È settembre e a Lucca questo è da sempre il tempo delle giostre. Otto volanti e montagne russe tolgono il fiato per un momento di adrenalina senza pericoli reali.
Ma a Roma le giostre ci sono tutto l’anno, tutti gli anni, da tanti anni…
Il quartiere delle giostre di cui stiamo parlando è quello che inizia dalle parti di piazza Colonna per terminare dalle parti di piazza Navona. Per chi non è pratico di Roma è un tratto di città “ad alta densità istituzionale”: comprende Palazzo Chigi (sede della presidenza del consiglio), Montecitorio (sede della Camera dei Deputati) e arriva a Palazzo Madama (sede del Senato).
In questo tratto di città il divertimento è assicurato per tutto l’anno. Ma non è roba per famiglie, intendiamoci. È più roba da Trono di Spade, fatte le dovute differenze per fisicità (sia intesa come sangue vero – che non si sparge quasi mai – sia come tasso di atleticità – che non è comparabile).
Si fanno congiure; si fanno tradimenti; se fanno cambi di schieramento; si fanno improvvisi e ripetuti cambi di direzione che neppure un capriolo in fuga. Un gioco per adulti che, però, ha ricadute su tutti noi.
Per dire: oggi non paghiamo la scelta di imporre sanzioni alla Russia. Questa è una favola. La Russia avrebbe fatto alzare il prezzo del gas, con la scusa di interruzioni e problemi tecnici, anche senza sanzioni. Le guerre costano e loro sono in guerra. Oggi paghiamo le scelte di governi, sia di centrodestra che di centrosinistra, di essere dipendenti, per una risorsa vitale per la nostra economia come è il gas, da un paese da sempre pericoloso e aggressivo come la Russia. Cioè paghiamo la miopia di governanti che non hanno saputo fare il mestiere per cui li avevamo eletti.
Ma torniamo a noi. Questa legislatura è stata un caleidoscopio di facezie. Il divertimento dei nostri bravi ragazzi della politica ha raggiunto un livello mai visto prima. E allora vediamo che ci hanno mostrato.
Li osserveremo in ordine di numero crescente di capriole. Come si conviene in un circo, in cui lo spettacolo più pirotecnico è tenuto in fondo.
Allacciamoci le cinture e partiamo con la giostra delle capriole politiche.
Partiamo quindi da Fratelli di Italia. È il partito che meno ci ha fatto divertire, ma qualche capriola la hanno fatta pure loro. Sono partiti chiedendo una maggioranza di centrodestra (la prima mossa di una legislatura è quasi obbligata). Ma poi sono stati cacciati all’opposizione. E lì sono restati chiedendo costantemente nuove elezioni. Fin qui nulla di diverso da quanto fa generalmente l’opposizione. Più pirotecnici sono stati in politica estera: da una parte, avendo per leader il capo di un assembramento di forze europee da opposizione di destra, la Giorgia nazionale ha usato toni spesso assai esasperati all’estero; dall’altra, da aspirante primo premier donna italiano, ha usato toni e comunicazione con la necessaria dose di applomb in patria. E questa divaricazione si è notata. Unico momento di elettricità c’è stato nell’elezione di Mattarella. Prima la Meloni punta ad una improbabile spallata con Berlusconi, poi prova a reggere la linea di Draghi, infine esce “sconfitta” non votando Mattarella e gridando alla morte del centrodestra. Ma, in fondo, pare più una vittoria che una sconfitta visto lo stato di salute dei compagni di avventura. Infine ricompatta su di sé gli alleati di sempre obbligandoli a commettere il “Draghicidio” senza però essere lei quella incriminata. E, nel frattempo è l’unica che mantiene un canale di dialogo aperto con l’attuale Presidente del Consiglio.
Sembrava una che gioca di forza e invece è una che tira di fioretto.
In Forza Italia ha prevalso l’immobilismo. Se sono stati coinvolti in giravolte, lo hanno fatto quasi sul posto e solo perché alleati e nemici facevano avanti e indietro per il campo da gioco. La storia del partito coincide, nel bene e nel male, con quella del suo leader ultraottantenne. Fuori da lui non c’è vita senziente. Non pubblica almeno.
Cominciano la legislatura sedotti e abbandonati sulla via di Palazzo Chigi da una Lega che Berlusconi, inutilmente, cerca di guidare. Indimenticabili i punti “raccontati con le mani” all’uscita dal primo colloquio con Mattarella, quasi a deridere Salvini che si mette a fare il leader. Ma poi la Lega sceglie i 5 Stelle e li mette all’opposizione da cui tornano in gioco sul governo Draghi. Che però Silvio vive con sofferenza perché è il candidato naturale per la Presidenza della Repubblica e per quella partita il nostro aveva già prenotato il posto e impegnato tutto il centrodestra. La scalata al Colle era impossibile e velleitaria ma il vecchio leone la vuole giocare lo stesso. E la gioca dal San Raffaele dove è costretto a stare per problemi di salute. Così il vuoto della classe dirigente di FI diventa evidente. Ne esce malconcio e definitivamente (?) ridimensionato. L’età richiede un dazio di energie e lucidità che gli impediscono di essere protagonista. Infine, balla sulla tomba di quel Draghi che aveva voluto (alla presidenza della BCE) ancora quasi voluto (a Palazzo Chigi) poi disvoluto (al Colle dicendo che l’Italia aveva necessità di lui al governo) e, infine, assassinato. Beh, non proprio. Più che altro ha assecondato una corrente che non aveva avviato lui e non poteva neppure cambiare.
È il crepuscolo degli dèi.
Il Terzo polo dobbiamo raccontarlo nelle esperienze dei suoi due leader che hanno fatto strade un po’ diverse (ma solo un po’). Da prima, da dentro il PD, ha osteggiato l’inseguimento dei 5 Stelle da parte della maggioranza del partito, poi (Renzi), con un doppio carpiato, è stato l’allevatrice di un (fino a quel momento) impossibile Conte II. Quindi sono stati artefici di una scissione (in tempi diversi sia Renzi che Calenda hanno prima aderito al PD e poi lo hanno lasciato per fondare un proprio movimento). Poi Renzi cerca, senza successo, di disarcionare il Conte II, che ha varato appena sei mesi prima ma sbatte contro la pandemia che salva il governo in carica. Dopodiché, i due leader assieme, partecipano al governo Draghi assumendone il ruolo di difensori (molto più nella sua fine che durante il suo svolgimento). Infine, trovano una alleanza per presentare una nuova proposta elettorale “pandemocratica” per affrontare le emergenze prossime future. Con una chiara indicazione di vedersi come “corsari buoni” nel prossimo parlamento nel quale si muoveranno per creare accordi trasversali sui temi. Che però, implicitamente, vuol dire maggioranze variabili. Il saldo è tanta tattica, gran gioco sul campo e spettacolo assicurato. Ma gli obiettivi sono nebulosi e non è chiaro il posizionamento: la stagione dell’unità nazionale non può essere una prospettiva permanente e i due forni non sono certo un progetto di alto profilo. Interessante e da vedere nel tempo il rapporto tra un Renzi, toscanaccio di talento innamorato del colpo ad effetto ma spesso vittima di sé stesso, e Calenda, pariolino veemente con la flessibilità di una barra di ghisa.
Genio e follia sono sempre difficili da distinguere.
La Lega, nel 2018 era la forza guida. Si presenta alle elezioni con una alleanza di centrodestra ben definita ma, nell’impasse delle consultazioni ha “mollato” gli alleati per fare il governo Lega – 5 Stelle scovando un improbabile (e allora sconosciuto) professore Conte per nientepopodimeno che il ruolo di Presidente del Consiglio. Poi tenta di disarcionarlo fuori dal parlamento con esternazioni “di spiaggia” mal calibrate e qui viene impallinato da Renzi che, con una capriola da far invidia ad un giocoliere da circo, slava Conte e apre la strada al PD di governo che invece di Conte si innamora e in minoranza ci manda la Lega. Quindi proprio da Renzi viene aiutata a tornare al governo per il tecnico Draghi. Poi si infila in una fallimentare gestione della campagna per la presidenza della repubblica. E qui i fuochi di artificio sparati da Salvini sono eccezionali: prima si butta su Berlusconi, poi combatte l’ipotesi di Draghi lanciandosi in una incredibile serie di improbabili proposte: inanella il presidente del consiglio di stato, quindi il capo dei servizi segreti, la presidente del Senato e infine si trova a citofonare a Cassese. Tutte candidature che lui stesso brucia appena le propone con un effetto cacofonia e confusione che logorano il leader leghista prima che i candidati stessi. Quindi si mette sul carro dei vincitori con la scelta del Mattarella bis (che non voleva ma che subisce per mancanza di alternative). Infine, ha colto “al volo” il deterioramento del quadro politico per “intestarsi” la fine del governo Draghi con una rottura causata in realtà da altri. Mossa che lascia più di un osservatore perplesso. In politica estera conduce una liaison pericolosa con la Russia che gli esplode tra le mani con la “faccenda ucraina”. Nel frattempo la Lega passa da oltre il 30% a meno del 15%.
La Lega di Salvini è decisamente più da bosco che da riviera.
Il PD ha prima fatto la corte al 5 Stelle (con cui aveva detto mai alleati) facendosi sbattere la porta in faccia. Quindi ha fatto una doppia capriola “mortale” (ad opera di Renzi che ha aperto la porta al Conte II) facendo il governo con il “nemico”. Quindi si è spezzato (con la scissione di IV) e ha difeso l’ex nemico Conte come il “punto di riferimento del progressismo”. Nel frattempo cambia segretario passando da un rappresentante di area ex PCI ad uno di area ex DC come se non facesse differenza. Poi ha fatto il governo tecnico, difendendolo fino alla fine per poi tornare, come un eterno gioco dell’oca, alla posizione di partenza: inaffidabilità di Conte e nessuna alleanza con i 5 Stelle (ma dopo le elezioni si vedrà…). Sulla presidenza della repubblica prova la carta Draghi ma, da minoranza, non ha carte vere da giocare se non quella di forzare la mano a Mattarella per costringerlo a restare. La manovra riesce e gli consente, a buon diritto, di considerarsi vincitore del match quirinalizio.
Da lì però è il buio. Tentenna nella ricerca di un equilibrio con i 5 Stelle che, nel frattempo, si sono spostati decisamente a sinistra. Appoggia il golpe di Di Maio senza però lavorare attivamente al ridimensionamento dei grillini o alla defenestrazione di Conte che comunque considera Letta (giustamente) ispiratore della mossa. Il tutto salvo poi rompere con lo stesso Conte senza preoccuparsi della conseguente compromissione della probabilità di vincere i collegi maggioritari. Insegue il centro di Calenda ma poi vuole epurare Renzi e caricare Fratoianni. Richiama l’elettorato ad un voto utile che ha negato dividendo la sinistra e condannandola a perdere comunque. Attacca la Meloni sul fascismo con almeno 20 anni di ritardo sulla storia. Prova a confrontarsi da pari con la Meloni ma poi scala su Salvini. Il target salvezza è al 20% ma se arrivasse sotto il 19% sarebbe la riedizione del “tracollo di Renzi” contro cui si è sempre scagliato.
Per Letta è la legge del contrappasso?
E adesso il gran finale con i 5 Stelle. Avevano detto che mai si sarebbero prestati a giochi di potere e di poltrone. Non male come premessa per una forza che ha fatto un governo di centrodestra (Lega – 5 Stelle) uno di centrosinistra (5 Stelle – PD – altri di sx) quindi di uno istituzionale presieduto niente meno che da un Banchiere (Banca di Italia e poi anche BCE). Per completare il giro, hanno pensato bene di far cadere quest’ultimo governo con la manovra bizantina del “non voto, ma non voto contro” (degna della peggiore DC di fine anni ’80) a pochi mesi dalla fine naturale della legislatura e subito dopo l’acquisizione dei diritti di pensione per i propri parlamentari.
In questa legislatura hanno fatto un corso intensivo di politica del potere: mai una forza politica aveva, in un solo mandato, fatto ogni tipo di governo possibile. Tutti, ma proprio tutti. Sono partiti da “mai con nessuno” e passando da un governo di destra, uno di sinistra, uno istituzionale sono finiti a forza di opposizione! Tutto, lo ribadiamo, in un’unica legislatura!
Ma meglio del partito ha fatto il suo attuale presidente: Giuseppe Conte. È indubbiamente l’uomo più fortunato di Italia. Roba che neppure Gastone Paperone (il fortunato per antonomasia del mondo di Paperno) gli fa un baffo. Come quest’ultimo è stato capace di vincere il primo premio di una lotteria che neppure esiste. E il primo premio era, nientemeno che, la presidenza del Consiglio dei Ministri. Poi incrocia un Renzi in buona (più raro delle ciliegie a dicembre) che lo salva pur di azzoppare Salvini. E quando il toscanaccio prova a disarcionarlo (appena 6 mesi dopo averlo salvato), scoppia la pandemia in Italia. Disastro per tutti tranne che per lui. Per Conte è l’assicurazione sulla vita, l’ennesimo biglietto vincente che gli regala tempo, visibilità e inamovibilità. Nel momento della caduta gli viene offerto il posto di presidente degli stellati che sono alla deriva. E quando si trova a fare i conti interni con Grillo lo incrocia in un momento di grande debolezza di quest’ultimo per via dei fatti familiari che lo azzoppano. Quindi affronta la battaglia del Quirinale da equilibrista e al momento della rottura di Di Maio si avvantaggia di una dirigenza del PD completamente incapace di una strategia di contenimento che gli regala la possibilità di presentarsi come il leader della sinistra. Lui, il professore universitario del primo governo populista che non era né di destra né di sinistra, si trova, senza dover lottare, ad essere il nuovo Che Guevara della sinistra. O il nuovo Mélenchon, se preferite.
Come dice Donald Trump (che ha trasformato per sempre Conte in “Giusepi”): «Tutto nella vita è fortuna».
Un po’ frastornati? Probabilmente più nauseati?
Beh, lo sapete, è l’effetto che fanno le giostre più movimentate.
Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi