Nel documento si legge phase-down, ma nella prima stesura il termine era phase out: l’emissione di CO2 nell’atmosfera non sarà eliminata gradualmente, sarà solo ridotta. A chiedere di sostituire il testo, all’ultimo minuto, l’India – sostenuta dalla Cina e, nonostante l’opposizione di molti alla plenaria, la COP26 ha approvato l’accordo. Un accordo definito ‘storico’ (peccato per il phase-out), che contiene le linee guida perché il pianeta rispetti l’obiettivo, fissato a Parigi, di limitare il riscaldamento globale di 1,5 gradi entro il 2100 rispetto ai livelli preindustriali. Secondo i calcoli però, la quantità massima di CO2 che possiamo ancora immettere in atmosfera sarebbe stimata intorno ai 500 miliardi di tonnellate, un quinto in più di quello che abbiamo già emesso.
Un paradosso, che continua anche nel nostro Paese: la COP26 è durata tredici giorni, ma in Italia ci vorranno sei mesi solo per costituire il Ministero della Transizione ecologia che dovrà valutare i progetti da inserire nel PNRR (Piano nazionale di Ripresa e Resilienza). Un programma che rischia quindi di arenarsi già in partenza. Il decreto del ministro Roberto Cingolani (31 luglio) ha istituito la commissione tecnica PNRR-PNIEC, cui competono le valutazioni sui progetti in ambito PNRR e su quelli del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) appunto. Anche la commissione però è ancora in corso di formazione e tutti gli operatori che stanno presentando domanda per la realizzazione di impianti da fonti rinnovabili sono stati respinti con una comunicazione che li informa che l’avvio delle procedure sarà sospeso per 180 giorni.
Nel frattempo il premier Draghi ha sottolineato, all’assemblea Anci, il ruolo centrale dei sindaci e delle amministrazioni: “Comuni e città metropolitane dovranno amministrare quasi 50 miliardi di euro come soggetti attuatori del Pnrr – ha dichiarato il presidente -. Dalla transizione digitale a quella ecologica, dagli investimenti nella cultura all’edilizia pubblica. Dagli asili nido al sostegno agli anziani più vulnerabili. Il futuro dell’Italia vi vede oggi protagonisti”. Parole ricche di intenti ma il problema principale rimane il solito, quello della concretezza e come dice Greta “per ora è tutto il solito bla, bla bla”. I punti dell’accordo siglato durante la COP26 sono troppo astratti (per certi versi), di difficile comunicabilità e quindi attuazione, soprattutto nei piccoli Comuni e anche nella nostra città passare dalle parole ai fatti non sembra poi così scontato.
A Lucca il Comune, dichiarando lo stato di ‘Emergenza climatica’, già il 15 marzo 2019 (delibera numero 18) ha affermato, dopo che piazza San Michele e piazza Grande si sono riempite di studenti in sciopero per il clima, di riconoscersi nel documento proposto dai movimenti Earth Strike Lucca e Fridays for future. La priorità assoluta riconosciuta è tesa ad attivare azioni finalizzate ad azzerare le emissioni nette di gas serra entro il 2030. Nonostante questo però, secondo la ricerca di Legambiente (Ecosistema urbano 2020) pubblicata dal Sole24Ore, Lucca, se pur sia la città più green della Toscana e abbia scalato 17 posizioni in classifica, per qualità dell’aria quest’anno perde un punto (è sessantesima in Italia). E la riduzione del gas serra è solo uno dei 17 obiettivi di Sviluppo sostenibile, di natura integrata e indivisibile, individuati dall’assemblea generale delle Nazioni Unite (Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, 21 ottobre 2015). Tra gli obiettivi anche “assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni”, “rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili” fornendo l’accesso a sistemi di trasporto sicuri, anche per salvaguardare la qualità dell’aria appunto. A tale scopo il Comune di Lucca ha raggiunto un accordo con la SSSUP Sant’Anna di Pisa, istituto di management per la condivisione degli obiettivi e degli interessi tecnico-scientifici in materia di sostenibilità e istituito un gruppo di lavoro comunale con il compito, fra gli altri, di monitorare i risultati del Piano d’azione.
Buono invece, sempre secondo la classifica, il risultato nella gestione dei rifiuti, dove la città, con il 79,3 per cento di raccolta differenziata, si colloca al decimo posto della graduatoria nazionale e prima fra le città toscane. Il primato nazionale è per le isole pedonali (misurate in metri quadrati per ogni abitante): con 6,73 metri quadrati pro capite, la città supera infatti Venezia, collocandosi al primo posto assoluto in Italia della classifica di settore.
Numeri che fanno quindi intendere un leggero miglioramento, ma non basta. Siamo già oltre il limite e il clima non può aspettare la burocrazia, affidarsi alle promesse scritte solo carta o sugli slogan di propaganda. Bisogna agire concretamente.
“Vi chiedo scusa per come si è sviluppato il processo“, ha detto il britannico Alok Sharma, presidente della COP26, con le lacrime agli occhi, a chiusura dell’incontro. Che siano o meno lacrime di coccodrillo, nessuno di loro ha rinunciato al jet privato per raggiungere Glasgow, generando 13mila tonnellate di emissione di CO2 (TgCom24) nell’aria. Nessuno dei ‘nostri’ si attiva concretamente per tutti gli studenti in piazza e per cambiare il futuro. Non basta che si muova il singolo, il cambiamento deve partire dall’industria. Intanto fuori, fra alluvioni sempre più frequenti, incendi, disgeli, estati interminabili, solo un paese è in linea con gli accordi di Parigi, il Gambia. La natura ci chiede aiuto, è a lei che dovremo chiedere scusa, ma forse è già troppo tardi.