole che possano garantire oltre ad una buona formazione anche una coerente attenzione a valori come religione ed etica secondo le legittime indicazioni delle famiglie. Di tutte le famiglie, non solo quelle con un patrimonio imponente.

Si potrebbe quindi rispolverare la nota idea dei voucher formativi al posto dei finanziamenti a pioggia alle scuole pubbliche, anche alle più inadeguate.

E poi ci vuole un sostegno economico più effettivo che l’assegno unico. Che va nella direzione giusta ma è un «panicello caldo» rispetto al problema. Visto che i costi per mantenersi un figlio, come abbiamo visto, sono nettamente superiori a quanto lo stato mette a disposizione.

Eppure, se non facciamo più figli, la situazione diventerà disperata per tutti. Per le pensioni, per l’assistenza sanitaria, per le prospettive di sostenibilità del debito pubblico.

Se vogliamo figli dobbiamo cambiare i tempi della nostra società per fare in modo che le donne abbiano una reale possibilità di lavorare e una umana gestione della famiglia. Che deve gravare su entrambi i coniugi, certo.

Ma, se questo management deve portare uno dei due a sacrificarsi, la parità di genere sarà sempre e solo una pia illusione: perché le donne stesse non lasceranno, in larga maggioranza, tale compito al marito. E, nel tentativo di conciliare l’inconciliabile, limiteranno o eviteranno le gravidanze.

E l’inverno demografico sarà assai rigido.

Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi

Photo by Emma Bauso from Pexels

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

Share this article

Recent posts

Popular categories

1 commento

  1. Eh sì, l’inverno demografico nel nostro paese può rivelarsi assai rigido per molti di coloro che oggi sono sotto certe soglie di età (anche senza tre figli/e e senza il desiderio di procurarsi una nuova auto). In un futuro prossimo, ciò riguarderà il tema delle pensioni, dei servizi collettivi e sociali, di opportunità di lavoro e delle stesse produzioni.
    Per quel poco che so, a diminuire il numero delle nascite non sono tanto, come spesso si crede, le scelte delle coppie, ed in particolare delle donne da decenni sanamente alla ricerca di attività fuori dagli ambiti domestici per una piena espressione della loro identità e qualità umane e professionali. Piuttosto la diminuzione di donne in età fertile, la loro minore numerosità e composizione per fasce d’età. Il tasso di fertilità biologica non va confuso con il tasso di fecondità statistica (numero di figli per donna), questa in Italia in seppur lievissimo aumento. (Per esemplificare in altro campo, la produttività – o capacità di produrre -non va confusa con la produzione pro-capite).
    Di fronte ad un dato strutturale come la diminuzione della fertilità biologica, indipendentemente dalle cause, non bastano i “pannicelli caldi” quali quelli che possono essere forniti da trasferimenti monetari di risorse pubbliche, sgravi fiscali e altre incentivazioni economiche attraverso servizi collettivi e sociali, anche se possono avere effetti statisticamente rilevabili. Giova semmai riflettere a fondo sull’incrociarsi in questa fase storica di tale trend strutturale con l’altro, altrettanto strutturale, delle migrazioni, senza paraocchi pre-analitici o ideologici di qualsiasi natura, bensì con la mente aperta al cambiamento (che ci sarà comunque). Piaccia o non piaccia, si tratta anzitutto di conoscere in profondità queste due tendenze per poi cercare gestirle al meglio nelle direzioni desiderabili in una prospettiva inter-generazionale ed inter-etnica. Vasto programma, certo. Ma esistono alternative?

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Recent comments