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Josef Mayr-Nusser
Storie di Uomini.
Nella tragedia di una guerra devastante globale, a volte ritroviamo storie di Uomini, storie minori ma maggiori per dignità, coraggio, impegno religioso e civile, determinazione e sacrificio.
Occorre riportarle, ripresentarle, riproporle perchè il solo leggerle ci consente ci riflettere, di pensare di capire, di rimanere Uomini.
“Io non posso giurare a Hitler”.
Queste poche parole, scandite con voce ferma e ben udibile da tutti i presenti, fecero calare il gelo sul già freddo cortile interno della caserma di Konitz, nella Prussia orientale (oggi Chojnice, in Polonia).
Nella tarda mattinata del 4 ottobre del 1944, il maresciallo di turno aveva appena terminato di coordinare le prove generali della cerimonia prevista per l’indomani, durante la quale alle reclute forzate chiamate a rimpolpare le fila delle SS naziste si sarebbe chiesto se fossero pronte a “obbedire sino alla morte, giurando fedeltà e coraggio” al Führer.
A pronunciare quella frase inaudita fu un ragazzone dal volto sorridente, solare di carattere, che gli amici chiamavo “il Pepi”, arruolato forzatamente tra gli altoatesini del Tirolo.
Al comandante della compagnia, che lo chiamò a rapporto per quello che fu subito considerato un gravissimo atto d’insubordinazione, spiegò con grande sangue freddo che quel clamoroso “NO” era dettato da motivi religiosi.
Infatti lui, che della sua fede cattolica aveva fatto un credo politico e militante, non poteva certo giurare fedeltà a un sistema che riteneva anticristiano, paganeggiante e inconciliabile con la dottrina e il magistero della Chiesa.
D’altra parte, aggiunse: “se nessuno ha il coraggio di dire che è contrario alle idee naziste, non cambierà mai nulla”.
Josef Mayr-Nusser era nato ai Piani di Bolzano il 27 dicembre del 1910, quarto dei sei figli di una famiglia di contadini del maso Nusser, gente dai valori semplici e concreti, impregnati di fede autentica e genuina.
La tragica perdita del babbo durante la Grande Guerra l’obbligò fin da ragazzino a rimboccarsi le maniche, coniugando il lavoro con lo studio in giornate lunghe e faticose, in cui però raramente mancavano momenti dedicati allo sport o alla lettura, in particolare dei testi di Tommaso Moro.
La preghiera, invece, non mancava mai, come pure l’assidua partecipazione alle riunioni della “Katholische Aktion” (l’Azione Cattolica del Sud Tirolo) e della Conferenza altoatesina della Società di San Vincenzo de’ Paoli.
Che “il Pepi” fosse uno tosto che non aveva paura di andare controcorrente, lo si era capito già nel 1939 quando, in occasione delle “Opzioni dell’Alto Adige”, come cittadino di madrelingua tedesca gli fu chiesto se aderire al Terzo Reich adottando la cittadinanza austriaca oppure rimanere, mantenendo quella italiana.
Lui, senza incertezze, aderì segretamente al movimento antinazista “Andreas-Hofer-Bund” e si schierò fra i “Dablieber”, quelli cioè che letteralmente “vogliono restare qui”; come lui fece la fidanzata Hildegard Straub, una giovane ragazza con la quale Josef condivideva, oltreché l’impiego presso la stessa azienda, ideali e impegno sociale.
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Un bellissimo scatto li ritrae radiosi ed eleganti in occasione delle loro nozze celebrate il 26 maggio del 1942 e allietate l’anno successivo dalla nascita del piccolo Albert.
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Fu proprio alla sua Hildegard che Josef chiese, ottenendoli senza condizioni, il conforto e il sostegno necessari quando, dopo essere stato condannato a morte dal tribunale militare di Danzica per disfattismo, volle quasi giustificarsi con lei per averla “gettata nel dolore terreno con la mia professione di fede”, aggiungendo però che il “dovere di testimoniare era inevitabile, perché due erano i mondi che si scontravano l’uno contro l’altro”.
Infatti, “i superiori si sono dimostrati negatori e odiatori di ciò che per noi cattolici è santo e intoccabile”.
L’avvicinarsi dell’Armata Rossa accelerò i tempi della sua deportazione verso il campo di concentramento di Dachau, che però Josef non raggiunse mai.
Imprigionato con altri disperati su un treno merci piombato, spirò di fame, sete e stenti il 24 febbraio del 1945, quando il convoglio si trovava alla stazione di Erlangen.
La vigliaccheria, la carognaggine e la folle determinazione del regime nazista, ormai allo sfascio e alla disperazione, continuò fino alla fine con le inutili stragi.
La morte di “Bepi” è registrata il 24 febbraio del ’45, due mesi prima della liberazione del campo di Dachau da parte degli Alleati, il 29 aprile del ’45.
Nel Duomo di Bolzano, dove riposano le sue spoglie mortali, il 18 marzo del 2017 “il Bepi” è stato dichiarato beato.
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Il Comune di Bolzano ha intitolato una strada a Josef Mayr-Nusser.
(Testo di Anselmo Pagani e Vittorio Lino Biondi)