Il Coronavirus che, per alcuni sembra un ricordo lontano e per altri non sembrerebbe mai esistito, desta sempre e giornalmente polemiche sia a livello nazionale che nella nostra città.
Al centro del dibattito tra i lucchesi in questi giorni c’è sicuramente l’App Immuni, targata Apple e Google, e che ormai è nelle mani delle autorità sanitarie con l’obiettivo di arginare il possibile contagio da Coronavirus, soprattutto tra asintomatici.
L’applicazione, lanciata in via sperimentale ieri, 8 giugno, in Abruzzo, Liguria, Marche e Puglia, è sostanzialmente una piattaforma che consente di utilizzare, tramite Bluetooth, le informazioni relative agli spostamenti e ai contatti fra cittadini durante l’emergenza sanitaria in modo che, qualora una persona risultasse positiva al Covid, può segnalarlo attraverso l’app in modo che gli altri cittadini possano essere raggiunti e informati del possibile contagio. Il tutto, è bene sottolinearlo, non è assolutamente obbligatorio ma solo una scelta volontaria, anonima e rispettosa della privacy in quanto è stato dichiarato che la raccolta dei dati degli utenti sarà limitata a quelli strettamente necessari a contenere la diffusione del virus.
A fronte di questo tentativo governativo, che passa attraverso la tecnologia, Lucca si è decisamente infiammata e spaccata in due: da una parte, in minoranza, coloro che la reputano una buona occasione non solo per arginare il possibile contagio del virus ma anche per partecipare attivamente per il bene della comunità. Dall’altra parte, in maggioranza e ruggenti, coloro invece che dicono no senza indugi, in nome di una privacy violata, coloro che si sentono vittime di un complotto per cui la classe politica vorrebbe controllarci per portare a termine quel disegno subdolo che stanno tramando alle nostre spalle.
Da chi dice che non la scaricherà “mai e poi mai”, a chi sostiene che non vuole essere “controllato dal potere”, ad ancora “io nemmeno se mi obbligano, piuttosto butto via il cellulare” fino al tuono di un lucchese che afferma: “nemmeno sotto tortura. Non è bastata la dittatura subita? Vogliamo pure la tracciabilità e il marchio del contagiato? Come se fosse poi significativo essere positivo ad un’influenza, fra l’altro gli asintomatici non possono nemmeno trasmettere il virus”.
Su questa frase è giusto soffermarsi un attimo perché, oltre al parere altrui, che è giusto e sacrosanto rispettare sempre, ci sono quelle affermazioni, come questa che è solo una delle tante, che invece è giusto arginare per il rispetto di tutte le vittime dirette e indirette della pandemia, in nome di tutti i sacrifici che gli italiani stanno facendo. Con più di 33mila decessi e un paese in ginocchio, paragonare ancora il Covid a un’influenza e sostenere che gli asintomatici non lo trasmettono sembra un insulto all’intelligenza di tutti coloro che stanno cercando di ricominciare.
Tornando a Immuni, la problematica principale sulla quale i lucchesi restano diffidenti è la questione “privacy”: improvvisamente tutti siamo diventati fanatici!
Il fatto di essere tracciati sugli spostamenti che facciamo non è proprio andato giù a tutti coloro che si sentono vittime di quel sistema che li riduce in burattini. Si è insinuata la credenza della cosiddetta “dittatura sanitaria” dove Immuni è solo la punta dell’iceberg e le proteste e manifestazioni in nome di “un virus che non esiste” che si stanno alimentando in Italia in queste settimane non aiutano sicuramente a una visione oggettiva e razionale, facendoci dimenticare anche la sfilata delle bare a Bergamo.
La negazione di Immuni in nome di una privacy violata, anche se così realmente non è, potrebbe però avere un minimo di senso logico solo ed esclusivamente se tutti coloro che si sentono vittime di questo meccanismo non avessero nessun account su nessun social, teatro, invece, in cui si scatena il dibattito. Dal momento che abbiamo in mano uno smartphone e un account su un social network la nostra privacy è compromessa ma a questo non facciamo caso. A molti probabilmente non è noto il fatto che su Facebook, per citare un esempio, il nome dell’utente nel momento dell’iscrizione viene indicizzato senza consenso nei motori di ricerca esterni rendendo così visibili i dati personali, allo stesso modo qualora si volesse cancellare il proprio account è bene ricordarsi che l’eliminazione dei dati non è automatica ma essi restano sul server per un periodo indeterminato.
Questo per dire che, nella quotidianità, non abbiamo problemi ad attivare la geolocalizzazione per trovare un ristorante, per raggiungere un appuntamento in un’altra città, per scambiarci messaggi su Whats’App, per postare foto su Facebook e Instagram, per trovare partner occasionali su Tinder ma Immuni, l’app che sta tentando un approccio poco invasivo e innovativo per la gestione dell’emergenza sanitaria, è stata fin da subito stigmatizzata.
Nessuno sa se Immuni avrà davvero la sua utilità, se si rivelerà uno strumento efficace e tutti abbiamo il diritto di decidere se scaricarla o meno, ma queste polemiche sterili generano inevitabilmente un grande caos su cose che non sono nella competenza della maggior parte delle persone.