Stop alle competizioni calcistiche provinciali. Secondo il nuovo Dpcm (18 ottobre) infatti, le stesse vengono sospese dalla Terza categoria ai Giovanissimi e alle attività di base (Esordienti, Pulcini, Primi Calci e Piccoli Amici). Salve invece le competizioni dilettantistiche regionali e nazionali. Vanno quindi avanti la Serie C, le categorie Eccellenza, Promozione, Prima e Seconda; gli Under 19, Under 17, Under 16, Under 15 e Under 14.
Il governo aveva prima fermato lo sport a livello amatoriale e ora ha imposto un ulteriore stretta per tentare di frenare la crescita esponenziale dei contagi da Covid-19. Le nuove norme saranno in vigore fino al 13 novembre prossimo.
La regola del ‘o tutti o nessuno’ non sembra dunque valere ai piani alti e la decisione ha lasciato un po’ di amaro in bocca a chi ancora una volta è costretto a fermarsi. Il disappunto si legge anche nelle parole di alcuni genitori che nel pomeriggio accompagnavano i loro figli agli allenamenti: “Perché devono rimetterci i nostri bambini? Il calcio è uno sport all’aperto e loro hanno bisogno del loro svago visti tutti i cambiamenti che hanno dovuto accettare negli ultimi mesi”.
Ma la passione non è solo quella dei più piccoli, perché per qualcuno, anche da grande, urlare quel ‘goal!’ è fondamentale.
E di passione parla Fabrizio Guarnera, che da qualche anno gioca negli Amatori Terza serie di un’Asd della piana e che, come i suoi compagni, non approva le ultime decisioni scritte nel Dpcm: “Perché i tornei regionali si e quelli provinciali no? Stessi campi, stessi spogliatoi e stessa voglia di giocare. Eppure noi da oggi (20 ottobre) dobbiamo fermarci e pagare per tutti gli altri – dice -. Possiamo andare in palestra, sui pullman, fare cene da sei persone, però non possiamo praticare il nostro sport. Questa sarebbe una prima soluzione per evitare un lockdown e quindi un tracollo economico?”, si chiede.
“Il calcio – continua – è diverso per chi lo vive da dentro. Per noi è una forma di evasione, anche da tutto questo carico continuo di informazioni e di numeri. Non giochiamo per guadagnare. La salute viene prima di tutto, ma non è colpa nostra se la sanità pubblica non è stata tutelata negli anni. Forse è perché non portiamo soldi? O perché giochiamo per pura passione, quindi possiamo anche farne a meno? Abbiamo le stesse probabilità di contagiarci di quelli che giocano in tornei regionali o nazionali“.
E sulle norme di sicurezza aggiunge: “Sono sempre state rispettate. La nostra società aveva assunto un addetto alla sicurezza sanitaria per misurare la febbre ai giocatori e controllare che fosse mantenuta la distanza negli spogliatoi e c’era già un responsabile anche per gestire gli spettatori sulle tribune e le relative distanze sia all’entrata che all’uscita. Più di questo non è possibile. Aggiungo che siamo tutte persone responsabili, che non credono ai complotti e che per primi tutelano gli altri”.
Fabrizio evidenzia poi come il calcio non sia solo una partita ma anche un vero e proprio sistema economico: “Non perdiamo solo noi, perdono anche altre attività come i bar e i ristoranti. Prima di ogni partita ci ritroviamo a fare colazione ad esempio, è un circolo. Poi paghiamo il campo, le scarpette, le piccole trasferte. Sembra banale ma non lo è. Credo che con l’impegno di tutti e il rispetto delle regole sarebbe stato possibile andare avanti. Poi ci sono gli sponsor – continua -. Alcuni dei soldi ricevuti sono già stati investiti dalle società e adesso che le partite saranno annullate questo sarà un problema per chi ci sostiene”.
“E’ stata una decisione inutile più che ingiusta – conclude -. Il virus è ovunque e non fa differenze di livello. Emotivamente gestire tutta la situazione non è per niente facile e quando c’è stato bisogno di fare sacrifici li abbiamo fatti però questa manovra non tutela nessuno perché le partite degli altri continueranno ad essere giocate e il contatto c’è anche lì. Siamo amareggiati da questa decisione perché non è equa ed è pure a discapito dei più piccoli che hanno bisogno del loro sport. Da parte nostra c’era stato il massimo impegno ma appunto non essendo un mestiere e non portando soldi siamo stati esclusi. Capisco il momento, ma non posso pensare che sia giusto, perché non lo è“.