Passa da Lucca la storia di Internet in Italia e in Europa. Si deve infatti al professore Luciano Lenzini, autentico pioniere dell’era digitale in Italia. Nato a Lucca, nel 1944, precisamente a San Cassiano a Vico, Lenzini frequentò inizialmente a Lucca i tre anni della scuola professionale «Carlo Del Prete». Poi riuscì a entrare all’Istituto tecnico industriale che all’epoca aveva sede a Pisa. Successivamente, dopo aver passato un esame di ammissione, arrivò all’Università di Pisa dove si laureò in fisica il 13 marzo 1969. Un anno, quello della sua laurea, che rimarrà nella storia sia per lo sbarco del primo uomo sulla Luna (il 20-21 luglio) ma anche per il collegamento in America fra i primi due nodi della futura rete Intenet (il 29 ottobre).
Si può dire che per l’allora 25enne Luciano Lenzini furono veri e propri segni del destino.
Il curriculum di Luciano Lenzini, professore ordinario nel Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione presso la Scuola di ingegneria dell’Università di Pisa, segna le tappe del networking in Italia, in Europa e nel mondo. Dal 1970 al 1994 ha infatti lavorato presso l’Istituto CNUCE (Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Nel 1973-1974 ha lavorato sulle architetture e sui protocolli di rete presso il centro scientifico IBM di Cambridge, Massachusetts (USA). Dal 1975 al 1982 ha diretto la progettazione delle reti di elaboratori RPCNET, la prima rete nazionale a commutazione di pacchetto, e STELLA, prima rete europea via satellite broadcasting a commutazione di pacchetto. Nello stesso periodo ha proposto e diretto l’operazione che ha portato alla installazione del primo nodo Internet in Italia, quarto in Europa dopo la Norvegia, il Regno Unito e la Germania. Tale operazione, che ha consentito la prima sperimentazione di Internet in Italia, è stata attuata grazie alla cooperazione con Robert (Bob) Kahn e Vinton Cerf, i due ricercatori americani che nel 2004 hanno ottenuto il Turing Award, ovvero l’equivalente al premio Nobel per l’informatica, per l’invenzione del TCP/IP, il protocollo di Internet.
Dal 1982 al 1986 Lenzini ha proposto e diretto il progetto OSIRIDE che ha avuto per obiettivi la definizione e l’attivazione di una rete nazionale di elaboratori eterogenea conforme all’OSI. La Cooperation for Open Systems International, la più grande organizzazione OSI costituita da aziende manifatturiere di computers, inserì OSIRIDE nella lista dei sei più importanti progetti OSI a livello mondiale. All’epoca OSI sembrava destinato a superare Internet anche per il supporto delle principali aziende telefoniche.
Dal 1985 al 1987 il professor Lenzini ha diretto il Progetto Strategico Reti di Elaboratori del CNR. Delegato italiano nei comitati di standardizzazione ISO del Modello di Riferimento, è stato chairman di vari comitati internazionali (COSADOC-ESA, SEAS, Satellite Group-COST11bis, etc.). Dal 1988 al 1992 ha partecipato al progetto Space Data Network, finanziato dalla European Space Agency (ESA). Nell’ambito di tale progetto fu specificata l’architettura ed i protocolli del sistema di comunicazione tra la navicella spaziale, che in quel periodo l’ESA stava progettando, e le stazioni di terra, passando attraverso due Data Relay Satellites.
Insomma computer, reti e navicelle spaziali, proprio in linea con le speranze e le prospettive del mitico anno 1969.
«Mentre nel 1969 iniziava l’era di Arpanet che poi divenne Internet – spiega il professore Lenzini – a Pisa il CNUCE avviava il progetto REEL (REte di ELaboratori) con l’obiettivo di progettare e realizzare una rete di computer per interconnettere i centri di calcolo scientifici italiani. Nel 1974 il CNUCE passò dalla gestione dell’Università di Pisa a quella del CNR e questo cambio favorì lo sviluppo del progetto: da parte del CNR, infatti, c’era molto interesse nel poter fornire ai propri centri nazionali e alle Università questo importante servizio».
Il suo gruppo ha avuto anche la responsabilità di progettare la parte informatica, architettura e software del progetto STELLA. Di cosa si trattava?
«STELLA fu la prima rete di computer europea via satellite, in grado di trasmettere dati ad altissima velocità (2Mbps già nel 1978) tra il CERN di Ginevra ed i principali laboratori europei di fisica delle alte energie. In Italia il progetto fu possibile grazie al finanziamento dell’INFN (Istituto nazionale di Fisica Nucleare): fu questa importante istituzione scientifica non solo a mettere a disposizione i fondi necessari, ma anche a persuadere Telespazio ad installare nel cortile del CNUCE di Pisa (un palazzo antico nel cuore del centro storico, a pochi passi dalla Torre di Pisa) un’antenna parabolica del diametro di 4 metri puntata verso il satellite OTS (Orbital Test Satellite) dell’ESA (European Space Agency). Era un’infrastruttura ingombrante ma necessaria per dare corpo a questo importante progetto».
Poi si arrivò a Internet. Quando il primo ping?
«L’Italia si collegò a Internet per la prima volta il 30 aprile 1986, attraverso un gateway che si trovava all’istituto CNUCE di Pisa, in via Santa Maria, a pochi passi dalla Torre di Pisa. Lo stesso edificio per molti anni, prima come CNR-CNUCE e poi come CNR-IAT (Istituto Applicazioni Telematiche), ospitò anche la prima sede ufficiale del Registro dei domini Internet “.it”, Registro del ccTLD (country code Top Level Domain) “.it” tutt’ora gestito dal CNR, come IIT (Istituto Informatica e Telematica) presso la nuova Area della Ricerca di Pisa. Ma la strada per arrivare fino a quel risultato fu lunga. Il CNUCE aveva aderito fin dal 1980 al programma di sperimentazione di questa nuova rete di trasmissione dati promosso dalla agenzia DARPA (Defence Advanced Research Project Agency) del Dipartimento della Difesa del Governo USA. Il vero e proprio collegamento, però, avvenne sei anni dopo. Un ritardo causato prima di tutto dalla burocrazia e dalla lentezza dei processi decisionali del mondo accademico, ma anche e soprattutto dalla difficoltà a superare le barriere culturali contro il networking, il nuovo filone di ricerca che da anni si stava sperimentando con buon successo proprio a Pisa»
Chi remava contro?
«Anche gli operatori delle telecomunicazioni del tempo, che pure consideravano interessanti tali studi dal punto di vista scientifico, pensavano fossero poco rilevanti nei potenziali sviluppi per il business, che in quegli anni si concentrava sulla telefonia. Insomma nessuno riusciva ad intravedere il valore commerciale di questa nuova modalità di comunicazione e nessuno in quegli anni avrebbe potuto prevederne gli incredibili sviluppi successivi. Solo la ricerca scientifica, che per sua natura è abituata a guardare oltre la frontiera del già esistente, poteva cogliere tale sfida. Così il 30 aprile 1986 l’Italia, dopo Norvegia, Gran Bretagna e Germania, fu la quarta nazione europea a connettersi a Internet. La storia dei sei anni che passarono tra l’adesione al progetto e la sua effettiva realizzazione è segnata da incontri, ostacoli, scelte, molta burocrazia e anche da un imprevisto colpo di scena».
Cosa avvenne?
«Nel 1985 partecipai a un convegno a Washington D.C. e fui costretto ad annunciare che l’Italia era costretta a ritirarsi dal progetto Internet. In quel momento avvenne qualcosa di straordinario. Bob Kahn anticipò il coffee break e nel frattempo parlò con alcuni dei presenti. Al rientro in sala mi disse che avrebbero finanziato loro l’acquisto del “Butterfly”. Qualche settimana dopo arrivò in Italia questa grande scatola, con le dimensioni di un frigorifero, ma venne bloccata alla dogana essendo un dono del Dipartimento della Difesa americano. Ci furono problemi anche per accettare la donazione da parte del CNR. Alla fine fummo costretti a pagare un prezzo di facciata di 20/25 mila dollari. E in questa fase entrò in campo un’altra lucchese, per la precisione Loretta Bosi, originaria della Garfagnana».
Dopo aver ricordato le tappe passate ora guardiamo al futuro a quello che viene definito quantum computing e/o quantum Internet. Il professore Lenzini dal 2015 si dedica infatti a studi e ricerche proprio su quantum computing e quantum Internet. Partiamo con la definizione. Cosa significa quantum computing?
«I computer quantistici, di cui sentiamo parlare sempre più spesso, sono computer che implementano il quantum computing come modalità di calcolo. Agli inizi degli anni ottanta del secolo scorso il matematico russo Yuri Manin e il fisico teorico americano Richard Feynman proposero una modalità completamente nuova per elaborare l’informazione, una modalità in cui la computer science basa la logica di calcolo sui principi della meccanica quantistica. In particolare, Feynman voleva dare risposta a una richiesta che veniva soprattutto dai settori della fisica e della chimica: per lo scienziato i tempi di esecuzione delle simulazioni sui computer di allora erano troppo lunghi, se non addirittura geologici. Secondo Feynman questi tempi potevano diventare accettabili con la nuova modalità di elaborazione dell’informazione denominata quantum computing».
Qual è la differenza tra computer classico e computer quantistico? Perché il computer quantistico, almeno per certi tipi di calcolo, ha prestazioni decisamente superiori rispetto al computer classico?
«Nei calcolatori classici l’unità fondamentale di informazione è il bit che ormai tutti conosciamo. Un bit può trovarsi in due stati distinti, interpretati nel linguaggio aritmetico in 0 e 1. In un computer quantistico l’unità fondamentale di informazione è il quantum bit o qubit, che può trovarsi non solo nei due stati 0 ed 1 del bit classico, ma anche in una infinità di altri stati ottenuti dalla sovrapposizione (superposition) degli stati 0 e 1. Più precisamente un qubit può trovarsi, nello stesso istante, sia nello stato 0 quanto nello stato 1. Questa caratteristica del qubit ci confonde e non poco: non riusciamo a immaginare un sistema con questa proprietà. Per fortuna ci conforta la frase di Niels Bohr, uno dei padri fondatori della meccanica quantistica: se la fisica quantistica non vi confonde, allora non l’avete capita».
In effetti c’è da rimanere confusi. Ma dunque come viene realizzato un qubit?
«Esistono diverse possibilità, come ad esempio l’elettrone con il suo spin (spin up, spin down), le due diverse polarizzazioni di un fotone (orizzontale, verticale) oppure due livelli di energia discreti di un elettrone orbitante in un singolo atomo. La superposition conferisce tuttavia un grande vantaggio al quantum computing, perché permette di svolgere calcoli in parallelo, proprietà questa denominata parallelismo quantistico. Rischiando un’eccessiva semplificazione, nel tentativo di spiegare in modo comprensibile questa caratteristica della meccanica quantistica, diremo che il parallelismo quantistico rende possibile il calcolo simultaneo dei valori di una funzione. A differenza del parallelismo classico, in cui più circuiti identici (uno per ciascun valore da calcolare) vengono utilizzati simultaneamente, nel quantum computing viene utilizzato un unico circuito quantistico che calcola tutti i valori contemporaneamente sfruttando il fatto che un qubit può essere in sovrapposizione di differenti stati».
Dunque si butteranno via i computer attuali?
«No. Non tutti i problemi richiedono una computazione parallela per cui, molto probabilmente, l’avvento dei computer quantistici non comporterà l’estinzione dei computer classici. Per certi calcoli, anzi, il computer classico continuerà a svolgere un ruolo importante nella elaborazione dei dati».
Quali sono gli ostacoli per arrivare alla diffusone dei computer quantistici?
«Lo stato di un qubit è estremamente fragile: anche la più piccola vibrazione o il minimo cambiamento nella temperatura, disturbi questi che in gergo sono chiamati rumore, possono compromettere la superposition prima ancora che i qubit abbiano completato il loro lavoro. Per questa ragione i qubit vengono isolati dall’ambiente circostante ponendoli all’interno di contenitori speciali e mantenuti in luoghi costantemente refrigerati a temperature bassissime, vicine allo zero assoluto. Il tempo di sopravvivenza di uno stato quantistico in superposition rappresenta una delle sfide che gli ingegneri quantistici stanno affrontando da quando si è iniziato a costruire i computer quantistici. I tempi dei qubit attualmente esistenti sono dell’ordine dei 100 microsecondi. Esiste un progetto finanziato recentemente dal governo americano che si prefigge di realizzare qubit con un tempo di coerenza di qualche secondo. Se questo risultato venisse raggiunto, la tecnologica quantistica farebbe un balzo in avanti da gigante, aprendo scenari che coinvolgono calcoli ben più complessi di quelli che riusciamo a fare con la tecnologia quantistica attuale».
Passiamo alle possibili applicazioni del quantum computing. Cosa ci può dire?
«Partendo dall’esigenza di effettuare in tempi ragionevoli simulazioni di sistemi fisici e chimici, si è arrivati all’idea del computer quantistico che può essere impiegato per una vasta gamma di problemi computazionali non trattabili con i computer classici, tanto che il quantum computing è considerato la prossima grande rivoluzione dell’information technology».
Qualche ambito concreto?
«Tutto il mondo dell’intelligenza artificiale e del machine learning trarrà sicuramente vantaggi rilevanti dal quantum computing e di conseguenza ne beneficeranno quei settori come la medicina o la finanza che già utilizzano questi strumenti per migliorare le capacità di analisi e diagnosi dei pazienti da una parte e dei flussi finanziari dall’altra. Il quantum computing avrà inoltre un elevato impatto sui servizi legati al settore della cybersecurity. Un computer quantistico, con una potenza di calcolo notevolmente superiore a quella dei prototipi attualmente esistenti, può crackare facilmente gli attuali sistemi di cifratura (RSA) utilizzando l’algoritmo che Peter Shor ha inventato nel 1994; se è vero che ci vorranno ancora diversi anni prima che macchine del genere esistano e possano essere impiegate per tali scopi, questo darà tempo alla comunità informatica di sviluppare nuovi algoritmi e sistemi di protezione delle comunicazioni. Altra proprietà importante del quantum computing legata alla cybersecurity è il no cloning theorem: non è possibile creare un duplicato esatto di uno stato quantistico sconosciuto. Questa è una proprietà che consentirà di risolvere definitivamente il problema della sicurezza informatica, che notoriamente affligge l’attuale Internet, perché lo stato di un qubit che A invia a B non può essere mai clonato da C».
E sul fronte quantum internet?
«Una proprietà stupefacente della meccanica quantistica è l’entanglement, parola inglese che significa groviglio e che è stata introdotta da uno dei padri fondatori della meccanica quantistica, Erwin Schrödinger. Descritta da Albert Einstein come spooky action at a distance, se due qubit sono “entangled” lo stato di ciascuno di loro è intimamente legato a quello dell’altro, così che un’azione (per esempio una misura) effettuata su uno dei due qubit produce un effetto istantaneo sull’altro, indipendentemente dalla loro distanza geografica e senza la propagazione di alcun segnale tra i due qubit».
Come si spiega questo fenomeno?
«Purtroppo, una risposta non esiste ancora. La capacità di due qubit entangled di rimanere tali indipendentemente dalla loro posizione geografica sta alla base del cosiddetto teleporting, che consente di muovere lo stato dei qubit tra due computer anche in assenza di un canale di comunicazione quantistico che collega direttamente il mittente dello stato del qubit con il destinatario di tale stato. La vera magia sta nel fatto che lo stato del qubit scompare dal lato mittente per comparire dal lato del destinatario. A voler essere rigorosi, è necessario sottolineare che il teletrasporto quantistico non è istantaneo: per poter ricostruire lo stato iniziale, il destinatario deve conoscere il risultato della misura effettuata dal mittente, che viene trasmesso mediante un canale di comunicazione “classico”. Perciò il segnale non può viaggiare a velocità superiore a quella della luce. Il teleporting sarà il pilastro su cui poggerà il quantum internet che, similmente al quantum computing, promette l’apertura di nuove frontiere scientifiche e tecnologiche attualmente imprevedibili».
In Italia come siamo messi?
«Come docente dell’Università di Pisa vorrei ricordare che a Pisa, negli anni cinquanta del secolo scorso un team di ricercatori italiani progettò e costruì la CEP, il primo calcolatore italiano in grado di competere con i più potenti calcolatori allora esistenti sul mercato. Inoltre, negli anni sessanta l’IBM donò all’Italia il calcolatore 7090 che fu poi installato al Cnuce di Pisa, protagonista (tra l’altro) di importanti progetti sul networking che, il 30 Aprile del 1986 culminarono con il collegamento dell’Italia ad Internet. Questo per sottolineare, ammesso che ve ne sia bisogno, come anche l’Italia abbia le competenze per poter attuare un piano ambizioso nel settore del quantum computing e del quantum Internet».
Avvicinandosi al traguardo degli 80 anni il professore Luciano Lenzini mantiene lo spirito, la curiosità, l’entusiasmo e la passione che lo rendono sempre giovane. Conversando con lui traspare anche la vena ironica come è logico attendersi da chi risiede a Livorno, patria del celebre “Il Vernacoliere”. Nel frattempo continua a tenere lezioni su quantum computing e su quantum Internet presso l’Ingegneria Informatica dell’Università di Pisa. Ha avuto anche la soddisfazione di laureare il primo ingegnere informatico quantistico all’Università di Pisa. Conoscendo la sua preparazione di livello mondiale c’è da credere quando aggiunge che «in Italia tra i nostri studenti e ricercatori, abbiamo realmente quelle che potremmo definire delle beautiful mind, peccato che il nostro Paese se le lasci scappare».
Quali i suoi prossimi impegni da docente?
«Ho lasciato l’università a 70 anni per la pensione ma ho continuato a fare ricerca e a mantenere legami stretti con l’Università e con il mio gruppo. Per questo dal settembre prossimo farò un nuovo corso su quantum computer e quantum internet agli studenti di ingegneria informatica. In questi ultimi anni avevo curato soltanto seminari lunghi nell’ambito di corsi ufficiali per testare i vari blocchi dell’insegnamento di quantum computer e quantum internet, da settembre avrò un corso strutturato ufficiale che io terrò agli studenti di ingegneria informatica dell’Università di Pisa perché quantum computer e quantum internet fa parte dei piani di studio di ingegneria informatica. Siamo fra i primi in Italia ad avere un simile corso che è incentrato sulla programmazione, piuttosto che sulla tecnologia. Qualcosa che è diverso da quanto viene fatto nel dipartimento di fisica. È curioso pensare che trenta anni fa avviai proprio io i primi corsi su internet all’Università di Pisa».
A Lucca il prof. Lenzini torna spesso anche per tenere incontri e Lectio magistralis, anche nei licei e istituti, per esempio al «Fermi-Giorgi» (qui il link al mio video relativo all’evento: https://www.youtube.com/watch?v=JQFHdkAv8mw) oppure presso associazioni come Unidel Università dell’Età libera.
Articolo molto interessante. Credo che Lucca possa essere orgogliosa di aver dato i natali al prof. Lenzini, grande fisico e studioso. Ciò prova come le università italiane siano in grado di sfornare menti eccelse e di elaborare e sviluppare grandi progetti. Ciò dimostra anche che bisognerebbe investire sempre più sulla ricerca scientifica e tecnonologica e non costringere molti nostri validi giovani ad andare all’estero per trovare quelle soddisfazioni professionali che nel nostro Paese non trovano.
[…] aver dato i natali a chi ha portato Internet in Italia: il professore Luciani Lenzini (qui il ricordo) sarebbe stato ottimo avere ancora e sempre a IMT chi riesce a spiegare sempre più e sempre meglio […]