Da tempo sottolineiamo come il vero male della politica italiana sia il sistema elettorale malato: un sistema che consente ai partiti di scegliere i parlamentari ignorando programmaticamente la volontà dei cittadini.
Un male ormai antico che nasce con la legge elettorale proposta più di trenta anni fa dall’allora onorevole Mattarella (sì, l’attuale inquilino del Quirinale) che per primo introdusse un listino proporzionale da affiancare a quel sistema maggioritario che la maggioranza della popolazione aveva chiaramente indicato, con vari referendum, come il sistema desiderato.
Intendiamoci, il mattarellum (questo il nome comune che la legge ebbe in sorte in ragione del suo primo firmatario) non arrivava al livello di doppiezza e scorrettezza delle leggi che seguirono. E, probabilmente, non è neppure giusto addebitare a questa improvvida iniziativa, la responsabilità dello sfascio che seguì. Ma fu comunque un’azione tesa a tutelare i partiti dai cittadini e consentire loro di aggirare (allora solo parzialmente) la volontà elettorale. E in questo fu solo la prima di una lunghissima serie di azioni monocordi.
Da lì il sistema tracimò è di arrivò al terribile porcellum che diede ai partiti l’esiziale potere di nominare i parlamentari sottraendoli al giudizio popolare.
Inutile qui soffermarsi oltre sul punto.
Ma la buona novella citata in epigrafe è stata riportata in un pezzo del solitamente ben informato Francesco Verderami sul Corriere di alcuni giorni addietro: pare che tra Giorgia Meloni e Elly Schlein stia maturando un accordo sul rinnovo della legge elettorale. Un accordo che avrebbe per oggetto proprio l’obiettivo di riportare i parlamentari sotto il giudizio dei cittadini.
Le motivazioni sono diverse per le due leader ma con un carattere simile.
Elly ha necessità di tagliare l’erba sotto ai piedi dei caporioni del suo partito. Gente che non ha vere preferenze sul territorio ma legami profondi in quella burocrazia, anche interna al partito, che può determinare gravi problemi ai segretari e congiure di palazzo a cui il PD ci ha, purtroppo, abituato.
Giorgia ha bisogno di reclutate una vera classe dirigente per un partito che è arrivato al potere e che ha tutta l’intenzione di restarci a lungo. Ma non potrà restarci con questo personale e rischia di essere piegato ai più indicibili interessi se si apre ad una dirigenza esterna senza un adeguato filtro.
E poi c’è anche il fattore 2 a tenerle unite in questo progetto: il fattore bipolare che entrambe vedono come opportunità da non lasciar fuggire e che stabilizzerebbe entrambe le forze politiche.
La forma non è ancora decisa. Non è dato di sapere se si pensa di tornare all’uninominale (cosa assai buona) o ad un sistema proporzionale (scelta peggiore ma comunque enormemente meglio dell’attuale situazione). Né, per ora, sono noti i tempi. L’unica cosa nota è che il prezzo di questo accordo è la sospensione della riforma del premierato.
Un prezzo alto per la Meloni che, però, sarebbe compensato dal valore strategico del cambiamento in oggetto.
Immagine da Alessandro Sesti