Non è questione “vaccino si” o “vaccino no”, non c’entrano i no vax esaltati e incattiviti che trovano in questa occasione la valvola di sfogo anche per andare oltre i limiti della decenza, non si tratta di una questione politica: che il green pass sia un provvedimento divisivo ne abbiamo l’esempio ogni giorno, ed è giusto così – che ognuno la pensi come vuole – .
Non ci addentriamo nel caos delle ragioni per cui questo provvedimento dovrebbe essere eliminato o portato avanti, non giudichiamo le scelte istituzionali, non sta a noi: sta a noi però raccontare le storie che coinvolgono direttamente i cittadini, quei cittadini che a causa di una gestione discutibile della cosa si portano sulle spalle la conseguenza della disattenzione e dell’incoerenza.
Abbiamo letto le parole del Presidente della Regione Giani degli ultimi giorni in cui asserisce con forza – e prepotenza – che dal 1 ottobre il green pass sarà obbligatorio per tutti i luoghi pubblici, tagliando fuori chi ha deciso di non vaccinarsi, ma anche chi non può vaccinarsi o meglio è schiavo di tutta quella burocrazia che con tempi lunghi, attese e rimandi, tiene in casa imprigionate molte persone con esigenze particolari.
Ed è di questo che vogliamo parlare: di coloro che stanno aspettando un vaccino, anzi una telefonata – che non arriva – con il rischio di contrarre il covid e con la conseguenza di non poter praticamente fare più niente, a meno che non si decida di spendere settimanalmente una somma di denaro in tamponi momentanei che rilasciano il famoso green pass per 48 ore.
La signora Franca, lucchese, ne è la prova ma come lei abbiamo sentito molte altre testimonianze di persone che si trovano nella sua stessa condizione.
“Mi ricordo quando mi presentai dal mio medico curante chiedendo informazioni sulla vaccinazione anti-covid, avendo io seri problemi di allergie alla maggior parte dei farmaci, documentate ovviamente dopo un percorso di investigazione svolto all’Ospedale di Pisa qualche anno fa, motivo per cui ho bisogno di andare in giro sempre portandomi medicine salvavita”, racconta la signora.
“La risposta del mio medico di base – che mi conosce e conosce le mie problematiche da anni – mi lasciò perplessa. Mi aspettavo una rassicurazione e invece mi disse che dovevo decidere io, che non è possibile sapere gli effetti soprattutto su una persona a rischio come me e che dovevo analizzare e pensare agli eventuali rischi e benefici della cosa. Io non sono no vax, ho tutti i vaccini, ho vaccinato i miei figli e i miei nipoti ma i tempi stretti della sperimentazione di questo vaccino e in più le mie problematiche mi fanno sicuramente non affrontare questa scelta a cuor leggero”.
Ed è sicuramente vero quello che racconta la protagonista dell’accaduto: essere perplessi, di fronte a problematiche di salute reali, su un vaccino che oggettivamente non è obbligatorio perchè ancora in fase sperimentale è del tutto lecito e per questo non è giusto essere additati come i cospiratori di chissà quale dittatura sanitaria.
“In ogni caso, la scelta che ho preso fu quella di prenotare un vaccino – unica via possibile che mi ha confermato anche il mio medico – per spiegare, una volta all’appuntamento, le problematiche e avere una visione più chiara su cosa fare e su quale vaccino fosse più adatto a me”.
La signora Franca si prenota infatti per l’effettuazione del vaccino anti-covid e una volta seduta, e pronta a qualsiasi evenienza, spiega all’operatore la problematica chiedendo quale vaccino sarebbe stato più opportuno per lei, i rischi reali e le conseguenze, cercando ovviamente anche un po’ di rassicurazione.
“Io non mi posso assumere la responsabilità di vaccinarla di fronte a questi documenti che testimoniano le sue allergie”, così rispose l’operatore al momento dell’incontro.
“Le sue parole – continua Franca – mi hanno gettato ancora di più nello sconforto e nella paura – non lo nego – ma, in ogni caso avevo ormai deciso di vaccinarmi e quindi una soluzione doveva esserci. L’operatore mi disse infatti che in questi casi il vaccino va fatto in un luogo protetto, cioè in un posto in cui in caso di emergenza è presente tutta la strumentazione per la rianimazione, ma prima avrei dovuto sottopormi a una visita – l’ennesima – con un allergologo che viene fissata direttamente dall’ospedale e successivamente il vaccino avverrà mediante ricovero per scongiurare ogni possibile conseguenza”.
La procedura quindi è: “la richiamiamo noi per la visita specialistica e di conseguenza le fisseremo il ricovero per il vaccino”.
“Ecco – continua la signora Franca – io sto aspettando quella telefonata per la visita da un mese: nessuno si è fatto più sentire, nessuno mi ha chiamato o dato ulteriori spiegazioni. Nel frattempo però, non sono esente dal greenpass a causa della lentezza burocratica. Per uscire e portare fuori i miei nipoti sono costretta a fare tamponi su tamponi, spendendo denaro, tutto a mio carico. Non credo sia giusto: c’è chi decide volontariamente di non vaccinarsi e quindi si prende la responsabilità delle conseguenze di tale gesto, ma le persone come me – e assicuro che siamo in tante – non possono, in questo momento già difficile e pieno di tensioni, passare le giornate, le settimane e i mesi, in attesa di una telefonata che non arriva mai. Io il vaccino – pur avendo paura – ho deciso di farlo, per me stessa e per chi sta intorno a me, ma non accetto un trattamento di noncuranza di questo genere. So che tutti i medici, infermieri e operatori sanitari stanno facendo il massimo e si trovano ad affrontare anche loro una situazione assurda, hanno tutta la mia stima, ma non ritengo giusto dover vivere agli arresti domiciliari per la distrazione di un sistema, sicuramente in sovraccarico, ma che dovrebbe comunque trovare il modo di tutelare i cittadini, tanto più quelli con problematiche come me”, conclude Franca.
La questione è molto seria e non riguarda solo la signora in questione: sono molte infatti le persone che si trovano in questo limbo da tempo, costrette ad aspettare e senza sapere la procedura precisa da adottare in questi casi, dove le telefonate vengono rimandate e i ricoveri per affrontare vaccini in luoghi protetti si perdono in settimane di caos.
Allo stesso tempo però l’attesa, nella maggior parte dei casi, lascia spazio alla paura e al timore, inducendo così le persone a “lasciare stare”, abbandonando l’idea di vaccinarsi ma non solo: non è possibile che non sia prevista un’ esenzione – almeno nei tamponi che queste persone sono costrette a fare per recarsi nei posti – o una sorta di nullaosta che permetta a coloro che sono in attesa di una risposta di vivere normalmente, con le dovute cautele e regole a cui tutti dobbiamo sottoporci, ma senza essere additati come no-vax e quindi untori.
Non è complottismo, non è politica, ma buonsenso: il greenpass è divisivo – come era da aspettarsi – ma ci sono situazioni in cui un minimo di attenzione in più renderebbe tutto più facile e, in un momento di caos, è questo che la cittadinanza si aspetta dalle istituzioni.