Torniamo a parlare della guerra in Ucraina. Stiamo arrivando rapidamente ad un anno di guerra per quella che, nelle intenzioni di Putin, doveva essere una guerra lampo e che, invece, con la guerra lampo ha condiviso solo la grande intensità di combattimento.
La situazione sul campo non è affatto chiara.
Da un lato (quello orientale) abbiamo le evidenti difficoltà dell’esercito russo che si è ritirato da molto territorio e ha perso anche posizioni di “prestigio” come Kherson. Difficoltà rese ancora più evidenti dalle tattiche usate negli ultimi tempi: nel bombardare a tappeto una città che, nelle intenzioni di non molto tempo fa, doveva essere una specie di capitale della presenza russa in Ucraina, è riscontrabile un evidente gesto di rabbia e disperazione. Al pari di voler “arruolare” il freddo dell’inverno come alleato nel piegare una popolazione che, evidentemente, non riesce a sottomettere con la forza. O, infine, nell’aver avuto bisogno di ricorrere ad un arruolamento coatto di una parte della popolazione per la guerra.
Ma anche il campo occidentale mostra evidenti segni di stanchezza, se non di debolezza. L’esercito ucraino è stato eroico nel resistere e anche nell’affrontare il nemico riuscendo a riconquistare importanti parti del territorio. Ma l’avanzata è tutto tranne che trascinante. Inoltre, ci si chiede quante risorse umane potrà ancora immolare su questo altare prima di entrare in crisi. I morti ormai si contano a migliaia e di giovani uomini arruolabili non ce ne è una quantità illimitata. Se poi dovesse entrare anche la Bielorussia nel conflitto, come vorrebbe Putin, la situazione diventerebbe veramente difficile per l’Ucraina.
Ci si interroga anche su quante munizioni e armamenti i due fronti potranno ancora mettere in campo: il consumo di munizionamenti (soprattutto a lungo raggio) è impressionante da entrambe le parti e il loro rifornimento richiede tempo.
Gli Stati Uniti stanno ormai apertamente premendo per una qualche soluzione. Negli ultimi tempi abbiamo assistito a diverse uscite: dal capo di stato maggiore dell’esercito americano, che diceva che gli ucraini non potranno vincere la guerra, alle note sui costi della guerra, che ci informano che ogni giorno di guerra costano come un intero mese in Afganistan.
Nessuno, per ora, pensa di ritirarsi ma certo, se ci fosse un modo di fermare le macchine, sarebbe ben accolto.
In questo contesto si colloca anche la recente presa di posizione del Vaticano che, da una parte, ha ribadito che il popolo ucraino è vittima di una ingiustificata aggressione; dall’altra ha proposto la santa sede, e il Papa in persona, come mediatori per una tregua se non per una pace.
Fin qui le “buone” notizie. Il problema è che ancora non si vede alcuno sbocco reale per la crisi.
È di tutta evidenza che una tregua che lasciasse a Putin il controllo delle aree conquistate, non sarebbe una buona idea. E finirebbe per incentivare nuove future azioni violente da parte, se non della stessa Russia, di altri attori che sono permanentemente in fibrillazione (vedi Corea del Nord, tutto il Medio Oriente e, naturalmente, il gigante cinese). Quindi quella è una soluzione non accettabile.
D’altronde la possibilità che la Russia vada incontro ad un cambio di regime interno (che, a tutta evidenza, sarebbe la soluzione migliore per l’occidente) è decisamente bassa e poco realistica. E ancora meno realistica (come abbiamo visto) appare la possibilità che l’Ucraina possa sbaragliare l’esercito russo. Quindi con Putin alla fine si dovrà trattare qualche soluzione.
Ma su quali basi?
Probabilmente l’unica possibilità sarà partire dall’impantanamento della guerra. Che potrebbe essere la migliore possibilità per la pace che c’è in questo momento.
Molto spesso le soluzioni alle gravi crisi internazionali sono state trovate tramite degli equilibrismi al limite della decenza (e, qualche volta, anche ben oltre). Soluzioni ambigue che però hanno consentito di rendere stabile una tregua che ha poi creato un contesto di pace. È andata così con Grecia e Turchia, dove alcune contese territoriali (leggi: Cipro) sono irrisolte da decenni con la comunità internazionale non riconosce la Repubblica Turca di Cipro (nel nord dell’isola). Ciò non ha impedito alla Turchia di essere parte della NATO e di operare sullo scacchiere internazionale. Oppure come la famosa (e famigerata) “ambiguità strategica”, formula barocca e cerchiobottista per indicare il non riconoscimento statunitense dello stato di Taiwan mentre ne annuncia la difesa armata nel caso in cui la Cina (che formalmente ne avrebbe il possesso secondo lo stesso riconoscimento degli USA) dovesse cercare di riprenderne il controllo. Non che questo approccio non abbia avuto anche dei casi di implosione: vedere alla voce Hong Kong. O casi in cui i problemi si sono trascinati senza soluzione, come con le due coree. Ma, bisogna riconoscere, la chiarezza e la limpidezza non sono sempre state le migliori consigliere in politica internazionale.
Essere coerenti fino alle estreme conseguenze può avere conseguenze estreme e non sopportabili.
Nel nostro contesto, allora, la possibile soluzione potrebbe venire da una qualche ambiguità sullo status del Donbass – Donetsk e dintorni. Magari trovando uno status di provincie a statuto speciale con una formale attribuzione di elevati livelli di autonomia amministrativa seppure all’interno della potestà Ucraina. E “tollerando” (o facendo vista di non vedere) la presenza di un esercito russo ancora presente sul territorio per un certo tempo. Parallelamente, non riconoscendo, ma neppure tentando di riconquistare, la Crimea russa. Una simile soluzione potrebbe partire da un cessate il fuoco ottenuto più per i limitati livelli di disponibilità delle forze e dei mezzi che per reale convinzione. È su questo che potrebbe lavorare la Santa Sede in questo momento.
La pace è probabilmente ancora lontana. Forse, con un po’ di fortuna e un po’ di realismo (prossimo al cinismo), potrebbe essere più vicina la fine della distruzione e della carneficina ucraina.
Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi
(Foto di copertina di Jan Kopřiva da Pexels.com)
Le soluzioni che prospetti sono sensate, ma dubito che possano almeno in un primo momento essere accettate dalle due parti. A me torna in mente Le Duc To, colui che negoziò con Henry Kissinger il ritiro delle truppe americane dal Vietnam. La condizione sine qua non per sedersi al tavolo delle trattative fu la cessazione dei bombardamenti americani. Ecco, forse potremmo partire da qui: immediato cessate il fuoco e dei bombardamenti russi e quindi apertura delle trattative per arrivare in un primo momento ad un armistizio sulle attuali posizioni, sulla falsariga di quanto avvenne in Corea nei primi anni cinquanta del secolo scorso. Quindi una vera e propria trattativa sulla base della rinuncia dell’Ucraina ad entrare nella Nato, però con la garanzia della propria sicurezza da parte delle Nazioni Unite e di alcune potenze come Turchia, Francia e magari Italia; accettazione dell’appartenenza della Crimea alla Federazione Russa, un referendum vero, sotto l’egida ed il controllo delle Nazioni Unite nel Donbass. Resterebbe da definire chi dovrebbe pagare i danni di guerra e come procedere con i responsabili dei crimini contro l’umanità commessi. Ma su questo punto penso che raggiungere un accordo sia impossibile.