“Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane, ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame”. Così nel 1973 cantava l’immenso Fabrizio De André, icona indiscussa e sempre più bistrattata da certi militanti che stanno sempre con la ragione e mai col torto. Chissà che cosa avrebbe detto oggi il vecchio Faber, davanti alla gente scesa in piazza a chiedere di poter lavorare per sfamare figli, genitori e familiari.
Di fronte agli eventi di questi giorni, sui social abbiamo visto gente indignata per la protesta dei ristoratori chiusi ad intermittenza da oltre un anno. Abbiamo visto persone che – considerata la mancanza delle distanze di sicurezza e delle precauzioni da parte di chi era sceso in piazza – hanno sentenziato che, se questo è lo scarso livello di attenzione sanitaria nelle cucine dei locali, sicuramente non avrebbero più fatto ritorno in un ristorante neppure nel post-pandemia. Vivaddio, verrebbe da dire! Queste sono le stesse persone che poi ti tengono a cena per ore ammorbandoti con interessantissimi discorsi sulla fame nel mondo, sul loro spirito ribelle e sul loro profondo amore verso il sentimento popolare. Persone che, tuttavia, pensano che per manifestare servano i guanti di seta e che tutti quelli che ieri si volevano recare sotto Montecitorio siano degli zotici cafoni sottosviluppati.
Qualcuno, addirittura, ha detto che a manifestare c’erano solo quelli che per anni hanno nascosto gran parte dei propri incassi evadendo le tasse a danno di tutti. Come dire: “Un po’ per uno cari evasori miei, ora tocca a voi non guadagnare e avere fame, arrangiatevi!”. E le manette alzate al cielo, invece? “Braccia tese, ovvio!”: ultras, facinorosi e il solito corrimi dietro, erano tutti lì. Si è detto così, nonostante gli organizzatori di “IoApro” si siano immediatamente preoccupati di evitare ogni tipo di strumentalizzazione politica, perché questa non è una battaglia politica.
È chiaro che la pandemia sta creando gravi disagi a tutti. Qualcuno muore di covid, qualcuno muore di fame e qualcuno è costretto addirittura a rimandare il costosissimo viaggio a Bali. Questi ultimi – parliamo così a spanne – di solito sono quelli che vagheggiano un’altra chiusura totale perché a livello reddituale, per loro, non è cambiato niente. Non hanno fame e non hanno consumato tutti i loro risparmi per far fronte a spese che, diversamente dalle entrate, non attendono. Pare chiaro a tutti, ormai, che tenere ancora chiuso il Paese non è più possibile. Il livello di tensione – dopo un anno difficile e con una libertà a singhiozzi – è altissimo, e se chi dice di amare le strade ci scendesse anche lo capirebbe meglio parlando con ristoratori, commercianti ed esercenti.
La campagna vaccinale è avviata, si tratta solo di accelerare e di uniformare il tutto su scala nazionale procedendo insieme alla stessa velocità. Il virus c’è, quale sia la sua potenza non compete a noi dirlo perché non siamo dei tecnici, ma è il caso di pensare al fatto che ci dobbiamo convivere perché non possiamo più aspettare di sconfiggerlo. C’è qualcuno che ha il coraggio di parlarne e di parlare di cosa ci sarà dopo il covid?
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