Flop, almeno a Lucca, per l’iniziativa ‘Io apro’ che prevedeva l’apertura di bar e ristoranti anche per cena violando le normative di sicurezza previste dai Dpcm. Un rischio troppo alto che, in alcuni casi, oltre alle multe, avrebbe compreso anche la sospensione della licenza per cinque giorni e che in molti, nel rispetto del momento, non hanno voluto correre nonostante tutte le difficoltà.
In questi giorni però ed in particolare venerdì (15 gennaio), un’altra protesta, più silenziosa, è stata organizzata dalla TNI (Tutela nazionale impresa), insieme con l’associazione Ristoratori Toscana e altri Enti territoriali: ‘Io apro in sicurezza’. Tavoli apparecchiati, titolari e dipendenti a cena, luci accese e saracinesche aperte per ribadire che anche i locali sono sicuri e che il virus non distingue fra pranzi, cene, giorni feriali e festivi. In pochi hanno aderito in Provincia di Lucca, la maggior parte in Versilia. Nella piana invece, ad alzare la saracinesca è la Trattoria DaVero a Montecarlo. A cena nel locale aperto da poco più di due anni, i titolari, Veronica e Leonardo e il cuoco: “Nonostante tutto siamo dalla parte della sicurezza – dice Veronica -. Vista la situazione io avevo deciso di chiudere il mio ristorante ancora prima del lockdown di marzo scorso. Non vogliamo mettere a rischio nessuno e neppure violare il Dpcm, ma come sappiamo i servizi di asporto e domicilio non bastano, gli indennizzi non sono sufficienti e le chiusure a cena ci limitano tantissimo. Non siamo untori e i trattamenti dovrebbero essere uguali per tutti“.
A parlare della manifestazione è Antonio Sabatino, coordinatore regionale dell’associazione Ristoratori Toscana e coordinatore regionale della TNI (Tutela nazionale imprese). E’ la TNI, assieme Ristori Italia, Feipe ed altre associazioni italiane, ad aver inviato una lettera ai Prefetti di tutte le regioni per chiedere, in primo luogo, le prove scientifiche alla base delle misure esclusive che da mesi limitano le attività di ristorazione, oltre a ristori adeguati e all’apertura per cena almeno in zona gialla.
Che cos’è #Ioaproinsicurezza?
“E’ un flashmob pensato per dimostrare che un locale che rispetta responsabilmente tutte le regole è sicuro anche dopo le 18. Crediamo che sia giusto protestare ma sempre nei limiti della legalità. La nostra è una scelta ragionata, anche se comprendiamo a pieno tutte le difficoltà del settore ormai ‘in ginocchio’. L’iniziativa comprendeva, con regolare autorizzazione del Prefetto, per le regioni in zona gialla, di allestire il locale e simulare una piccola cena, solo fra titolari e dipendenti, esclusi quelli in cassa integrazione. In zona arancione e rossa invece, solo saracinesche alzate, luci accese e tavoli apparecchiati. Un grido silenzioso e ‘sicuro’ per dar voce alle categorie più penalizzate dalle restrizioni e ribadendo l’idea che il virus contagi senza limiti di orario. Se in zona gialla si può lavorare fino alle 18, dovrebbe essere permessa anche l’apertura per cena, almeno nel weekend”.
In 8mila hanno aderito alla manifestazione sperando appunto di poter riaprire, solo in zona gialla, anche a cena, rispettando comunque tutte le regole di sicurezza e distanziamento per non vanificare gli sforzi fatti fino a questo momento.
Cosa si chiede nella lettera indirizzata ai Prefetti?
“Assieme a Ristori Italia, Feipe, Ristoratori Toscana ed altre associazioni territoriali abbiamo firmato una lettera indirizzata a tutti i Prefetti d’Italia per chiedere, oltre alle aperture serali, anche che intervengano in favore della categoria e si facciano da tramite con il governo per ottenere che, allo stato di emergenza sanitaria faccia seguito, come in altri Paesi europei, quello dell’emergenza economica (con la previsione di risarcimenti adeguati). Tutela Nazionale imprese rappresenta circa 40mila imprese tra bar e ristoranti, ad oggi ancora costrette a chiusure forzate ed incertezze, che hanno ricevuto, mediamente, come ristori, solo il 2,5 per cento del fatturato annuo. Se veramente venisse dimostrato che i ristoranti sono causa primaria del contagio, i nostri imprenditori sono disposti a chiudere, se pur chiedendo indennizzi adeguati alla perdita del fatturato“
Nella lettera si legge: “Alla luce di quanto enunciato, le chiediamo di aiutarci a comprendere le ragioni per cui a noi ed ai nostri dipendenti viene impedito di lavorare da ormai dieci mesi. Siamo a chiederLe in particolare di poter conoscere quei dati scientifici in grado di individuare in maniera chiara ed inequivocabile i pubblici esercizi come luoghi ad alto rischio di diffusione del contagio e sulle cui basi sono stati emanati i Dpcm ed i decreti vessatori che ci hanno imposto un insostenibile periodo di chiusura. In particolare, siamo ansiosi di conoscere le evidenze scientifiche che consentono di imporre ai ristoranti la chiusura a cena, ma non a pranzo, anche in quelle zone in cui è ufficialmente riconosciuto un basso indice di rischio contagi (zona gialla)”.
Le associazioni si dicono pronte, se le imprese non riceveranno gli indennizzi di dicembre, anche ad aprire i locali a cena: “Per la sopravvivenza nostra, delle nostre famiglie, dei nostri dipendenti e dei nostri fornitori, a far valere i nostri diritti nelle modalità che riterremo opportune“.
Un grido d’allarme accolto anche da palestre, cinema, teatri, scuole di danza e tutti gli altri settori ‘dimenticati’ dai Dpcm che da mesi ormai non aprono le porte delle loro attività nonostante la messa in sicurezza e che esprimono il loro dissenso verso misure così restrittive.