Siria nel XXI secolo: tra guerra, crisi umanitaria e trasformazioni politiche
La Siria, un tempo considerata il cuore pulsante del Medio Oriente per la sua ricchezza culturale e la sua posizione strategica, è stata teatro di una delle crisi umanitarie più devastanti del XXI secolo. A partire dall’inizio del millennio, il Paese ha attraversato profondi cambiamenti sociali e politici, segnati da un periodo iniziale di stabilità sotto il regime di Bashar al-Assad, seguito dallo scoppio della guerra civile nel 2011. Dopo più di un decennio dall’inizio del conflitto, la Siria è una nazione frammentata, con una popolazione decimata e una ricostruzione ancora lontana.
Dalla stabilità autoritaria alla guerra civile
Nei primi anni del XXI secolo, la Siria era governata con il pugno di ferro da Bashar al-Assad, che aveva ereditato il potere dal padre, Hafez al-Assad, nel 2000. La sua ascesa suscitò inizialmente speranze di riforme, con un breve periodo noto come la “Primavera di Damasco”, caratterizzato da un’apertura alla società civile e al dibattito politico. Tuttavia, questa fase di apparente tolleranza venne rapidamente repressa, e il regime tornò a esercitare il suo dominio attraverso un forte controllo della popolazione, limitando la libertà di espressione e reprimendo ogni forma di dissenso.
Nel 2011, sulla scia delle Primavere Arabe, la Siria fu scossa da proteste contro il regime, che furono represse con estrema violenza dalle forze governative. L’escalation della repressione portò rapidamente il Paese in una guerra civile su vasta scala, con il coinvolgimento di numerosi attori interni ed esterni. La ribellione si trasformò presto in un conflitto complesso, in cui fazioni ribelli, gruppi jihadisti, forze governative e potenze straniere si contendevano il controllo del territorio.
Diritti civili e repressione
Il conflitto siriano ha avuto un impatto devastante sui diritti civili. Prima della guerra, la popolazione viveva sotto un regime autoritario, con severe restrizioni alla libertà di parola, di stampa e di associazione. Con lo scoppio della guerra, la situazione è ulteriormente peggiorata: arresti arbitrari, torture, sparizioni forzate e attacchi contro i civili sono diventati la norma.
Le forze governative hanno utilizzato armi chimiche e bombardamenti indiscriminati, mentre i gruppi ribelli e jihadisti hanno imposto la loro legge nei territori sotto il loro controllo, spesso violando i diritti umani in modo altrettanto brutale. La popolazione civile si è trovata stretta tra le violenze dei diversi schieramenti, con milioni di persone costrette a fuggire dal Paese o a vivere in condizioni disumane nei campi profughi.
Libertà religiosa e settarismo
Prima della guerra, la Siria era un Paese in cui diverse comunità religiose convivevano relativamente pacificamente, sebbene il regime di Assad avesse sempre favorito la minoranza alawita, di cui lo stesso presidente fa parte. Con l’inizio della guerra civile, il conflitto ha assunto una forte connotazione settaria: la maggioranza sunnita si è rivoltata contro il governo, mentre le minoranze cristiane, sciite e druse si sono spesso trovate a dover scegliere tra il sostegno al regime e la paura della persecuzione da parte di gruppi estremisti.
L’ISIS, che ha conquistato ampie porzioni del territorio siriano tra il 2014 e il 2017, ha perseguitato brutalmente le minoranze religiose, imponendo una visione estremista dell’Islam e compiendo atrocità di massa. Anche altre fazioni ribelli hanno introdotto restrizioni religiose, limitando i diritti delle donne e delle minoranze. Il risultato è stato un drastico deterioramento della libertà religiosa, con un esodo massiccio delle comunità cristiane e la radicalizzazione di alcuni settori della società.
Sicurezza e frammentazione del territorio
Il risultato è stato che, la Siria era un Paese diviso, con aree controllate dal regime, da gruppi ribelli, dalle Forze Democratiche Siriane (a guida curda) e dalla Turchia. Nonostante Assad avesse riconquistato gran parte del territorio con il sostegno della Russia e dell’Iran, la sicurezza è rimasta precaria. Attacchi terroristici, bombardamenti sporadici e scontri tra le varie fazioni hanno continuato a rendere instabile la situazione.
Le forze curde, che hanno combattuto contro l’ISIS con il sostegno degli Stati Uniti, hanno consolidato il loro controllo nel nord-est del Paese, ma devono fronteggiare sia la minaccia turca che le tensioni con il regime. Nel frattempo, milioni di sfollati interni e rifugiati siriani all’estero non sono senza una prospettiva chiara di ritorno, a causa della distruzione delle infrastrutture e della repressione politica.
Crollo economico e crisi umanitaria
Sul fronte economico, la guerra ha portato al collasso del sistema siriano. Prima del conflitto, la Siria aveva un’economia basata principalmente sull’agricoltura, sul turismo e sull’industria petrolifera. Alla fine del regime di Assad, il Paese è in rovina: la lira siriana ha perso gran parte del suo valore, il mercato del lavoro è praticamente inesistente e le sanzioni internazionali hanno reso ancora più difficile la ripresa.
La popolazione vive in condizioni di estrema povertà, con carenze di cibo, acqua e medicinali. L’inflazione ha reso inaccessibili i beni di prima necessità, mentre il sistema sanitario, devastato dal conflitto, non è in grado di rispondere alle esigenze della popolazione. Secondo le Nazioni Unite, più dell’80% dei siriani vive al di sotto della soglia di povertà, e milioni di persone dipendono dagli aiuti umanitari per sopravvivere.
Eduardo
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