Si chiude domani l’iter della legge di bilancio 2023 con la questione di fiducia e la votazione al Senato. Un iter compresso dalle prime elezioni in autunno della storia repubblicana che hanno lasciato oggettivamente poco spazio all’elaborazione di una strategia politica complessiva. Una legge di bilancio segnata anche, e soprattutto, da una urgenza bollette che la crisi energetica internazionale ha determinato. E che ha assorbito gran parte dello spazio economico che poteva essere utilizzato. Un intervento che possiamo considerare di grado sociale per via della forte incidenza che questo ha nel sostegno alle famiglie, e di impatto economico per il sostegno che ne hanno le imprese, soprattutto quelle energivore.
Tenuto conto di questi due elementi esterni alle decisioni della maggioranza cerchiamo di capire quali sono gli assetti portanti della manovra e di individuare quelli che sono le direzioni che il nuovo governo sta dando al paese.
Il primo fattore chiave che va messo in evidenza è la disciplina di bilancio. Che poi significa la scelta di non operare in deficit in modo intenso, come pure una parte di maggioranza e di opposizione avevano chiesto e auspicato durante la campagna elettorale.
Il refrain di questa maggioranza, ma forse dovremmo più correttamente dire della Presidente del Consiglio in accordo con il Ministro dell’Economia, visto che altri partiti e leader avevano indirizzi assai diversi, è stato quello di ricordare che servivano le coperture per ogni intervento. Magari coperture un po’ logore, come quella degli extraprofitti che producono sempre meno risultato di quanto non è atteso, ma almeno la foglia di fico di una ipotesi di copertura deve esserci.
E questo credo vada salutato come un sollievo dopo anni di interventi in deficit, come se quei debiti non fossero altrettanti mutui che vanno onorati. Pena il vero dissesto finanziario dell’Italia: un’ipotesi che nessuno pare prendere in considerazione ma che, quando si palesa, lo fa con una rapidità che non lascia tempo di reazione. E che non è così lontana, per un paese che, con gli interventi del governo Conte, ha portato il debito pubblico dal 134% del 2019 ad oltre 155% del 2020: un valore molto pericoloso per il rischio di una crisi di fiducia internazionale.
Il secondo asse di sviluppo della manovra è stato il fronte fiscale, segnato però da una linea ondivaga o, forse, solo effetto della necessità di pagare dei dazi alle forze politiche di maggioranza. Da una parte, infatti, si è lavorato con il tema dell’equità e dell’attenzione alle fasce più deboli della popolazione, con il limite ISEE posto su quasi tutti i provvedimenti del governo. Dall’altra c’è stata l’espansione della flat tax per autonomi ad 85’000 euro. Oltre al tema del POS che ha monopolizzato il dibattito pubblico e che ha creato un po’ di imbarazzo al governo.
Il punto, tenuto principalmente da FdI, della precedenza della redistribuzione delle poche risorse disponibili verso i nuclei familiari della fascia più povera della popolazione, segna una diretta connessione della attuale premier con i ceti popolari: connessione che, anche sul piano elettorale, si è vista ampiamente. E che, ovviamente, sta mettendo in difficoltà il centro sinistra che ha protestato contro l’iniquità della legge dovendosi poi schiacciare sulla questione dei POS e del limite al contante. Oggettivamente cose di poca importanza complessiva.
L’altro punto di grande sensibilità è stato la revisione, preliminare alla soppressione, del reddito di cittadinanza. La misura era stata criticata anche dal PD come errata ed era ritenuta da tutti, fuorché i 5 Stelle, inadeguata a risolvere i problemi della povertà. Il lavoro, per quest’anno, di rifondazione di una misura universale contro la povertà, era oggettivamente non fattibile visti i tempi stratti tra elezioni e legge di bilancio. D’altronde la direzione è stata annunciata: separazione netta delle politiche di reinserimento lavorativo da quelle di sostegno alla povertà.
Le prime saranno legate all’idea che lavorare non è una opzione ma un dovere e una necessità. Il che si declina, e in parte lo si vede anche nelle modifiche già apportate al reddito di cittadinanza, nella necessità di accettare le proposte di lavoro che ci sono e non di scansarle con la motivazione di un non ben definito non gradimento.
Le seconde sono, e saranno, legate all’istituto dell’assegno unico, per la genitorialità, e a misure dedicate all’inclusione sociale per i casi in cui il beneficiario non può lavorare. E per questi si andrà identificando meglio i casi: persone che devono curare non autosufficienti e soggetti non reinseribili nel mondo del lavoro per varie ragioni (da età a invalidità o gravi disagi sociali). C’è da augurarsi che non vengano fatte una pluralità di leggi diverse, come è stato fatto per tutti questi anni, ma che venga gestito un solo strumento con una platea di beneficiali vasta (meglio se identificata in modo puntuale).
Complessivamente, se riusciranno a completare il percorso indicato, è un approccio che difficilmente può essere contestato e che ricalca le dichiarazioni anche del PD al momento in cui il reddito fu lanciato dai 5 Stelle.
Gli altri punti della manovra sono più marginali in termini di impatto economico.
Positivo l’intervento su opzione donna: è stata rinnovata ma limitandola nella sua accessibilità. Questa in particolare è una legge abbastanza illogica perché consente l’uscita anticipata dal mondo del lavoro proprio alla categoria che, statistiche alla mano, vive di più. Limitazioni in aggiunta al precedente regime pensionistico anche per quota 103. Anche qui una necessità visto che il sistema non è in equilibrio economico. Forse ci vorrebbe più coraggio anche in questa direzione vista la grave disparità sociale che si è generata tra le generazioni che sono in pensione, quelle che ci stanno andando e quelle che ci si devono ancora avvicinare (il cui futuro pensionistico è assai dubbio).
Un intervento significativo per le imprese e a sostegno delle assunzioni è la decontribuzione per i “giovani” (intesi fino a 36 anni) e, più esteso, per le donne (quest’ultima effettivamente una urgenza vista la minor presenza di queste nel mondo del lavoro). Assai meno importante, in termini di efficacia, la riduzione di un punto del cuneo fiscale.
Le misure più contestate, POS, flat tax e tregua fiscale, hanno il sapore più elettorale che di sostanza. Il tema del POS verrà ripreso sulla linea del sostegno alle piccole imprese nell’affrontare i costi dele transazioni. Approccio assai più opportuno soprattutto considerata la vocazione turistica che si pretende di avere in Italia e l’uso normale dei metodi di pagamento elettronico da parte dei turisti. L’innalzamento della flat tax è probabilmente la nota più stonata di una manovra altrimenti piuttosto attenta all’equità tra fasce di popolazione. È una misura dal costo limitato che sembra più una mancia elettorale che una parte significativa del progetto. D’altro canto, stona anche il silenzio assordante dell’opposizione che, a parte qualche osservazione con poco impegno, ha glissato sul tema per evidenti interessi elettorali. Infine, la tregua fiscale è stata talmente depotenziata (solo sotto i 1000 euro, e con il placet dei comuni che non è affatto scontato, o limitata alla riduzione degli importi delle sanzioni) da essere di portata assai limitata e, forse, contribuire positivamente alla riduzione di un magazzino fiscale (cioè di una scorta di contestazioni in essere da parte del fisco) di cui l’agenzia delle entrate stessa dichiara la scarsa esigibilità (quindi sono, in parte importante, solo carta straccia).
Ci sono poi i molti elementi occasionali: dal ponte sullo stretto alla rateizzazione dei debiti per le società calcistiche, dalla tassa di soggiorno, allo smart working per alcune categorie più fragili ecc., che poco dicono delle intenzioni del governo e che quindi lasciamo da parte.
Nel complesso è quindi una manovra di impatto limitato (visti i pochi soldi fuori dell’emergenza) che fa il minimo indispensabile ma che indica un governo guidato da tre punti cardinali (anche se con qualche mediazione forse di troppo): disciplina di bilancio, precedenza alle fasce più bisognose con particolare attenzione alle famiglie come istituto, e un certo pragmatismo.
Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi
Peccato però che non si parli della stangata rifilita ai pensionati con pensioni medie, che si vedono ridurre in maniera oltremodo significativa le rivalutazioni, previste dalla legge. Non solo si riducono le aliquote, ma si passa dalla rivalutazione a fasce a quella a scaglioni, ancora più penalizzante. Si dirà che questo è un andazzo che dura da anni, ma, forse con la sola eccezione dell’infausto governo Monti, questa manovra è quella che penalizza maggiormente le pensioni medie. E ciò avviene in un momentoi in cui l’inflazione, a differenza di quanto accaduto in passato, ha raggiunto soglie elevatissime. Va bene elevare le pensioni minime, ma perchè penalizzare coloro che hanno pensioni appena un pò più alte, perchè hanno lavorato per più anni o hanno ricoperto posizioni di maggiore impegno e responsabiltà e quindi pagato maggiori contributi?E badate che non parlo delle cosiddette pensioni d’oro, ma di che percepisce circa 1800 euro NETTI mensili. Nel complesso giudico questa una manovra piuttosto spostata a sinistra, checchè se ne dica
Concordo con quanto detto.
Questo è effettivamente un punto significativo: la manovra del centro destra è più “sociale” di gran parte delle manovre fatte fino ad ora.
È pur vero che i soldi da spendere, tolti quelli per l’energia, erano pochi, ma vanno tutti a redditi molto bassi. Il che fa, di questa manovra, una manovra “di sinistra”. È per questo che trovo curioso che la critica prevalente del centrosinistra sia che è una manovra iniqua (puntando sulle modifiche ad un reddito di cittadinanza che non funziona).