“Se hai un parente in ospedale, non puoi fermarti per più di dieci minuti”, la denuncia di Alessandro Ragghianti

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Sono cambiate le modalità di accesso agli ospedali. Secondo un’ordinanza del presidente Eugenio Giani infatti, per scongiurare il rischio di contagio, l’accesso degli utenti è possibile solo dall’ingresso principale, dove viene effettuato un controllo della temperatura, della sintomatologia respiratoria e dell’esistenza di condizioni a rischio (viaggi in zone di focolai, contatti con casi di Covid-19). Limiti anche per le visite ai parenti ricoverati: l’accesso è consentito ai soli familiari preventivamente autorizzati dal reparto, massimo dieci minuti da parte di un solo visitatore per paziente, nelle fasce orarie 12,30-13,30 e 18,30-19,30, a giorni alterni. Nelle altre aree (Cup, ambulatori, radiologia, day ospital etc.) è consentito l’accesso ai soli pazienti o, se necessario, di un solo accompagnatore per paziente.

Ma l’ordinanza (numero 94) è stata firmata il 19 ottobre 2020, in piena fase 3, quando non c’era la certificazione verde e i contagi, anche fra medici e infermieri, erano in forte crescita; quando abbiamo creato le stanze degli abbracci nelle Rsa, i plexiglass e ogni tipo di contatto avveniva solo tramite video-chiamata. Adesso, grazie soprattutto al vaccino, la convivenza con il virus sembra qualcosa di realizzabile e sono molti i cittadini che lamentano l’impossibilità di accudire i loro cari negli ospedali. Un trattamento “disumano – come lo definiscono – che non intendiamo più accettare”.

A fare da portavoce è Alessandro Ragghianti: “Dopo quasi due anni, ancora ci negano di passare del tempo con i nostri parenti in ospedale. Al San Luca concedono di entrare per massimo un quarto d’ora, neanche il tempo di un saluto. A cosa è servito vaccinarsi allora – dice -? Riaprono le scuole, gli uffici, le discoteche, ma non si può far compagnia ad padre malato o stare con la propria compagna durante il parto. Ho dovuto rivolgermi ad un ambulatorio privato per una visita molto importante a mio figlio – racconta –. C’era già mia moglie ma essendo separati volevo entrare anche io per parlare con il medico. Non volevano lasciarmi passare e questo non è giusto. Siamo disposti a fare tamponi, come i tirocinanti dei corsi di medicina che vengono tamponati un volta a settimana, anche a utilizzare camici mono-uso o protezioni, ma devono lasciarci liberi di far compagnia agli anziani, o di salutare per l’ultima volta i nostri cari”.

L’ospedale San Luca – continua – come sappiamo, è schermato, quindi il telefono non prende e anche comunicare tramite cellulare risulta difficile. Personalmente, se avessi un parente in fin di vita, o mia moglie fosse in travaglio, entrerei a qualsiasi costo. Abbiamo più volte sollecitato la Regione, ma senza risultati. E’ un limite che deve essere superato. ”.

Un ‘restiamo distanti oggi’ che sembra perdurare all’infinito e un ‘per riabbracciarci più forte domani’ che pare invece non arrivare mai. Dopo i ripetuti sacrifici e lo spiraglio della certificazione verde, i cittadini chiedono un piano organizzato e nuove regole per poter essere liberi di assistere i loro familiari. Ora spetta (forse) alla Regione smetterla di ‘fare le orecchie da mercante’.

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