Riccardo Bergamini è un alpinista lucchese, capace di compiere imprese memorabili, mettendosi in gioco con la natura, nel massimo rispetto della forma e del mondo che si manifesta in tutto il suo splendore con la montagna. A referto ha più di una quindicina di spedizioni, che lo hanno visto raggiungere alcune delle maggiori vette del Pianeta: dal Sud America, all’Asia, passando per l’Africa e ovviamente dall’Europa. A un anno di distanza dalla nostra prima intervista – su queste pagine – col nostro protagonista, ritorniamo a parlare con lui di quello che è stato il difficile 2020 e di quelli che sono i suoi prossimi sogni e desiderati obiettivi.
Riccardo, non ci sentiamo da un anno, circa. Com’è stato questo lungo periodo per te, raccontaci le tue avventure.
Partiamo dal fatto che la spedizione che avrei dovuto compiere alla fine del 2020 sull’Himalaya, è saltata. I motivi sono legati sia ai problemi della pandemia di Covid-19 avuti in Italia, che a quelli relativi al Nepal. Quando si organizzano spedizioni del genere, ci prepariamo mesi prima, questa volta purtroppo non sapevamo se raggiunto il Nepal, avremmo ritrovato dei voli internazionali per ritornare a casa. Se il loro Paese avesse chiuso le frontiere, rischiavamo di rimanere da quelle parti per un bel po’ di tempo, lontano dalla famiglia e dai cari. Indipendentemente da questo, nel corso della scorsa estate e comunque in tutto l’anno solare, ho raggiunto le vette più alte delle Alpi e ho frequentato le nostre più vicine Alpi Apuane. In più, ho stretto una collaborazione con il TCI (Touring Club Italiano), che mi riempie di orgoglio. L’idea è quella di realizzare corsi, lezioni con gruppi di persone interessate e nelle scuole. Speriamo di poterlo fare presto, quando le restrizioni dovute al Covid-19 si attenueranno.
Il tuo allenamento è cambiato in questo anno di pandemia, oppure è rimasto invariato?
No, il mio allenamento non è cambiato, anzi è aumentato e forse anche migliorato. Mi sono posto nuovi obiettivi e traguardi da raggiungere. Le salite sulla catena della Alpi e sulle Apuane mi hanno aiutato a incrementare il carico di lavoro. Certamente, non è paragonabile a scalare vette di 6.000 o 7.000 metri, tuttavia per me sono decisamente importanti.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Ho in programma di fare due spedizioni per raggiungere alcune cime da 6.000 e 7.000 metri sulla catena dell’Himalaya. Questa avventura si terrà tra ottobre e novembre. Primariamente vorrei raggiungere una vetta vergine, cioè mai scalata da nessuno fino ad adesso, situata fra il Nepal e il Tibet. Se per qualche motivo non fosse possibile, il mio secondo desiderio sarebbe quello di raggiungere un’altra vetta, già conosciuta, ma attraverso un crinale e un sentiero non ancora battuto. In definitiva, se dovessero saltare anche queste, vorrebbe dire che per due anni rimarrei con il rimpianto per non essere riuscito a raggiungere i miei obiettivi.
L’Himalaya è sempre il tuo sogno, ma fortunamente sei stato un po’ dovunque. Che ne pensi del Kilimangiaro o delle catene montuose del Sud America?
In Africa abbiamo il Kilimangiaro, una catena montuosa molto bella ma sicuramente meno impervia di altre, specialmente se paragonata all’Himalaya o alle Ande. Personalmente, mi è rimasto molto a cuore il monte Denali, in Alaska, che ho raggiunto nel 2019. Si tratta della montagna più vicina al Circolo Polare Artico e scalarla è una gran bella avventura. Anche in Sud America ci sono bellissime catene montuose, con pareti e paesaggi mozzafiato. Anche da quelle parti ci tornerei molto volentieri. L’Himalaya, invece, è la montagna che ti stimola di più. Quando fai spedizione per raggiungere gli 8.000 metri, senza bombole di ossigeno, sai che compi qualcosa di grandioso. Questo ha anche dei lati negativi, perché oltre al rischio ti porta a star fuori da casa oltre un mese, lontano dai figli e dalla famiglia, facendosi prendere facilmente dalla nostalgia.
Cosa ne pensi delle Alpi Apuane?
A tal proposito mi piacerebbe scrivere un nuovo libro o fare un documentario che sappia raccontare queste bellissime montagne. Io passo la maggior parte del tempo proprio qui, infatti vado sulle Alpi Apuane circa 2/3 volte alla settimana. Per me rappresentano casa. La cosa curiosa è che quando mi trovo sulla Pania, ad esempio, penso all’Himalaya, ma quando sono dall’altra parte del mondo, mi vengono in mente le care e vecchie montagne delle nostre zone.
Oltre alla sfida e all’obiettivo finale, cosa ti piace delle tue imprese?
Mi piace scoprire i luoghi, avere contatto con le persone e con le usanze del luogo in cui mi trovo, scoprire la loro cultura e le loro tradizioni. Che tu sia in Sud America, in Nepal o in Alaska è bello avere contatto con coloro che abitano questa parte di mondo e capire in che modo vivono. È emozionante entrare nelle loro abitazioni e immergersi nelle loro abitudini e consuetudini che sono così differenti dalle nostre.
Cosa vuoi dire a coloro che voglio cimentarsi nell’alpinismo?
La montagna significa sacrificio, passione e fatica. Bisogna però avere rispetto di sé stessi e non aver paura di non farcela. Qualora si capisse di non poter riuscire nella propria impresa, non ci si deve abbattere, bisogna avere sempre il sorriso. Non bisogna approcciarsi alla montagna con troppa competizione, è necessario rimanere sempre con i piedi per terra e non andare oltre i propri limiti.
Siamo arrivati al termine della nostra intervista, vuoi aggiungere qualcosa?
L’ultimo anno è stato difficile per tutti e continua a esserlo, tuttavia penso che bisogna lottare per continuare a vivere. Non si può scegliere di non vivere per paura di morire. Bisogna cercare di ripartire, perché alla fine del tunnel ci sarà la luce. Non potrà esserci il buio per sempre. Ognuno deve fare il suo, deve lottare ma soprattutto deve essere positivo, perché senza la positività non si vincono le battaglie.