Chi mi conosce bene sa che da due anni vivo praticamente in monopattino. È una via di mezzo tra necessità e scelta. Anzi, è iniziata come una necessità, ed è diventata una scelta.
Posso assicurare che la sensazione di libertà che vivo ogni giorno quando salgo sopra quel piccolo mezzo che in provincia chiamano trabiccolo, veloce, carino come design, capace di attirare più attenzioni di un’Audi A3 con pacchetto sportivo, non l’avevo mai provata prima.
Viaggiare in monopattino è un privilegio assoluto, soprattutto ora che è estate. Ti permette di non considerare il tempo, le distanze e organizzandoti bene con i mezzi arrivi prima di chi si mette in fuga chissà da cosa in macchina. Perché è vero che i treni sono spesso in ritardo, i pullman nei paesi di provincia scarseggiano. Ma anche per strada si trovano code, imprevisti, intoppi di ogni genere. Siamo sulla stessa barca, insomma.
Mica, però, è tutto rosa e fiori (o pizza e fichi). Con il monopattino bisogna fare attenzione, spostarsi con buonsenso, un po’ come dovremmo guidare gli altri mezzi. Perché sì, ci sono quelli che viaggiano sui marciapiedi, contromano, si mettono in strada sulle trafficate tangenziali cittadine, ma se fossero al volante di una macchina, sarebbero quelli che sfrecciano a cento all’ora nei centri cittadini o che non rispettano le precedenze agli incroci. Sono le persone il pericolo, mica le ruote che decidi di avere sotto di te.
Strano a dirsi, ma da questa estate, con l’esplosione dei monopattini soprattutto in giro per le città (non poteva succedere altrimenti in un paese di tirchi e risparmiatori dopo il bonus varato dal governo) è esploso l’odio verso questo nuovo mezzo: simpatico, veloce, smart e anche di tendenza. Poco più di una bicicletta, poco meno di una bicicletta elettrica.
Un odio avvelenato anche dalla politica, perché siccome siamo in un periodo storico di crisi economica, il bonus monopattino (discutibile) pare abbia tolto incentivi a chi ne avrebbe bisogno, mica le ruberie che si fanno nei palazzi. Purtroppo l’Italia è questa, un paradosso che spesso sfiora il ridicolo. Come le notizie degli incidenti con il monopattino: basta che uno si sloghi un polso e diventa un caso, mica le centinaia di morti al giorno con le moto che se spingi il gas tra poco prendono il volo a 300 chilometri orari.
No, si odia chi si sposta in monopattino, perché qualcuno da odiare dobbiamo sempre trovarlo. E io me ne accorgo ogni giorno, pur stando sempre in modo composto dalla mia parte della strada. Ti suonano il clacson, ti mandano a quel paese, ti guardano strano dai finestrini e, quando devono sorpassarti, vedi che vanno in confusione. Ma mica è colpa di nessuno, né dei fanatici delle automobili, quelli che con buttano un terzo dello stipendio in una macchina poco più che utilitaria per fare i fighi davanti al locale il venerdì sera, né degli ortodossi della mobilità leggera. Questo è un mondo costruito per le auto, per i camion che quotidianamente violano le loro limitazioni. È un mondo dove viaggiamo su strade piene di buche, distrutte, dissestate, pericolose, rotonde che ti fanno girare la testa e una percezione del tempo sbagliata. Cioè si pensa che se si va più veloce si fa prima, dimenticandoci che non siamo da soli in giro, ma il problema – è vero – è il monopattino.
Se non è una barzelletta, svegliatemi.