A proposito di Musk: una riflessione sul sistema Italia di Alberto Varetti

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L’analisi dell’amico Paolo, di ottimo stampo socio-economico, suggerisce molte riflessioni di carattere generale ed ancor più di carattere domestico, che richiederebbero un dibattito approfondito su temi che interessano tutti.

Per chi, come me, fa mestiere di occuparsi di imprese, anche per tradizione (lo Studio Varetti nel 2026 compirà 100 anni di attività), e che ha avuto la fortuna di partecipare allo sviluppo economico della c.d. Piana di Lucca nella fase del miracolo economico, i temi trattati stimolano ad alcune considerazioni tratte dal vissuto, provo ad esporle.

La prima ha a che fare con il profitto, entità tanto evanescente quanto vituperata. Già il termine – come più volte ci siamo detti con Paolo – evoca qualcosa di indegno (approfittarsi), quasi di usuraio, mentre, invece, ha etimo dal latino “proficere” e cioè farsi avanti, progredire (pro: avanti, ficere: fare), quindi il risultato di sforzi, di azioni per nulla parassitarie, insomma, non è una rendita che si ottiene senza fare.

Meglio parlare di utile, come suggerisce il nostro Codice Civile. Già… ma l’utile, se non si traduce in soldoni (quelli che volete: marenghi, fiorini, dobloni, dollari o, anche, “pezzi da otto”… purché siano “vaini”), rimane una determinazione contabile. Tanto se ne è accorto (in ritardo) il nostro legislatore societario che ora impone l’obbligo di allegare al bilancio anche il rendiconto finanziario che dimostri di quanto la cassa è aumentata o diminuita nel corso di un esercizio (di regola un anno solare). E se questa cassa c’è (i danari non si valutano, si contano) questo è quanto “spetta” all’imprenditore per la sua attività, per la sua iniziativa, per la sua azione proiettata al futuro che consiste nel prevederlo, con il rischio che i fatti non coincidano con le aspettative. Musk vuole andare su Marte, e ciò è coerente con l’“animal spirits” keynesiano, e cioè l’aspettativa di una possibile perdita definitiva viene messa da parte, così come un uomo sano di mente mette da parte l’aspettativa della morte (cito a memoria). Tuttavia, per un calcolo preciso di questo utile, dallo stesso andrebbe ulteriormente sottratto il costo del capitale investito, spesso di proprietà dell’imprenditore, ma ciò non è consentito.

Ho messo tra virgolette “spetta” perché, se il profitto non c’è, l’imprenditore non può esigerlo con decreto ingiuntivo; se ci sono perdite reiterate c’è il fallimento, c’è l’espulsione dal mercato ed in certi casi la bancarotta e le sanzioni penali.

Come ci insegna Musk la cassa generata dalla gestione, se si vuole crescere, va investita in nuove attività produttive (Aswath Damodaran, esperto valutatore USA di aziende, sostiene che il costo della giacenza di cassa non investita va considerato in diminuzione del valore aziendale).

Sì, perché la crescita è necessaria alla sopravvivenza dell’impresa, quest’ultima, se non cresce in volumi e, soprattutto, nel margine che ricava dalla vendita dei suoi prodotti, ha vita breve.

La dimensione consente un approccio forte al mercato, lo anticipa, prima che il mercato reagisca, e ciò al fine di dominarlo. Tuttavia, un mercato con un solo o pochi operatori costituisce un problema al quale le soluzioni finora adottate non hanno posto rimedio, e il problema resterà insolubile fino a quando si consentirà una stretta connessione tra lobbisti a libro paga dei produttori e politici compiacenti, e di ciò sono un cattivo esempio proprio gli States americani.

L’analisi di Paolo mette in evidenza come il tessuto socioeconomico di oltre Atlantico consenta lo sviluppo ed abbia alcune caratteristiche che non è dato riscontrare nella vecchia Europa.

Con una metafora di carattere botanico, non è possibile coltivare ninfee nel deserto o cactus in un acquitrino, fuor di metafora l’autorità pubblica ed i politici dovrebbero occuparsi di mantenere un ambiente adatto allo sviluppo economico e di garantirlo in tema di infrastrutture, istruzione, formazione, diritto, fiscalità, e via dicendo.

L’Europa ha iniziato da tempo a fornire input legislativi per riforme con le sue direttive a sostegno dell’efficienza del procedere economico e dei mercati, tuttavia, anche nelle riforme, scontiamo un pensiero arretrato; per esempio il diritto societario europeo e domestico non è nemmeno paragonabile a quello del Delaware che viene utilizzato dalla maggior parte delle company americane. Si dirà che quest’ultimo è opaco e permissivo, ed è vero, ma fra l’eccesso di modernità e l’archeologia giuridica ci dovrebbe essere una via che medi fra impostazioni su basi economico-dinamiche ed una impostazione statico-patrimonialista, a dir poco ottocentesca. Né le cose migliorano nel diritto fallimentare, nella disciplina del mercato della proprietà delle aziende, nella successione generazionale, nell’accesso al mercato dei capitali, nell’uso corretto della persona giuridica (…eppure fu un’invenzione romana). Risultato: le nostre aziende migliori, efficienti, profittevoli, innovative vengono prima o poi cedute, non solo per problemi di mancato ricambio generazionale, e vengono paradossalmente cedute, spesso, ad operatori stranieri, i quali continuano a gestirle nel nostro Paese che, per tutto quanto finora detto, non è favorevole alla loro attività, ma, evidentemente, quando il grasso cola, si possono sopportare anche le inefficienze.

Concludendo, bisogna promuovere iniziative per modificare questo stato di cose e questo è un invito che va rivolto ai giovani che, in quanto tali, hanno l’energia necessaria per una simile battaglia, perché di battaglia si tratta. Ma i migliori cervelli che il Paese ha costosamente formato emigrano, spesso oltre Atlantico.. il mezzogiorno, come dicono a Napoli, suona per tutti.

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