L’ultimo articolo sul tema «Guerra e pace» ha suscitato reazioni contrastanti. Quindi vogliamo tornarci sopra.
Una domanda credo che sia importante: esistono guerre giuste?
Esiste, cioè, un «buon motivo» per entrare in guerra?
La domanda ne copre un’altra, non meno importante: quale tipo di vita è accettabile?
Al giorno d’oggi abbiamo svariati esempi di società con diversi gradi di benessere, di libertà e di democrazia. Si va da luoghi totalmente privi di tutte queste caratteristiche, come il Nord Corea, l’Iran o alcuni paesi dell’Affrica subsahariana, a società che garantiscono un certo livello (non sempre altissimo per tutti in verità) di benessere ma livelli bassissimi di libertà e democrazia, come la Cina e alcuni paesi del Medio Oriente, per arrivare alle nostre società europee occidentali che, con alcuni limiti, garantiscono livelli elevati di tutti e tre i benefici.
Questi benefici sono stati acquisiti in qualche secolo e per vie abbastanza tortuose. E sono stati pagati a prezzo di molto sangue e significative sofferenze.
Ne è valsa la pena? I morti che hanno pagato con la vita la conquista di questi diritti sono morti invano?
Difficile crederlo. Difficile paragonare la nostra vita con quella dei cittadini del Nord Corea. Ma anche con quella di cittadini russi o cinesi. Difficile non apprezzare la libertà di organizzare la propria vita secondo i propri sogni e obiettivi; o di poter dire quello che si vuole senza il timore di essere presi e imprigionati, picchiati, uccisi.
Perché anche la mancanza di democrazia ha un costo in termini di vite. Le cronache che arrivano da paesi come Nord Corea, Cina o Russia ci raccontano chiaramente quale si questo costo. Chi non ricorda Piazza Tienanmen? O, per tornare ad anni più recenti, quanto è successo a Hong Kong o nello Xinjiang? O quanto accade in Russia a chi la pensa diversamente da Putin; quello che accade nelle ricche società del Golfo Persico (Jamal Khashoggi); alle donne (ma anche agli uomini) in Iran; nelle dittature militari dell’Affrica Subsahariana e un po’ in tutti i paesi in cui non c’è una democrazia? Quanti morti, violenze, prevaricazioni?
Davvero non si vede quante vite umane costa la mancanza di libertà?
È difficile tenere una contabilità delle morti in questi paesi. Per ovvi motivi non è che ci siano delle statistiche ufficiali delle repressioni degli stati autoritari. Quanti morti ci vogliono per giustificare il sangue di liberi cittadini che vogliono riprendersi il loro diritto a vivere liberi?
La nostra società nasce da un brodo culturale vecchio di migliaia di anni in cui abbiamo visto e fatto cose stupende e nefandezze assolute. Ma da tutto questo abbiamo imparato che il bene più prezioso non è il benessere. È la libertà. Da cui, poi, scaturisce anche il livello più elevato di benessere che le nostre società hanno mai prodotto. E la democrazia è l’unica forma di governo che, nelle sue imperfezioni, garantisce questa libertà.
Non possiamo non essere solidali con chi lotta per mantenere la sua libertà. Non possiamo non essere vicini a chi è attaccato da un nemico che gliela vuole sottrarre.
La situazione dell’Ucraina sollecita le nostre anime. Non possiamo con leggerezza guardare persone libere che sono messe con la forza sotto il giogo di altri.
La violenza va fermata. Se possibile con la diplomazia. Se con la diplomazia non è possibile, va fermata con la forza.
Accettare lo status quo, accettare che un dittatore come Putin o Xi o gli Ayatollah, o qualche dittatore possano fare quello che vogliono non è civiltà. Al massimo è viltà. O, peggio, opportunismo e menefreghismo.
A questa linea di azione ci sono degli ovvi limiti. Non possiamo essere i cavalieri bianchi (o i cowboys) che intervengono in ogni contesto con le armi spianate. Non possiamo poi certamente intervenire negli affari interni di una nazione neppure se questa è preda di uno spietato signore della guerra (Libia docet…). E, in generale, inviare truppe sul campo è possibile solo in casi assai limitati, sotto l’egida dell’ONU o con larghe coalizioni di supporto.
Ma questo non ci esime dal fare reali sforzi per sostenere chi combatte per la sua libertà. Non possiamo voltarci dall’altra parte, magari pure coprendo questo opportunismo con il manto del purissimo pacifismo.
L’Italia non ripudia la guerra.
«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Tra queste, detto per inciso, c’è anche quel «patto atlantico» che ha consentito all’Italia di non essere aggredita da Jugoslavia e Russia negli anni bui del comunismo. Che ha garantito all’Europa di non essere attaccata dalla federazione russa. E che garantisce ancora oggi pace e sicurezza. E che prescrive che gli alleati interverranno con le armi per difenderlo, se uno dei paesi viene aggredito.
In un mondo perfetto la guerra non esisterebbe. Ma neppure le violenze, i soprusi, il male.
Ma il nostro mondo non è perfetto. E, qualche volta, la violenza è l’unico modo per fermare la violenza.
Foto di Jan Kopřiva
Credo che il nostro Paese abbia già aiutato l’Ucraina e lo stia ancora facendo dal punto di vista economico, con accoglienza di profughi e con l’invio di armi, sotto l’egida dell’Unione europea. Non sono d’accordo con un’eventuale invio di truppe, perché questo porterebbe molto probabilmente allo scoppio della terza guerra mondiale ( già allo stato strisciante come ha detto più volte il Papa) e all’olocausto nucleare, con conseguenze terribili soprattutto per gli Stati europei. Da quanto ci riferiscono gli organi di stampa, due anni fa, dopo lo scoppio della guerra, sembra che l’Ucraina non sempre abbia voluto accettare l’ipotesi di negoziati con la Russia, spalleggiata dagli Usa e dal governo britannico di Boris Johnson, entrambi forti con interessi economici e trategici in quelle zone. Ora, in vista delle imminenti elezioni del Presidente della Repubblica degli Usa , alla luce di forti motivazioni politiche ,sembra che anche l’atteggiamento degli Stati Uniti stia cambiando… Qualora fosse eletto il candidato repubblicano Trump che più volte ha dichiarato di voler liberare il suo Paese da interventi militari in Europa, Medio Oriente ecc. cosa accadrà ? allora ecco che si sarebbe dovuto trattare prima e a maggior ragione oggi, in condizioni sicuramente più difficili , anche alla luce del recente sanguinosissimo attentato di Mosca che è costato la vita a quasi 150 persone, più un numero elevato di feriti. Le vicende mondiali oggi sono molto complesse, molto più difficili rispetto a decenni e secoli fa; ecco allora che occorre sempre valutare bene le conseguenze che interventi in guerra comportano.
Commentare da parte mia questa lucida e franca messa a punto rischierebbe di offuscarne i contenuti e la portata ultima. Grazie per questo contributo che riporta la discussione sui binari richiesti dalla consapevolezza di ciò che è in discussione.
Leggo sempre con attenzione i suoi articoli in quanto apprezzo molto il suo modo di analizzare i fatti e le varie tematiche; in merito a questo articolo, però, non posso trattenere il mio totale disappunto al fatto che per “fermare la violenza occorra violenza – qualche volta”.
Personalmente, rifiuto la guerra e anche il nostro Paese la ripudia: ripudiare significa letteralmente “Rifiutare, non riconoscere più come proprio qualcosa che pur è nostro (o lo era fino a quel momento)”
L’Italia ripudia la guerra anche come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Ritengo che la costruzione della pace parta profondamente dal nostro quotidiano e che ognuno debba rinunciare a qualcosa (non è una questione di viltà o menefreghismo, anzi, bisogna sforzarsi parecchio…)
Colgo l’occasione per ringraziarla per i suoi articoli e per il confronto e i dibattitti che ne scaturiscono.
La nostra Costituzione – e pure io nel suo cono di luce – certamente condanna e rifiuta la guerra come: i) “strumento di OFFESA della libertà di altri popoli” e ii) ”mezzo di RISOLUZIONE delle controversie internazionali”. Ripudia dunque la guerra non in astratto, ma come politica attiva ed intenzionale, come strategia premeditata, non come scelta difensiva e dolorosamente compositiva di contrasti.
La guerra è la più nefasta manifestazione di patologia sociale perché coinvolge paesi e popoli nella loro interezza e non solo di chi l’ ha “voluta”. Certamente le patologie si possono prevenire (“si vis pacem para pacem” giorno dopo giorno, non esattamente la stessa cosa di “si vis pacem para bellum” che ha il solo pregio della “realpolitik”). Ma quando sono in atto e progrediscono si possono solo curare o subirne tutte le conseguenze. Di fronte ad una diagnosi di cancro ha senso rifiutare l’intervento sempre cruento e distruttivo del chirurgo? Questa mi pare la domanda di fondo posta dal contributo iniziale.