La difficile interpretazione degli equilibri europei

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La settimana scorsa c’è stata l’elezione del presidente della commissione europea. Ursula Von Der Leyen è stata confermata Presidente della Commissione per un secondo mandato dal parlamento europeo.

Importante la compagine che la ha votata: un insieme di gruppi (partiti europei) formata da Popolari, Renew Europe e Socialisti & Democratici (ex maggioranza Ursula) con l’appoggio esterno di Verdi. Sulla porta, ma rimasti fuori i Conservatori (ECR). Espressamente esclusi i Patrioti e Sovranisti dal “cordone sanitario” da una parte e i membri de La Sinistra per pesanti veti dall’altra. Un totale di 155 seggi su 720 sono quindi considerati “non potabili” dalla maggioranza del parlamento (e ai non potabili si aggiungono 33 non schierati). Sono cioè espressione di forze che sono al margine del sistema e ritenute non responsabili.

Per ECR (la formazione a cui aderisce anche FDI) il giudizio è al limite: per Verdi, Socialisti e una parte di Renew Europe andrebbero considerati come i Patrioti; per la restante parte dello schieramento sono una forza con cui avere un dialogo e che potrebbe stare in una possibile maggioranza.

Al di là delle logiche di potere, però, il dato è che in Parlamento è forte (dal 20% al 25% comunque non contando ECR) la componente estrema, segno di uno scollamento delle istituzioni dai cittadini. Scollamento che ha una chiara origine nella confusa attribuzione delle funzioni e nell’ambivalente ruolo che i politici nazionali (un po’ in tutte le nazioni) danno al concetto stesso di Europa tra una narrazione di ineluttabilità e una prassi di malcelata insofferenza.

A parte la malattia genetica, quella della mancanza di una chiara vocazione del progetto europeo, uno dei problemi per comprendere le dinamiche interne a questa elezione è legata al bizantinismo delle istituzioni in oggetto che portano a inevitabili acrobazie politiche.

È innegabile che Socialisti e Popolari abbiamo ben poco in comune in praticamente tutti i paesi dell’unione. In effetti, quasi ovunque sono forze alternative nei rispettivi governi. Anche a livello programmatico sono molto molto distanti.

Il problema (o la soluzione) è che il voto congiunto sulla commissione non implica davvero un governo congiunto o un progetto comune. Come più volte detto da commentatori e politici, il resto della commissione non verrà definito all’interno del perimetro delle forze parlamentari che hanno votato il Presidente. E questo perché la spartizione avviene in base alle rappresentanze della Commissione che rappresenta i governi in carica delle nazioni. Né il futuro governo dell’UE (ma è poi davvero giusto rappresentare la Commissione come un governo?) dovrà avere la medesima maggioranza nelle azioni che presenterà. Anzi, assisteremo spesso a votazioni a maggioranze variabili in cui anche ECR, probabilmente, avrà un peso importante e forse persino i Patrioti o i Sovranisti.

L’Europa, con la sua governance ampollosa e multipolare, è geneticamente predisposta ad essere il luogo dei compromessi e delle mediazioni parlamentari. È disegnata come lo è, del resto, la nostra costituzione “più bella del mondo”: per impedire colpi di mano e per dare un passo lento che permetta di non perdere mai il controllo della situazione, anche a costo di ingessare il sistema fino al limite.

Detto questo, è innegabile che la Von Der Leyen abbia preferito l’asse a sinistra. Ha riaffermato, anche scontentando il proprio partito, l’opzione del Green Deal che molti dubbi ha suscitato nella scorsa legislatura. E ha innegabilmente tenuto ben più che una porta aperta alla sinistra. Nell’immediato era la tattica più sicura: allargare a sinistra non avrebbe fatto implodere il suo partito (i Popolari) ma allargare a destra (con ECR) avrebbe messo a rischio il supporto non solo di quella parte dei Verdi che era disposta a votarla ma anche di una parte dei Socialisti (di cui il PD italiano è il primo azionista). A conti fatti una semplice opzione aritmetica.

La vera domanda è se questa opzione sarà poi una scelta permanente e strutturale (come pure lo è stata nella scorsa legislatura) oppure solo un ripiegamento tattico per l’elezione stessa.

Una Meloni un po’ ferita spera nella seconda opzione; una Schelin rivitalizzata conta che sia invece la prima.

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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