Le radici della politica italiana – le origini dei Bianchi e dei Rossi e lo scontro tra le due culture – I Parte (’46 – ’80)

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La politica, negli ultimi anni, ha perso credibilità e i politici sono considerati, spesso a ragione, persone non particolarmente competenti o degne di stima. E questo è un vulnus oggettivamente preoccupante perché la guida deve essere stimata se vuole poter condurre il paese. Abbiamo quindi deciso di fare un piccolo ciclo di articoli che possa aiutare a vedere come è nata la nostra cultura politica e anche come è nato il discredito che la accompagna.

Dicevamo, quindi, che la politica di oggi non ha grande credibilità né è considerata affidabile. Ma non è sempre stato così: un tempo (nel dopoguerra) i personaggi che si muovevano erano dei fuoriclasse. Mica gente che potevi dire “uno di noi”. Erano “il meglio del meglio”.

La gente voleva qualcuno che potesse essere affidabile. Ne aveva bisogno. C’era da ricostruire un paese in macerie. C’era una tensione palpabile e una storia recentissima di dolore (il fascismo e la guerra) che faceva paura davvero, non come ora.

In origine, dicevamo, c’erano i Bianchi e i Rossi. Più qualche cosa di altro.

I Bianchi erano (soprattutto) quelli della DC. Gente tosta che aveva studiato. Studiato davvero. Per dire, Alcide De Gasperi era uno che in vacanza, per rilassarsi, leggeva Senofonte. In greco antico.

La maggioranza di loro veniva dall’Azione Cattolica. E lì c’erano delle regole: se si andava in politica non si tornava indietro all’AC. Perché collateralismo sì, confusione no. Regole che oggi ci sembrano quasi sciocche e eccessivamente rigide perché abbiamo perso il senso delle istituzioni. Abbiamo perso il senso dei ruoli che ciascuno deve avere: le battaglie morali le faceva l’Azione Cattolica, che comunque era costituita primariamente da laici (intesi come “non-clero”) ed avevano una notevole credibilità. La politica seguiva la linea perché la gente approvava una impostazione culturale portata avanti fuori della politica.

Erano persone che facevano la gavetta sui territori prima di poter arrivare in alto. Perché per rappresentare bisognava conoscere. Preparate sul piano amministrativo e culturale.

Attorno ai Bianchi c’erano i “laici” (questa volta intesi come non-credenti): repubblicani e liberali, inizialmente, poi anche socialdemocratici e infine socialisti. Piccoli rispetto alla Democrazia Cristiana ma casa naturale per chi non voleva militare in un partito con una forte caratterizzazione confessionale. Talmente collegati con questa, però, da essere definiti, collettivamente con la DC, Penta-partito. Tra i laici, dicevamo, c’erano anche i socialdemocratici e socialisti. Loro venivano dallo stesso «brodo culturale» dei Rossi ma avevano una visione diversa del punto finale: non la rivoluzione russa ma la socialità occidentale. E per non rischiare di sparire, erano i più fermi contro le ipotesi di qualsiasi accordo con i Rossi.

Dall’altra parte c’erano loro: i Rossi. Molti venivano da ceti più popolari ma i vertici erano gente altrettanto tosta: Gramsci, Longo, Togliatti. Gente con alle spalle vite intense e vivida intelligenza ma anche studi significativi (per lo più). E che temeva, e un po’ soffriva, il distacco culturale complessivo con i Bianchi tanto che portano il tema della formazione dei quadri e dei dirigenti di partito ad un livello sconosciuto ai primi.

Creano gli uffici per la propaganda, fanno dei percorsi interni al partito per far crescere il personale politico (quasi fossero dipendenti del partito stesso – e, in parte, lo erano), investono enormi energie nella cultura.

Negli anni del primo dopoguerra, le strutture pubbliche sono ancora presidiate dalla classe dirigente che si era formata nel fascismo. E che si collega più facilmente con i Bianchi. Ma l’Italia è in pieno boom demografico che accelera mano a mano che il benessere aumenta. E questo apre sempre nuovi posti nella pubblica amministrazione che, tra pensionamenti e nuove funzioni, va espandendo il proprio organico molto di più che le funzioni che deve svolgere (più segnatamente nel ventennio ’70 – ’80). In questo i Rossi si fanno trovare preparati, con quadri e dirigenti formati al loro interno che vengono «sistemati» nel crescente pubblico impiego. E questo produce una specie di reclutamento massivo all’interno delle burocrazie dello stato, solo parzialmente contrastato dai Bianchi che comunque lo considerano un contesto in cui fare mediazioni per garantirsi un terreno comune di confronto.

È sul piano culturale, però, che i Rossi ottengono un dominio netto. Soprattutto a partire dalla fine degli anni ’60 (con particolare enfasi nel ’68). Cantanti, cinema, letteratura e, soprattutto, la scuola, virano progressivamente verso le istanze dei Rossi con i Bianchi che restano un po’ al margine del mainstream. Uno slittamento forse anche dovuto alla presunzione di chi, un po’, si sentiva superiore e ha sottovalutato l’avversario.

Probabilmente la DC di allora pensava che la formazione dei suoi quadri potesse restare per sempre affidata a quell’Azione Cattolica che era il motore culturale dei Bianchi. E davvero, fino alla fine degli anni ’60, questo meccanismo aveva garantito ai Bianchi una solida formazione della classe dirigente e un collegamento stabile e potente con il sentire popolare. Era l’AC, infatti, che si occupava anche della formazione popolare, tramite le proprie diramazioni nelle parrocchie e nelle diocesi. E, grazie a queste presenze e attività, costruiva anche un «sentiment» popolare coerente con l’azione politica portata avanti. È così, tra sopravvalutazione della tenuta del sistema «privato» di AC e sottovalutazione delle possibilità dell’avversario, il tema della formazione pubblica (inteso come il progressivo spostamento burocratico e culturale della scuola pubblica verso il PCI) fu derubricato dalla DC ad un tema non fondamentale e gestibile.

La DC di allora si sbagliava.

Proprio verso la fine degli anni ‘60, la Conferenza Episcopale Italiana minò alla base la struttura della Azione Cattolica (nel percorso di attuazione del concilio) togliendogli il mandato di annunciare la fede e, con quello, di organizzare la formazione dei fedeli.

E le fonti culturali della DC, seppure lentamente, cominciarono a seccarsi. Sia in relazione alla formazione dei dirigenti che, soprattutto, nella formazione di una cultura popolare e universale.

Altrettanto lentamente, il ricambio generazionale che seguì, vide calare il livello culturale e ideale delle nuove leve politiche. Progressivamente, lungo gli anni ’70 e più marcatamente lungo gli anni ’80, il livello di gestione del potere sopraffece lo spirito idealista del partito popolare di Don Sturzo.

Soprattutto, si divaricò lo iato tra la politica e la sensibilità popolare, non più orientata da una formazione di popolo che la Chiesa Cattolica, orba dell’Azione Cattolica, non fu più in grado di portare avanti in modo ordinato e coordinato.

Probabilmente, il segno di questa rottura fu materializzato dalle sconfitte referendarie su divorzio (’74) e aborto (’81) che segnarono pubblicamente il distacco tra chiesa e sentimento popolare. I temi etici erano il terreno naturale dell’AC, non della politica. Ma l’Azione Cattolica, ormai, non aveva più voce e braccia. E su questo i soci del pentapartito non erano certo uniti: la DC, memore delle sue origini, aveva una direzione; i laici, di origini socialiste alcuni o, per varie ragioni, di impostazione fondamentalmente atea gli altri, ne avevano una opposta. La politicizzazione dell’etica, resa necessaria dalla caduta di ruolo dell’Azione Cattolica, fece sì che i temi morali diventassero divisivi dei Bianchi.

Un campo di battaglia impervio e perdente.

La battaglia culturale, paradossalmente, fu la Caporetto di una classe politica, quella dei Bianchi, che nella cultura aveva la sua principale forza.

(segue:

Le radici della politica italiana – I Rossi tra opzione democratica e opzione rivoluzionaria: Pannella e la cultura della sinistra moderna – II Parte (’46 – ’80)

Le radici della politica italiana –La costituzione, Togliatti e il filo del dialogo – III Parte (’46 – ’80)

Le radici della politica italiana – la crisi del sistema politico nell’Italia “da bere” – IV Parte (’80 – ’92))

Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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