Si chiama Samuele Del Carlo, lucchese, classe 1980, ambizioso e fuori dagli schemi.
Dopo la maturità classica decide di dare spazio alla sua vera passione, riuscendo a trasformarla, con impegno e costanza, nella sua professione: il vino.
Ad oggi Del Carlo è un sommelier noto e riconosciuto, con una grande e appassionata squadra al suo fianco, alla costante ricerca di esperienze, bellezza ma soprattutto condivisione, sia di vini che di persone.
Abbiamo parlato con lui, anche in occasione dell’evento di domani sera, giovedì 24 settembre, al Pinturicchio dove sarà protagonista con una lezione “Alla scoperta dei segreti del vino” organizzata dalla piattaforma eChef (questo il link per acquistare il ticket: https://www.echefitalia.com/events/degustare-con-la-bocca-episodio-uno/).
Del Carlo ci ha raccontato questo affascinante mestiere che ruota intorno al vino, il percorso intrapreso per realizzare un sogno e tutta quella determinazione che serve per affermarsi senza scendere mai a compromessi.
Hai sempre voluto fare il sommelier?
No, da piccolo volevo fare lo scienziato, poi volevo fondare un ente per l’energia pulita o il ritorno alla natura, avrò avuto 8 anni. Poi volevo aprire un negozio di acquari e infine fare il letterato e lo studioso, finché verso i 25 anni il vino mi ha rapito e gettato nel suo mondo infinito dove c’è sempre da meravigliarsi, da studiare e da godere e condividere. Ma c’è voluto molto tempo prima che scegliessi di farne un lavoro, circa 10 anni.
Quale percorso hai intrapreso?
Inizialmente il mio stesso assaggio, cercavo i vini che mi emozionavano, non pochi, i quali sono ancora gli stessi. Allo stesso tempo però dovevo ascoltare anche le mille campane commerciali, i famosi punteggi che allora erano tanto in auge e confrontarmici con molte perplessità. Mi trovai a lavandinare non pochi vini blasonati. A un certo punto decisi di fare un corso da sommelier AIS, e finii il diploma; nel frattempo mi confrontavo privatamente con tanti cultori e appassionati, sia di persona che sui forum che allora erano anche ben frequentati. Capii ben presto molte cose e cominciai ad intraprendere un percorso il più autentico possibile e lontano dagli schemi (poi sempre più fallimentari ) dei premi delle “guide”, del giornalismo e della letteratura commerciale, per dedicarmi all’assaggio da solo e con cultori e appassionati di profonda esperienza, fuori dalle logiche del sentito dire e della moda del momento.
Alla fine mi hanno chiesto di fare il Sommelier per un prestigioso progetto all’interno di un ristorante, dopo altre offerte di lavoro che avevo già avuto e decisi improvvisamente di buttarmi in questo mondo anche dal punto di vista lavorativo.
I trucchi del “mestiere” per fare della propria passione, la propria professione.
Per fare della propria passione una professione non serve nessun trucco: serve prima di tutto cultura. Improvvisarsi per sentito dire è la cosa più sbagliata, può generare solo un fuoco di paglia. Servono preparazione profonda, disponibilità continua a interrogarsi e conoscere, imparare e solo da un certo punto in poi si può iniziare a dare, a insegnare: a questo punto non devono mancare una volontà di ferro, l’indisponibilità assoluta a compromessi che servono solo a compromettere e la creazione di un progetto che metta a frutto e in condivisione un sapere e un lavoro.
Come si svolge la giornata tipica di un sommelier?
La parola sommelier è un termine abusato e che si presta a equivoci.
Ci sono ormai diverse associazioni che dopo circa 30 ore di corso serale rilasciano diploma di sommelier e ci troviamo di fatto con una popolazione ampia di cosiddetti Sommelier della domenica, che in genere degustano col naso, o per sentito dire, o leggendo punteggi sulle riviste commerciali o guide.
Un sommelier non è questo.
Normalmente per sommelier si intende un professionista del vino capace di scegliere, conservare, consigliare e servire nel miglior modo una serie di vini in un ristorante, enoteca o altro punto di incontro e di vendita del vino. Ciò detto, è molto raro trovare professionisti, sia per la difficoltà del ristoratore nell’investire risorse per una tale figura, sia per la scarsità di tali figure. È molto raro trovare professionisti dotati di cultura e capaci di trasmetterla con leggerezza e adeguandosi alla varietà del pubblico, ma senza perdere il ruolo di persona di cultura, che insegna. Servono quindi grande preparazione, una certa dose di umiltà ma anche senso di dignità per quello che si sta facendo. La giornata tipica di queste rarissime persone si svolge essenzialmente in due parti distinte: quella della preparazione (studio, degustazione, scelta dei vini, ordini, sistemazione ecc) e quella della mescita e condivisione, somministrazione e spiegazione dei vini.
È una carriera difficile da intraprendere in una città come Lucca?
Nulla è impossibile e nemmeno difficile per chi veramente ci crede fino in fondo. Diciamo che è una professione che puoi fare solo se veramente hai una grandissima passione, diversamente non avrebbe senso: la stessa spesa per la lunghissima preparazione non sarebbe mai ripagata nel breve o medio termine.
Cosa rappresenta per te il vino e perché lo hai scelto come “compagno di vita”?
Il vino rappresenta la bellezza, il dono, la condivisione, la sapienza, la ricerca, l’emozione, la cura, la conservazione, la sorpresa, il ricordo. E ancora tante altre cose. La natura e la cultura. L’amicizia. La commemorazione, la festa. La passione, la spensieratezza e il pensiero dominante (per me), e un grande esercizio per conoscere i propri sensi, in fin dei conti è anche uno strumento di conoscenza di sé.
È anche un esercizio di autocontrollo, di disciplina, ma nella libertà. Quando si dice “bevi responsabilmente”, non si dice una cosa sbagliata: la libertà è responsabilità.
L’ho scelto come compagno di vita per tutte queste ragioni, e anche perché è un legame fortissimo fra la natura e lo spirito.
Consiglieresti questo mestiere?
Lo consiglierei soltanto a chi ne è degno.
L’esperienza che più ti è rimasta nel cuore?
È troppo difficile isolarne una sola, non sarebbe giusto. Però posso dire che l’assaggio di uno champagne un pomeriggio di qualche anno fa mi dette la sensazione di essere all’interno di un chicco d’uva, fu un’esperienza ‘memorabile‘.
Eravamo in una degustazione guidata fra pochi, fu un disvelamento. Ma uno dei tanti che possono capitare quando si entra in un rapporto con il divino che diventa anche un rapporto con il proprio interiore. In certi contesti il vino può aprire non solo i sensi ma anche il cuore, la fantasia, la sensibilità in senso più ampio. È come uno strumento straordinario: deve essere buono e bisogna saperlo usare.
Progetti futuri?
Il primo e più importante è quello di fare cultura in modo reale, di farla insieme, di non creare brand ma di scoprire e favorire le realtà più vere e meritevoli. Che il vino sia un polo di aggregazione della cultura tutta, e che ci sia verità come il proverbio direbbe, e non di sola apparenza di cui si nutre un vasto mercato da svecchiare.
Tre domande che tutti vorrebbero fare a un sommelier:
- Perché il vino si sputa?
Per non ubriacarsi e continuare ad assaggiare e comprendere, studiare i vini. - Quanto costa la bottiglia più costosa che tu abbia mai bevuto?
Non saprei dirlo, qualche migliaio di euro. - Compri mai vino al supermercato?
Ovviamente mai!!! E nemmeno sul web.