Il Dott. Claudio Arpaia – storico dirigente della Questura di Lucca e volto noto in città – ha presidiato il nostro territorio con leggendaria attenzione per circa 35 anni, prima come capo della Squadra Mobile e poi come vertice della Digos. In vista della presentazione del libro “Lupo di Strada – Storie Criminali Lucchesi”, che ne racconta la lunga carriera professionale, quest’oggi ha concesso un’intervista a Lo Schermo in cui si è lasciato andare ai ricordi, raccontandoci di come è cambiato il modo di fare indagini e le dinamiche criminali nella nostra città. Abbiamo avuto modo, inoltre, di fare alcune domande anche all’autrice Manuela Antonucci, che ci ha svelato qualche interessante retroscena accaduto durante la stesura del libro. “Lupo di Strada – Storie Criminali Lucchesi” – edito da Maria Pacini Fazzi Editore – sarà presentato venerdì 18 Settembre alle ore 17 nel chiostro di Santa Caterina al Real Collegio, dall’Avv. Florenzo Storelli e alla presenza del giornalista Paolo Del Debbio e dello storico Umberto Sereni.
Dott. Arpaia, lei è stato al vertice della Squadra Mobile di Lucca per quasi vent’anni e, intorno a sé, con il tempo si è creata un’aura di fascino e mistero sempre alimentata dalla sua riservatezza. Ma, sotto la divisa, che uomo è Claudio Arpaia?
Claudia Arpaia è come tutti gli altri uomini, niente di più e niente di meno. Un uomo fatto di carne e di ossa, forse con qualche qualità in più per fare il poliziotto, ma niente di speciale. Più o meno siamo lì, mi creda.
I suoi uomini la chiamavano “Lupo”, e possiamo intuire i motivi di tale soprannome. Di lei si dice che consumasse le suole battendo a tappeto tutto il territorio con astuzia e intelligenza. Ecco, alla luce di questo, secondo lei quali doti sono imprescindibili per svolgere bene il suo lavoro in una realtà come Lucca?
Adesso la realtà di Lucca, come quella di tutto il territorio nazionale, è variata. Sono variati i modi e tante altre cose. Oggi, ad esempio, c’è una presenza massiccia della tecnologia. Sono cambiati tanti rapporti, per cui io posso solo parlarle di come funzionava prima. E sa cosa serviva? Piedi, fiuto e intuito. Poi sono arrivati i telefonini, è arrivato Internet, sono arrivate indagini scientifiche maggiormente pregnanti. Quindi, in definitiva, oggi si usano tecniche diverse. Per carità, anche noi abbiamo utilizzato le tecniche che c’erano all’epoca, ad esempio le prime intercettazioni telefoniche. Ma non in maniera così piena e totalizzante come si usa fare adesso. Quindi diciamo che il lavoro ce lo siamo sudato. Ora è tutto un tantino più semplice, checché ne dicano i miei colleghi più giovani.
È arrivato qui nel 1976 ed è rimasto in servizio per oltre 35 anni. Ha visto una Lucca che forse, oggi, non esiste più. Secondo lei, in tutto questo tempo, la città è migliorata? E se sì, si riconosce qualche merito?
Io non mi riconosco nessun merito. Noi – il sottoscritto e i collaboratori che seguivano le mie direttive – abbiamo semplicemente guardato al di là del nostro naso. Siamo stati molto attenti a ciò che girava, a quali movimenti c’erano sul territorio. Siamo stati attenti alla realtà lucchese e a chi voleva spennare la città. Abbiamo evitato molte situazioni spiacevoli per tutti, e di questo ne sono fiero e contento. Lucca è cambiata, si. La droga prima segnava di più il passo, oggi sta dilagando a più non posso. In tutte le classi sociali e anche tra i professionisti, e questa è la cosa più sconcertante che ci può essere. Tanti reati sono calati, ci sono meno omicidi e meno rapine. E sa perché? Perché viene seguito di più il flusso della droga, purtroppo. Non perché ci sia gente migliore o le persone siano diventate più buone, no. Semplicemente la gente si è dedicata ad altro reato, silente e sotterraneo.
Qual è stato, durante il suo trascorso lucchese, il periodo più complesso e difficile? E per quale motivo?
Eh no. A questa domanda, purtroppo, non le posso rispondere e ho i miei motivi. Però si stava pensando di fare un secondo libro su quello che ancora non si può dire [il Dott. Arpaia ride di gusto: ndr]. La avvertirò per tempo!
Ci fa il nome di tre personalità che, durante il tempo trascorso in città, l’hanno colpita o le hanno lasciato qualcosa?
Dovrei essere un po’ diplomatico, cosa che non sono mai riuscito a fare molto bene. Però ci provo: tante persone hanno lasciato il segno in me, tante persone che adesso mi affollano la mente. Sono tante e non me la sento di fare nomi perché voglio mantenere la mia riservatezza come ho sempre fatto. Sono tutte persone che ho ammirato per il loro lavoro e per come svolgevano la loro attività. Se proprio devo citare una persona che mi ha segnato, faccio il nome del Dott. Giuseppe Agueci, che fu Questore di Lucca. Una persona che professionalmente mi ha chiesto tanto, ma che mi ha dato anche tantissimo dal punto di vista umano.
Lei ha origini calabresi, professionalmente cosa ha portato con sé della sua terra d’origine?
La testa dura. Si sa che i calabresi hanno la testa dura, una caratteristica che mi è servita per essere più determinato nelle indagini e per giungere a certi risultati. Ovviamente non sempre è stato raggiunto l’obiettivo, però credo che al giorno d’oggi sarebbe stato più possibile scoprire certe malefatte. Con le investigazioni scientifiche ci saremmo riusciti, ne sono certo.
Che uomo è e che cosa fa, oggi, il Dott. Claudio Arpaia?
Sono l’uomo di sempre, sono corretto con tutti. Oggi svolgo privatamente l’attività di investigazione per l’Agenzia Fox, nella sede di Via Fillungo. Sono già undici anni che lo faccio, e il lavoro non manca. Lavoriamo per aziende, per privati e per diversi Enti.
In pochi avrebbero scommesso sul fatto che acconsentisse veramente alla stesura di un libro su di lei. Ne siamo felici e, provocatoriamente, le chiediamo: Dott. Arpaia, si sta per caso ammorbidendo? Che messaggio vuole trasmettere con il libro “Lupo di Strada”?
[il Dott. Arpaia sorride prima di rispondere: ndr] No, non mi sto ammorbidendo. La stesura del libro mi è stata proposta dall’amico Walter Farnesi e da Manuela Antonucci, che poi ha scritto il libro. Io inizialmente mi sono rifiutato, poi ho acconsentito. Però, per farle un esempio, non ho voluto che il mio nome fosse riportato nel titolo e sulla copertina del libro, come invece volevano fare loro. Questo perché, come sempre, mi ritengo una persona umile. Sono andato avanti con l’idea di creare questo libro affinché diventasse un aiuto ai tanti giovani che oggi non hanno ideali e neppure un credo. Tanti giovani che non hanno nulla, magari perché vedono intorno a loro solo corruzione da parte di Istituzioni e politici. Spero che questo libro possa servire a qualcuno per crearsi un ideale se non ce l’ha. O, perlomeno, per evitare delle facili chimere che non portano a niente. Io il mio ideale l’ho sempre avuto. Oggi i ragazzi subiscono una realtà che, purtroppo, non giova a nessuno. Una realtà che si protrae nel tempo da anni. Non trovano lavoro, non sanno cosa fare e spesso si buttano sulle strade della delinquenza. Questo avviene maggiormente al Sud, dove la criminalità organizzata sfrutta queste dinamiche e queste persone prive di qualsiasi altra risorsa. Ecco, con questo scritto io spero di aver dato a questi ragazzi un input a guardare oltre la punta del loro naso, cercando altrove le loro soddisfazioni personali.
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Abbiamo fatto qualche domanda anche a Manuela Antonucci, autrice del libro.
Che cosa l’ha colpita del Dott. Arpaia?
La concretezza, senza dubbio, una caratteristica che nella società di oggi sta venendo meno. Il Dott. Arpaia è una persona di grande sostanza e contenuti, e questo lo si recepisce dal primo momento in cui ci si parla. Innanzitutto perché ti guarda dritto negli occhi, cosa sempre più rara. Io non sono una persona schiva, apprezzo molto l’affronto in senso positivo e mi ha fatto piacere questo scambio diretto e intenso con lui. È un uomo di presenza, ma anche con un forte senso del rispetto, della chiarezza e della sincerità. Con lui si ha subito la sensazione di avere a che fare con una persona vera, che non ha nulla da nascondere. E poi, ovviamente, mi ha colpito la sua storia. Scrivere questo libro, per me, è stato come tornare un po’ bambina. È stato come rivedere cose vere con il background di una bimba che guardava Starsky e Hutch alla TV.
Che difficoltà ha incontrato a relazionarsi con lui?
Sicuramente è una persona molto riservata, abituata a fare domande e non a subirle. Però io sono una ostinata, e fino a che non ho ottenuto quello che volevo sapere ho limato e chiesto. Sono riuscita a tirare fuori molto, con qualche difficoltà soprattutto per i casi più scottanti. Tanti backstages, ad esempio, non li conosco perché non me li ha voluti dire. Peraltro, proprio per questi motivi, è stato molto difficile anche creare uno stile descrittivo fluido.
Qual è, tra quelli trattati nel libro, il caso che più l’ha colpita?
Sicuramente il caso di Antonio Mini. Di lui mi ha colpito molto l’intelligenza e la capacità di organizzare le rapine. Rapine pianificate con l’attenzione per il dettaglio, con refurtive di milioni e milioni di vecchie lire. Però, poi, sulla sua strada ha incontrato il Dott. Arpaia!