Altri tempi: la clamorosa beffa dell’on. Niccolai al suo partito per denunciarne l’ambiguità politica

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Doverosa premessa: il clima politico in Italia si sta incattivendo ma non è paragonabile ai terribili anni di piombo, lontani e ci auguriamo irripetibili. Lo diciamo perché il personaggio di cui trattiamo oggi risale a quei tempi, ma non c’entra per niente con la motivazione del suo ricordo; anzi, è proprio l’opposto, e infatti se ancora qualcuno non l’ha dimenticato è per una beffa clamorosa che fece al suo partito. Parliamo di Beppe Niccolai, deputato pisano del Msi, conosciuto quindi nell’intero collegio elettorale di quattro province lungo la costa, com’era allora: Livorno, Pisa, Lucca, Massa.

Cosa accadde? Era il 1988 e lui, in polemica con Almirante, ebbe un’idea: entrato in possesso di un documento del Pci che trattava di politica economica, sottopose al voto della direzione nazionale del Msi il documento stesso, e i dirigenti missini lo approvarono con entusiasmo. Niccolai, intanto, se la rideva: il suo partito aveva in comune alcuni principi di economia della sinistra! A questo punto rivelò la provocazione, e la ghiotta notizia esplose nelle cronache politiche dell’epoca (in particolare il “Corriere della sera” del 24 maggio 1988). Ovviamente venne colpito da sanzioni del Msi stesso ma lui era fatto così. Chi lo conosceva lo ha ricordato come una persona semplice che credeva nelle sue idee che evidentemente non coincidevano con i vertici del partito; una persona, dissero anche, molto legata ai valori familiari, e ai figli.

Il giornalista Luca Telese in un articolo del 2010 sul Fatto Quotidiano riporta che un intellettuale come Leonardo Sciascia, dopo aver conosciuto Niccolai nella commissione parlamentare antimafia, lo elogiò pubblicamente. Ancora Telese: in un’altra delle sue iniziative Niccolai scrisse al “Secolo d’Italia” sostenendo l’innocenza di Adriano Sofri. “Era quasi un saggio sull’odio politico (…), far fuori l’altro, lo sconosciuto, rosso o nero, rientra nella necessità di metterlo a tacere, per sempre. Il nemico, il barbaro, l’altro, a cui è tolto ogni valore, primo fra tutti quello di essere uomo”. La conclusione della lettera è ancora attuale, nel parlare di quello che andava salvato degli opposti estremismi.

Il paragone con oggi? bipolarismo all’italiana: destra e sinistra si combattono ma di fatto si sorreggono a vicenda. Le parole hanno meno valore, vince chi comunica meglio e poi spesso tradisce le attese: è diventata solo una questione di potere. “Basta con i professionisti della politica” si sentiva urlare al tramonto della prima Repubblica; il risultato è che si è allargata vistosamente la platea dei politici di professione e gli stipendi sono raddoppiati (mentre la qualità dei servizi è dimezzata). Ed è incredibile come da destra e da sinistra si propongono: soprattutto slogan e, similmente a un regolamento marinaro ottocentesco di Napoli, sembrano fare “ammuina” e cioè: “quelli che stanno a prua vadano a poppa e quelli a poppa vadano a prua; quelli a dritta vadano a sinistra e quelli a sinistra vadano a dritta; tutti quelli sottocoperta salgano sul ponte, e quelli sul ponte scendano sottocoperta, passando tutti per lo stesso boccaporto; chi non ha niente da fare, si dia da fare qua e là”. In altre parole e con un po’ di fantasia si può interpretare che dicono tutti le stesse cose a seconda se sono all’opposizione o in maggioranza.

Oggi come allora destra e sinistra si dividono più sulle parole che sui fatti e sulle strategie. Hanno molte più affinità di quello che amano ricordare: dai migranti (centri in Albania vs. detenzione in Libia) all’economia (entrambe dirigiste e pronte alla spesa pubblica fin dove ci è permesso), dalla collocazione internazionale (in entrambi gli schieramenti troviamo parti che apprezzano Trump e che sono filorusse e perfino filocinesi come anche il contrario pur restando tutti fondamentalmente – e fortunatamente – atlantiste) all’idea di macchina dello stato (in massima parte entrambi gli schieramenti sono centralisti). Non sarebbe davvero stupefacente se un emulo di Nicolai facesse uno scherzo simile a quello di allora in uno dei partiti del centrodestra o di centrosinistra.

Possiamo capire arrampicarsi sugli specchi in un periodo di crisi, però il modo di comunicare spesso è un insulto all’intelligenza di chi è ancora in attesa, da oltre trent’anni, di una classe dirigente che risolva i loro problemi. Per contro, Niccolai non amava l’Italia di chi sta alla finestra in attesa, a cose fatte, di appendervi gli scalpi di coloro che alla finestra non sono mai stati.

Lettore ’46

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