(contributo di Beatrice Taccini)
C’è stata una lotta all’ultimo sangue tra l’accusa e la difesa per decretare cosa fare, e soprattutto cosa dire, in merito a ogni decisione presa. È stato messo in dubbio il senso di tutto: il popolo si è diviso tra negazionisti e milizia popolare anti covid, e terrapiattisti, per capire se l’attività fisica sia necessaria alla salute, se il centro estetico sia o no un luogo sicuro e se fosse giusto annullare il Natale, sul modello delle cronache di Narnia.
Le lezioni di yoga sono finite, le dirette instagram non le guarda più nessuno e si fa fuoco sugli amplificatori di chi canta dai balconi. Solidarietà, unione, sacrificio e altre soluzioni garibaldine non sono accettabili, d’altronde l’unica opzione proposta agli orfani dei bar, per uscire di casa, è stata quella di farsi una corsetta.
Ed ecco che la salute diventa giustificazione summa per qualsiasi misfatto, dall’assenza scolastica, al crollo dell’economia mondiale, al contempo diviene anche motivazione indubbiamente legittima per ogni tipo di disguido minore, ponendo fine all’era in cui era lecito lamentarsi per qualcosa, qualsiasi cosa.
Ora ogni lamentela deve sommariamente concludersi con “non lamentiamoci, siamo fortunati”.
Si rompe la lavatrice, ma tutti i miei familiari stanno bene. Sto divorziando, ma per ora niente febbre. Non ho soldi per mangiare, ma almeno sono vivo.
In gelateria chiedo un cono, con pistacchio, nocciola e panna. È da asporto. Vado a mangiarlo su una panchina, su cui mi posso sedere solo io, e noto che il pistacchio non c’è, solo nocciola e panna. Torno indietro e faccio presente che manca il pistacchio. Ed ecco che il gelataio, consapevole tesoriere dell’etica e della morale, butta sul tavolo la summa giustificazione: la pandemia mondiale. C’è una pandemia mondiale e la cosa a cui pensi è il pistacchio.
La pandemia mondiale contro il gelato al pistacchio. La pandemia mondiale contro la signora che ti passa davanti in fila. La pandemia mondiale contro chi non raccoglie la cacca del cane. Ma se davvero esiste una priorità e tutti la conosciamo, e tutti la condividiamo, questo non significa che il mondo debba trasformarsi in un luogo in cui è doveroso accettare che ci venga fatta la morale perché cerchiamo di soddisfare una qualche necessità che non sia la salute, se così fosse, chi dovesse uscire illeso dalle risse alle casse, uscendo dal supermercato, troverebbe un mondo ricoperto da cacche di cane. Tutto il resto varrà anche meno, ma non è noia.
C’è un elefante rosa bello grosso in mezzo alla stanza, ed è necessario un grande spirito di iniziativa e una notevole dose di ottimismo per vedere oltre, ma se ce la facciamo, se cambiamo prospettiva, vedremo che dietro c’è ancora tutto il resto, e forse anche di più, c’è anche tutto quello che non abbiamo mai visto e che ora sappiamo quanto conta.
Ed ecco quindi che ci siamo trovati a consumare fuori l’ultima cena, a bere l’ultima birra, siamo passati a salutare il nostro commerciante preferito, abbiamo pranzato con i nonni e poi passeggiato fino alle 18.00, comprando castagne arrosto e palline di Natale.
Ci siamo goduti il momento, abbiamo imparato la lezione. Abbiamo fatto ogni cosa come se fosse l’ultima volta, almeno per un po’. Ed è così che bisognerebbe vivere sempre. Ci siamo goduti il qui e ora e ci siamo sentiti fortunati, perchè lo siamo. Se ce lo ricordiamo, accidenti se lo siamo.
Sull’opinabilità di questo punto di vista direi di chiudere il dibattito ancora prima che si apra, attualmente i problemi sono altri, e per chi non c’avesse fatto caso, c’è una pandemia mondiale, cazzo.