Cambio colore e dico arancione. Da venerdì (4 dicembre) in Toscana riaprono i negozi ma restano ancora abbassate le saracinesche di ristoranti, bar e pub. Vietato muoversi fra Comuni diversi, se non per particolari esigenze, quali salute, lavoro o maggiore convenienza economica. Tra gli spostamenti concessi da una recente ordinanza regionale però anche quelli per raggiungere seconde case o imbarcazioni per lavori di manutenzione, per andare a trovare i figli presso l’altro genitore, per coltivare il terreno, per le attività di raccolta tartufi, funghi e di pesca (esclusivamente a titolo professionale), per accudire gli animali allevati. Sarà invece possibile circolare senza autocertificazione nel proprio Comune, riaprono i centri estetici e le toilette per cani.
Prepariamoci a passare poi delle feste quasi del tutto blindate, le cui precise regole saranno, si spera, meglio spiegate nel nuovo Dpcm che uscirà a giorni.
Ancora un no deciso quindi, almeno per ora, alla possibilità di ritrovarsi con i propri congiunti o affetti stabili fuori dal Comune di residenza o domicilio. Conseguenza: un’inevitabile solitudine. E non è solo questione del pranzo di Natale o del veglione di Capodanno perché nessuno, salvo poche eccezioni, è così ottuso da rammaricarsi per la mancanza di feste. Il punto è che non tutte le famiglie e le situazioni sono uguali.
Siamo sicuri allora che il problema sia di chi chiede un po’ di conforto e non di un governo che, dopo la prima ondata, a parte cambiare colori, non ha strutturato alcuna soluzione definitiva?
A dimostrazione di quanto la classe politica sia ormai anni luce lontana dalle esigenze dei suoi cittadini ci sono i continui moniti del presidente Giuseppe Conte e del ministro Roberto Speranza: “Serve più responsabilità”, “Polemiche inutili”, “Dobbiamo collaborare di più o la terza ondata sarà peggio”. Ecco, a questo proposito ci sentiamo di mettere qualche ‘puntino sulle i’ perché i cittadini questa volta ce la stanno davvero mettendo tutta. Anche quelli che non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione o da mesi non percepiscono uno stipendio pieno. A nome di tutti quei ragazzi ‘incollati’ al computer, grandi e piccini, alla disperata ricerca di un futuro.
Badiamo bene però, qui nessuno intende sminuire la gravità della pandemia. La salute prima di tutto, lo avevamo già scritto e lo sottolineiamo. In Italia si contano ancora molti decessi e niente è peggio di morire da soli in ospedale o di passare un Natale con una sedia in meno. Chiaro che se osservato in quest’ottica, tutto passa in secondo piano. Ma se necessario, bisogna anche saper distinguere.
Ad oggi tutti noi abbiamo capito quanto sia difficile gestire la situazione sanitaria. Ma non tutti ‘loro’ a quanto pare. Al San Luca infatti, molti dei medici che lavorano nelle terapie intensive, per fare un esempio, non hanno a disposizione le mascherine Ffp3, le uniche in grado di proteggere dal contagio durante l’inserimento del casco ai pazienti. Non esiste ancora un piano di nuove assunzioni negli ospedali, di tutela degli anziani o delle persone più fragili.
Solo lo scorso 17 ottobre su Il Post si leggeva: “In Italia i posti letto in terapia intensiva sono attualmente 6mila 458. Circa mille e 250 in più rispetto a quelli precedenti all’epidemia, ma molti meno di quelli che il governo aveva progettato di allestire in previsione della seconda ondata, che proprio in questi giorni sta cominciando a mettere sotto stress gli ospedali di diverse regioni. I piani per aumentarli fatti a maggio non sono stati rispettati. Nonostante le regioni avessero preparato e presentato i progetti già a luglio, come richiesto dal governo e dal commissario straordinario Domenico Arcuri, i lavori devono ancora cominciare”.
Le persone muoiono negli ospedali, è vero, ma non è sempre stata colpa solo del Covid-19. Un’altra responsabile è la totale disorganizzazione che c’è alla base della gestione di questa pandemia. Quindi basta attribuire tutte le responsabilità ai cittadini quando chi avrebbe dovuto guidarci e tutelarci si è limitato ad imporci un’unica scelta alquanto indegna: quella tra salute e lavoro.
Allo stesso modo non è stato incentivato il trasporto pubblico, ma anzi, secondo l’assessore regionale Stefano Baccelli: “Serve il 50 per cento di didattica a distanza per garantire il 50 per cento di capienza dei bus”. A voi le considerazioni. Ancora nessuna regola precisa che scongiuri gli assembramenti nonostante alcune Regioni abbiano già riaperto gran parte delle proprie attività. E i test rapidi per gli studenti? Meglio non chiedere niente.
D’altra parte cosa aspettarsi da una classe politica (tutta) che, casualmente, si era pure dimenticata di rinnovare il piano pandemico nazionale (come previsto dalla legge), se non una chiusura delle attività senza alcun sussidio economico (il Decreto Ristori non vale), un futuro incerto e un lavoro precario uniti alla paura di finire in ospedale? Non solo, a molti è stata negata anche la possibilità di ‘vivere amore’, se pur in sicurezza. E non è questione di sentimentalismo o priorità, è che ognuno ha la propria storia, le proprie necessità e quello di poter vivere i propri legami dovrebbe essere un diritto di tutti. Senza contare che la possibilità di ritrovarsi con una ristretta cerchia di legami eviterebbe molti assembramenti.
L’unico malfatto qui rimane dunque quello di una classe politica che dà a intendere di non rendersi conto che ha mancato a quasi a tutte le proprie responsabilità, a differenza dei cittadini. Su questa linea, una prossima riapertura sarà inevitabilmente una nuova ondata ondata.
Perché noi, giovani compresi, magari ci lamentiamo sì, però se la curva del contagio è di nuovo in calo è solo perché la maggior parte ha avuto cura di tutte le regole e le ha fin ora accettate proprio in nome di chi muore negli ospedali. Mentre qui mi pare che ci sia qualcuno, comodamente seduto sulla poltrona, che non ha rispetto neppure per i vivi.