Classe 1990, nata e cresciuta a Pisa e orgoglio italiano: è Giulia Bellandi ed è una delle azzurre che parteciperà alle Paralimpiadi di Tokyo 2021.
Stella del sitting volley Bellandi volerà il Giappone e porterà con se tutta la determinazione che la contraddistingue, insieme al coraggio, la voglia di vincere e quella commozione per essere riuscita, con tutte le sue forze, a realizzare un sogno.
Passione e perseveranza, fatica e costanza: questo è quello che ha permesso alla pisana Giulia di continuare a guardare il suo obiettivo sempre e comunque, nonostante le difficoltà e nonostante la vita le abbia fatto un brutto scherzo. All’età di 19 anni infatti, a causa di un bruttissimo incidente in motorino, proprio quando la sua carriera da pallavolista le stava dando le prime grandi soddisfazioni, ha dovuto a subire un’amputazione alla gamba. E’ dovuta così ripartire da zero, allungare i tempi e prepararsi a una nuova vita, ha dovuto sicuramente reimparare a fare determinare cose, ma non a sognare ed è così che grazie allo sport e alla sua voglia di non arrendersi mai è oggi una delle italiane che solcherà il campo di Tokyo.
Abbiamo parlato con lei, che ci ha raccontato cosa è questo sport, come grazie ad esso ha realizzato il suo sogno ma soprattutto quanto sia importante la forza di non perdersi e di credere sempre che anche dal dolore e dalla sofferenza nasceranno cose inaspettate, se solo lo vogliamo davvero.
Quando e come nasce la tua passione per la pallavolo, sei figlia d’arte giusto?
La pallavolo è sempre stata presente nella mia vita, mio padre e mia madre sono pallavolisti – arrivati anche ad alti livelli come la serie B – e si sono conosciuti proprio grazie a questo sport e anche mio fratello gioca. Direi quindi che doveva andare per forza così! Quando ero piccola ho praticato molti sport, anche la ginnastica ritmica che proprio non faceva per me, ma – nonostante i miei genitori non mi abbiano mai obbligato – quando ho provato la pallavolo me ne sono innamorata e non ci siamo più lasciate.
Quando la tua carriera stava prendendo il volo hai avuto un brutto incidente che ti ha costretto a rimettere tutto in discussione?
Sì, era il 24 luglio 2009 e avevo 19 anni. In quel periodo mi ero conquistata la serie D, che per me era una grandissima esperienza, dovevo quindi iniziare il mio anno di campionato in prima divisione, come alzatrice titolare con una squadra tutta mia.
Ero molto felice ed entusiasta ma – strano il destino – ho fatto l’incidente proprio il giorno che avrei dovuto fare il primo allenamento. E’ stato un shock per tutti, anche per le mie compagne di squadra che sono rimaste spiazzate, senza alztrice da un momento all’altro.
Quanto è stato difficile ricominciare tutto da zero?
Sinceramente è stato molto difficile ma devo ringraziare la mia famiglia e le mie amiche che mi hanno davvero aiutato molto in questo percorso, ed è grazie a loro se sono riuscita fin da subito, diciamo, a rialzarmi e a ritornare alle cose che facevo prima, come andare in discoteca o uscire fuori a cena.
E’ stato un percorso complicato, ovviamente, ma grazie alla vicinanza delle persone che mi hanno voluto bene ce l’ho fatta e sono riuscita a rimettermi in piedi.
Prima di iniziare il sitting volley sono passati degli anni, ero molto scettica, non volevo più giocare, non me la sentivo e probabilmente non ero così aperta mentalmente.
Un giorno, dopo svariate proposte di un allenatore che sapeva il mio percorso, le mie amiche mi hanno convinto a provare e sono venute anche loro a giocare con me e da lì me ne sono innamorata.
Lo sport è stato il motore della tua rinascita di fronte alla nuova vita che hai dovuto affrontare?
Sì, per me il sitting volley, e quindi lo sport, è stata la mia rinascita in tutti i sensi. Dopo l’incidente ho potuto scoprire una me diversa anche dal punto di vista caratteriale, mi affaccio al mondo oggi in modo completamente diverso ritrovando nel sitting volley quella passione che avevo messo da parte.
Dopo l’incidente ero convinta di non poter più giocare ma quando sono entrata in nazionale, vedendo anche le somiglianze con la pallavolo, mi sono detta “posso continuare a sognare, ad avere quell’adrenalina che ho messo da parte per anni!”. In più, grazie alle competizioni internazionali, ho potuto conoscere molte persone intorno a me con storie simili alla mia e il fatto che tutti fossimo così a nostro agio nonostante la disabilità mi ha reso una persona più sicura e più aperta nei confronti delle persone.
La tua famiglia ti ha sempre incoraggiato a portare avanti la tua passione nonostante tutto?
Assolutamente sì e devo dire che mia madre, mio padre e mio fratello sono stati fondamentali in tutto questo percorso. Mio padre soprattutto, che la pallavolo la respira e la vive – essendo anche un dirigente – mi ha seguito un po’ovunque. E’ venuto con me agli europei in Croazia per esempio, a Budapest, ai mondiali e la sua vicinanza è stata fondamentale.
Cosa è diventato per te il sitting volley e cosa ti manca della pallavolo?
Nel sitting volley, a differenza della pallavolo, si gioca sedute e ci si sposta con mani e piedi ma per il resto sono due sport similari, che prevedono gli stessi ragionamenti di gioco, la costruzione di schemi studiando la debolezza delle avversarie e per questo posso dire che ormai della pallavolo non mi manca più niente.
Mi ero già accorta in passato di quanto fosse bello e competitivo questo sport ma la riprova l’ho avuta quando ho giocato nel 2016 per le qualificazioni delle Paralimpiadi di Rio: in quel momento mi sono proprio resa conto della bellezza del sitting volley, guardare le squadre di altissimo livello come Russia e Stati Uniti mi ha fatto pensare di essere esattamente nel posto giusto e che non c’era differenza da una normale partita di serie A di pallavolo.
Tokyio 2021: cosa rappresenta per te?
Tokyo 2021 per me rappresenta un sogno, anzi il sogno e paradossalmente senza l’incidente non lo avrei mai realizzato.
Quindi è come se, grazie a quell’esperienza negativa e dolorosa, abbia oggi un’altra vita parallela con sogni diversi da quelli che avevo prima.
Per me le Paralimipiadi sono veramente tutto: una rinascita e l’obiettivo della mia nuova vita. Quando nel 2016, sempre alle qualificazioni per Rio, vedevo le altre squadre tutto era così lontano, irraggiungibile, ma grazie all’impegno e la costanza la mia squadra è migliorata tantissimo, abbiamo fatto passi da gigante e quando ci siamo qualificate per Tokyo abbiamo provato un’emozione indescrivibile, la più forte della mia vita.
Avresti mai pensato di raggiungere questo grandissimo risultato?
Sinceramente no. Ci siamo allenate tanto ed eravamo consapevoli dei grandi miglioramenti fatti e degli obiettivi importanti raggiunti, ma da lì a credere di qualificarsi per Tokyo ce ne passava.
Quando abbiamo fatto l’ultima partita prima della qualificazione sapevamo che era possibile ma non volevamo ancora crederci, non volevamo dirlo a voce alta, quasi per paura che non si avverasse. Tuttora non realizziamo ancora bene la cosa meravigliosa che è successo e purtroppo anche il Covid ha annullato un po’i pensieri belli.
Sei esempio di coraggio e perseveranza, cosa consiglieresti ai giovani che si trovano ad affrontare grandi difficoltà come quella che è successa a te?
Spesso mi hanno detto questa cosa e io ogni volta sono onorata di essere considerata esempio di coraggio. Sai, questa esperienza mi ha dato la possibilità di conoscere molte storie, alcune simili alla mia, altre diverse ma tutte che hanno attraversato dolore e sofferenza. Alle volte ho sentito racconti al limite della realtà, per me, dove la disabilità è diventata davvero uno stigma, dove genitori e amici non hanno dato l’appoggio e hanno quasi nascosto la nuova condizione di vita dei protagonisti e tutto ciò mi fa rabbrividire ogni volta.
Io credo fondamentalmente che nella vita non bisogna arrendersi mai e se lo sport faceva parte della vita precedente, allora è uno strumento utile e importantissimo per tornare allo scoperto e rinascere. Io avevo questa passione prima dell’incidente, l’ho riscoperto dopo, e di ciò ho fatto il mio sogno e consiglio a tutti questo tipo di percorso perché per me rappresenta il senso della vita. Poter sognare, poter tenere stretto quell’obiettivo, quel qualcosa che ci da la forza di alzarci ogni mattina e ci stimola ad essere migliori e pretendere di più da noi stessi, rendendoci orgogliosi. Per questo ringrazio le mie compagne di squadra, alle quali sono molto grata, e lo staff, sperando che questo sogno possa non finire mai.