La conferenza stampa di Giuseppe Conte ha confermato le misure che erano state annunciate nei giorni precedenti. Nessuna novità particolare rispetto a quello che era stato annunciato dai giornali e dai media nazionali. I nodi politici alla fine sono stati sciolti con una serie di compromessi tra le forze di maggioranza. Gli ostacoli più alti riguardavano la regolarizzazione dei braccianti nel mezzogiorno, invisa al Movimento 5 Stelle e gli aiuti alle imprese, su cui i renziani di Italia Viva pretendevano uno sforzo maggiore.
Al di là del merito dei provvedimenti, nel loro complesso importanti e giustificati, rimane il colpevole ritardo e la sensazione di grande fatica con cui il Governo ha portato a termine i lavori. Siamo passati così dal Decreto Aprile, a quello di Maggio per arrivare ad augurarci che sia quello del Rilancio. Tre nomi diversi per iniziative che i tecnici avevano già preparato, ma per le quali serviva l’avallo della politica.
Colpa dell’esecutivo? Sicuramente i partiti che lo compongono non sono stati impeccabili: il Movimento ha messo in luce tutti i suoi limiti ed è passato da avere il consenso senza idee a non proporre idee per mantenere lo scarso consenso che rimane. Per paura di perdere ancora terreno nei confronti della Lega, ha quindi provato a mettere dei paletti sulla regolarizzazione dei migranti, sacrosanta in questo momento per motivi economici, sociali e sanitari. Nessuna soluzione invece a livello economico, se non il solito assistenzialismo da Prima Repubblica.
Dall’altra parte della trincea, Italia Viva. Dal punto di vista mediatico e comunicativo una vera spina del fianco per il Governo, sempre sul confine tra appoggio e opposizione, alla fine di ogni talk show ci si chiede perché non stacchino la spina. A livello di contenuto però dobbiamo dare atto ai renziani di aver inserito, soprattutto grazie al lavoro di Bellanova, un tassello così importante quale la regolarizzazione insieme ad alcune buone idee per la ripresa economica che forse meritavano più attenzione, come la concentrazione delle risorse stanziate per il turismo sul supporto alle imprese, spostate per volere dei grillini sul buono vacanze alle famiglie. A Leu e Pd, ormai riallineati completamente, si può contestare un’eccessiva timidezza. Se vogliono tornare a rivestire i panni del “partito della Nazione” non possono limitarsi a tenere buoni gli altri azionisti della maggioranza ma hanno il dover di far valere la loro esperienza, la qualità e le personalità che hanno in modo più rilevante. Anche se, c’è da ammettere, il loro profilo basso ha sicuramente contribuito a non esasperare tensioni già molto alte. A Conte il ruolo sicuramente più complesso. Ha cercato di fare al meglio ciò che meglio gli riesce: mediare. Ha mediato tanto da arrivare all’eccesso, tanto da dare l’idea di essere poco incisivo, poco guida, poco premier. E forse così è stato. Il risultato finale è stato un decreto fuori tempo massimo, che da qualcosa a tutti ma non soddisfa nessuno, o quasi. È la perfetta sintesi di trattative, rinvii, aperture, intese, paletti, bandierine e tutte le altre espressioni che, da troppo tempo, sentiamo ogni volta che c’è qualcosa di importante da decidere.
Possiamo comodamente accusare questo governo di essere debole, senza probabilmente sbagliare, oppure cercare di fare un’analisi di più ampio respiro: l’emergenza mette ancora una volta in luce come il nostro sistema istituzionale ed elettorale sia inefficace.
Ad ogni crisi siamo costretti ad invocare governi di unità nazionale, guidati dall’uomo della salvezza (questa volta si parla di Draghi) con il compito di traghettarci fuori dalla bufera e poi essere scaricato. In tempi di pace questa debolezza cronica è meno lampante ma il danno forse ancora più grave. Con l’instabilità patologica di cui soffriamo non riusciamo a portare avanti un disegno nuovo di Paese, riforme strutturali per cui serve tempo e possibilità di manovra. E così il resto del mondo va avanti supportato da quella politica che per noi troppo spesso rimane una forma di spettacolo in cui le parti giocano a tirarsi su e giù dal trono ma poco contribuisce al bene comune.
Purtroppo, tutte le riforme portate avanti negli ultimi trenta anni sono fallite per i motivi più diversi. Ultimo esempio, il referendum renziano del 2016, che si concluse con un plebiscito personale e non con il giudizio sul merito di una riforma che comunque, a detta degli esperti, era complessa e scritta male. Una democrazia in cui non è possibile decidere niente e quindi poco efficiente è una democrazia più debole. Abbiamo bisogno di prospettive, di guardare al futuro con lungimiranza e di progettare. Con governi dalla durata media di 1 anno e due mesi (64 in 74 anni) e l’elettorato liquido dei giorni nostri non credo sia possibile. Ci vogliono coraggio, competenze e chiarezza per una forma istituzionale nuova che finalmente semplifichi. Va bene anche copiare dagli altri, con noi lo fanno da sempre e nessuno si è mai vergognato.