Viene da chiedersi come il PD abbia inteso il suo ruolo di opposizione. La polemica politica degli ultimi tempi si è limitata alla mancata approvazione del MES, alla richiesta di dissociazione dai saluti fascisti di qualche centinaio di nostalgici, alla difesa della Ferragni, alla contestazione di una finanziaria che è oggettivamente spostata sul sostegno ai redditi bassi.
Proprio sulla finanziaria, unico tema degno di qualche attenzione tra quelli che la segretaria del PD ha scelto di usare, la polemica si è poi limitata ad una generica presa di distanza con la contraddittoria contestazione da una parte di una finanziaria che non stabilizza i tagli alle tasse ai redditi bassi, visto che lo fa in deficit, e dall’altra che si doveva spendere di più in altre, tante, aree (sanità, scuola…). Il tutto evitando con cura di dire se queste spese aggiuntive di cui il paese avrebbe avuto necessità, sarebbero state fatte con nuove tasse (e nel caso tassando chi e come) o con tagli (e nel caso tagliando cosa e quanto). Una delizia di cerchiobottismo.
Poi è arrivato il momento di dover votare per l’invio di armi all’Ucraina. E l’ulteriore tentativo di cerchiobottismo finisce per far girare la testa.
La pretesa equidistanza da tutti dà la plastica immagine dell’attuale afasia del partito che fu. Ammette di fatto la mancanza di una strategia, a parte la rincorsa populista all’idea naïve e nostalgica di sinistra hollywoodiana. Quella, per capirci, per cui essere di sinistra è essere a favore dei diritti civili (dall’aborto alla procreazione assistita, dai matrimoni gay, ai divorzi lampo e via unendo opposti e contrasti) e, soprattutto, essere geneticamente più buoni.
Della sinistra di governo non rimane più nulla. Non solo sull’Ucraina non sa più che posizione tenere ma pure su Israele, su Taiwan, sull’Iran e sul terrorismo resta incapace di esprimere un giudizio chiaro e fare scelte conseguenti. Ma il problema non è neppure solo la politica estera: il silenzio è assordante anche su Ilva e su ogni idea di sviluppo economico che lo stato dovrebbe sostenere. In quest’ultimo caso, probabilmente, anche perché è oggettivamente difficile criticare da sinistra una finanziaria che sposta quasi 20 miliardi di euro sui redditi medio-bassi. Ci ha provato Calenda che, giustamente, ha fatto notare che c’è ben poco per le imprese ma è un contenuto di difficile potabilità per il PD targato Schlein.
Poi c’è tutto il grande capitolo delle riforme dello stato. A partire dalla giustizia il PD non riesce a resistere al richiamo della foresta. Trovandosi così spaccato tra parlamentari proni alla linea populista e amministratori (soprattutto sindaci) che plaudono apertamente, e in plateale dissonanza con il partito, all’iniziativa del ministro di centrodestra Nordio. Per non parlare del cerchiobottismo sulla forma di governo, dove si cerca disperatamente di redimere 30 anni di instabilità e fatica di tutti i governi (compresi quelli di sinistra) con il balsamo della costituzione più bella del mondo, del sacro ruolo del Presidente e dei suoi poteri “elastici” che, peraltro, non erano affatto previsti nell’intenzione dei padri costituenti.
La motivazione di tanta giocoleria verbale è la paura della sinistra: una paura atavica (già il PCI aveva il dogma di “nulla a sinistra”) che il movimentismo di Conte sollecita fino al parossismo. E così il PD perde anima e consensi trovandosi sempre scavalcato nell’agenda dai 5 Stelle e contemporaneamente incapace di proporre un progetto alternativo di stampo moderato. Tanto che la parola “moderato” è ormai considerata “reazionaria”.
Il punto è che la strategia non sta pagando. Il PD è incalzato sempre più da vicino da un 5 Stelle che comunque non brilla. E tutta l’area di centro-sinistra perde appeal.
Per certi versi il PD è strutturalmente il nerd della compagnia: quello che è un po’ antipatico ma che sa e dice le cose giuste: per questo viene votato. Ma se smette di dire le cose giuste resta solo quello antipatico e pure saccente. Quello che nessuno vuole. E agitarsi o beccarsi come i polli di Renzo non migliorerà la situazione.
Difficile credere che il “buen retiro” di Gubbio porterà una epifania sulla missione del partito nel nostro paese. Pare più probabile che il lupo con la pochette farà strage di galline anche non essendo presente all’assise.
Ciò che io rammento è, se ben ricordo, salvo eventuali errori, per i quali eventualmente mi scuso in anticipo, l’esordio della Segretaria PD al momento della Sua elezione, in merito a un qualcosa di detto, che non ricordo con precisione, che poteva far pensare ad un qualcosa di simile ad una patrimoniale o, comunque, a “redistribuire” per sopperire alla povertà agendo fiscalmente, se ben ricordo, sui “ricchi” o sui proprietari (compresi quelli gravati di mutuo?, per quanto questo sia per me ininfluente) di casa.
Preciso di nuovo che quanto sto scrivendo è tutto basato sulla memoria e, se ricordassi male, mi scuso.
Preciso anche che, se invece in linea di massima ricordassi bene, tale esordio non poteva certamente essere utile al consenso di quanti, ormai pur quasi poveri, e annaspanti per sopravvivere, e magari gravati da mutuo, erano proprietari di appartamento, peraltro con costi e valori catastali diversissimi a seconda di dove si nasca e si abiti e si lavori, o di qualche risparmio per le eventuali emergenze, nel sentirsi equiparati a ricconi da cui togliere per redistribuire ai “poveri”.
Poveri che, secondo me, e secondo il diritto al lavoro sancito dalla Costituzione, non dovrebbero esistere; per gli inabili a lavoro immagino, e spero, siano previste tutele specifiche.
Premesso che io ritengo che sia inaccettabile il concetto di patrimoniale per vari motivi, in primis quello per cui, una volta pagato io tutte le tasse e imposte dovute “sul reddito”, non capisco perché, poi, ciò che riviene dal mio reddito debba di nuovo essere ritassato a seconda di come io il reddito già tassato lo spenda o, eventualmente, risparmi. La Costituzione, salvo errori, tutela il risparmio e il lavoro; di conseguenza, immagino, anche ciò che da questi lecitamente rivenga.
Semmai si potrebbe aumentare, a monte, la progressività dell’imposizione sul reddito; una volta fatto questo, previsto costituzionalmente, penso che ciò dovrebbe bastare; senza ritassare chi sia in regola avendo pagato sul “reddito”, con la “patrimoniale”.
Per chi sia “ricco”, ovvero guadagni molto, ritengo che, se in regola con il fisco, ciò non dovrebbe dare adito a discussioni, talk show, o altro; è la normalità della vita: c’è chi fa lavori più remunerativi e chi meno… Se in regola con le leggi e con il fisco non vedo di cosa stupirsi o showtalkeggiare; premesso che, anche il più o meno buon gusto, cosa peraltro opinabile, sempre se in regola con le leggi, non è contemplato nel codice né civile, né penale.
Per tornare a palla, in effetti, ultimamente, mi sembra di notare che, di tali proposte di simil patrimoniali, non ne ho più sentito parlare; ma, la paura, per quanto mi riguarda, resta.
E parlo non da ricco, ma da semplice pensionato ex impiegato con mutuo sulla casa in città ove il costo della vita, e i prezzi delle case, e relativi valori catastali sono, purtroppo, abbastanza alti.
Io, più che parlare di “redistribuzione”, mi sembra genericamente e, quindi, per quanto mi riguarda concetto da me difficile da interpretare precisamente nel significato, parlerei di quella cosa prevista dalla Costituzione che è il diritto al lavoro e ad un trattamento economico che permetta una vita dignitosa. Altri Paesi parlano addirittura di “diritto alla felicità”, anche se la vedo dura, la realizzazione, anche in questi.
Quindi, più che alla “redistribuzione”, io punterei alla “normalità”: quella che vivevano, abbastanza, quelli della mia generazione, che avevano certezze poi perse nel tempo e, alle quali, io consiglierei l’opposizione, e il Governo, a mirare di nuovo per “evitare che occorra la redistribuzione rendendo tutti autosufficienti” con:
1) lavoro a tempo indeterminato e ben retribuito, onde, oltre a poter programmare, per quanto possibile, la propria vita ed il proprio futuro, anche potersi pagare contributi sufficienti per la pensione e il SSN;
2) rispetto dei tempi contrattualmente previsti all’atto dell’assunzione in relazione a “quando”, e con “quanto”, poter accedere al pensionamento ed al SSN, ripeto “come contrattato all’assunzione”, senza cambiare continuamente, quasi ad ogni finanziaria, le regole in merito ai diritti, ripeto, contrattati all’assunzione;
3) il rispetto di quanto previsto al punto 2) permetterebbe, oltre che al naturale sollievo di chi ne usufruisca, anche all’assunzione di quanti, giovani o meno, siano in attesa di assunzione per il diritto al lavoro, e lavoro che permetta una vita dignitosa; a questo proposito vorrei precisare una cosa che a me risulta, spero di non sbagliare altrimenti mi scuso, e che mi sembra a volte sottaciuta da quanti accusano che, nel passato recente, ai pensionamenti avuti non è stato di fatto, come da alcuni promesso, rilevato un aumento di assunzioni:
salvo errori, a me sembra di ricordare che, per una eccezione fatta da Bruxelles, dall’euro, in quel periodo furono come vietate le assunzioni nel settore pubblico; ho talmente solo io tale ricordo che, a volte, mi sembra di averlo immaginato!
4) il ripristino di quella che era chiamata “scala mobile”, tolta negli anni ’90, che aveva il merito di rivalutare gli stipendi in base all’inflazione.
Basterebbe già solo questo, ritorno alla normalità,
escludendo bonus vari,
per poter ridare fiducia ai cittadini ed eventuali elettori per un ritorno ad una vita normale, dove:
1) Il SSN funzioni bene – dato che è stato pagato – senza dover scegliere tra attendere mesi per una visita urgente, o anche non urgente, o ripagarla rivolgendosi ai privati;
2) poter usufruire della pensione, pagata, nei tempi e importi decenti previsti e contrattati all’assunzione;
3) vedere il lavoro come una certezza e non come una chimera, o premio ricevuto, a volte, “per fortuna” e con poche garanzie;
4) uno stato sociale ben funzionante…
5) insomma, la “normalità”.
Insomma il PD dovrebbe ritrovare quell’anima di grande partito della “sinistra italiana” che ha progressivamente perso nel corso degli ultimi anni. Dovrebbe ritornare a puntare sull’ideale
dello ” Stato sociale” anche se negli ultimi decenni del passato secolo , in seguito a politiche keynesiane adottate con superficialità, il debito pubblico è enormemente lievitato a dispetto di servizi non sempre di livello adeguato offerti al paese..
Il problema è anche , ma questo è solo un mio parere , che manca al PD , ma anche agli altri attuali partiti , una classe dirigente preparata. Nel recente passato i grandi partiti, caratterizzati da ideologie chiare e ben definite, avevano una scuola che preparava le giovani leve alla politica. Con la fine della ” Prima Repubblica” i grandi partiti del passato sono spariti, soppiantati sovente da movimenti personalistici o da una specie di partiti con programmi assai sfumati e l’attuale classe politica manca di preparazione e di competenze adeguate. Ed ecco apparire in fretta alla ribalta per poi sparire altrettanto in fretta, personaggetti urlanti di scarso rilievo che finiscono per deludere e allontare gli elettori dalle urne . Un’affluenza bassa fa sì che ci si trovi poi amministratori di basso spessore, con progressivo depauperamento del principio di Rappresentanza Democratica.
Dovrebbe ritrovarla.
E, puntando allo stato sociale, relativamente buono come quello della Prima Repubblica (d’accordo sul discorso della necessità di preparazione delle giovani leve); a mio parere si dovrebbe, però, gestire tale stato sociale non facendo pagare di nuovo, con l’ossessione per la patrimoniale e l’aumento dell’età pensionabile (il problema delle retribuzioni dovrebbe riguardare datori di lavoro e sindacati), tasse e/o imposte a chi già le abbia pagate per redistribuire togliendo, in pratica, peraltro, forse, di fatto, come spesso accade, solo ai lavoratori dipendenti, i loro diritti per redistribuire ai “poveri”, ovvero: coloro che, volenti o nolenti, non riescano a lavorare, e con lavoro che assicuri una vita certa e dignitosa, a tempo indeterminato e le dovute garanzie.
Lavorare per vivere, e non vivere per lavorare.
Barricherei la previdenza, separando l’INPS dall’assistenza e creando l’INAS, istituto Nazionale Assistenza Sociale, posto, quest’ultimo, a carico della fiscalità generale.
Invece di sventolare “redistribuzione e patrimoniali”, forse si dovrebbero attuare politiche per il lavoro, eliminando al massimo l’assistenza, messa poi, spesso, a carico solo dei dipendenti, redistribuendo a chi non lavori tagliando ai pensionati e pensionandi, invece che, ammesso che anche ciò sia giusto, alla fiscalità generale.
Non sono sicuro che l’attuare politiche keynesiane sia un errore, come non sono, peraltro, certo che queste siano state attuate nel nostro Paese. Quindi non sono certo che la colpa del debito pubblico sia delle politiche keinesiane;
a meno che si intendano politiche keinesiane i bonus vari elargiti da vari partiti di vari Governi, bonus che io vieterei come unica modifica della nostra Costituzione.
Per sostenere le fasce deboli non in grado di lavorare, e per ridurre il debito, io non vedrei altro che una soluzione, se proprio non si riesce a fare politiche atte a creare occupazione, che peraltro ho l’impressione sia soprattutto molto necessaria nel settore pubblico e per lo stato sociale, per migliorarlo in relazione a sanità, istruzione, politiche per prevenire il dissesto idrogeologico, ecc., trasformando problemi sempre più gravi in occasioni di lavoro:
– aumentare la progressività dell’imposizione fiscale Irpef, senza, naturalmente, poi, una volta attuato l’aumento, imporre anche ulteriori aggravi tipo patrimoniale; c’è da dire, però, che le aliquote nel nostro Paese sembrerebbero già abbastanza alte; e viene forse da chiedersi come mai, a fronte di ciò, i servizi poi non sembrino migliorare come ci si aspetterebbe da tali tanto alte imposizioni, anzi.
– creare una imposta di scopo sul debito pubblico, naturalmente da non pagare tutta in una volta, ma per abbassarlo gradualmente nel tempo in maniera socialmente sopportabile, e con aliquote a carico della fiscalità generale (e non solo a carico dei soliti lavoratori dipendenti, diciamo, i cui introiti, perlomeno per i garantiti, subiscono i prelievi fiscali a monte) e, soprattutto, importante, con aliquote
altamente progressive
(escludendo altre sorprese).
Pardon, errata corrige:
laddove scrivo:
“… Non sono sicuro che l’attuare politiche keynesiane sia un errore, come non sono, peraltro, certo che queste siano state attuate nel nostro Paese. Quindi non sono certo che la colpa del debito pubblico sia delle politiche keinesiane;
a meno che si intendano politiche keinesiane i bonus vari elargiti da vari partiti di vari Governi, bonus che io vieterei come unica modifica della nostra Costituzione…”
correggo in:
“… Non sono sicuro che l’attuare politiche keynesiane sia un errore, come non sono, peraltro, certo che queste siano state attuate nel nostro Paese. Quindi non sono certo che la colpa del debito pubblico sia delle politiche keynesiane;
a meno che si intendano politiche keynesiane i bonus vari elargiti da vari partiti di vari Governi, bonus che io vieterei come unica modifica della nostra Costituzione…”.
Se lecito
posterei qualche risultato della mia ricerca sulle politiche keynesiane, anche se ammetto che fatico a capire se in Italia siano scientemente mai state attuate o meno:
https://it.economy-pedia.com/11039023-keynesian-politics
Da https://it.wikipedia.org/wiki/Economia_keynesiana :
sarei comunque entusiasticamente e completamente d’accordo con questo che leggo Keynes dichiari:
“… «The same rule of self-destructive financial calculation governs every walk of life. We destroy the beauty of the countryside because the unappropriated splendors of nature have no economic value. We are capable of shutting off the sun and the stars because they do not pay a dividend.»
(IT)
«La stessa regola di calcolo finanziario suicida governa ogni passo della vita. Noi distruggiamo le bellezze della campagna perché gli splendori della natura, che non appartengono a nessuno, non hanno valore economico. Noi siamo capaci di spegnere il Sole e le stelle perché non pagano un dividendo.»
(John Maynard Keynes, National Self-Sufficiency[1])…”.
Premetto che fatico a capire ciò che forse solo un economista esperto e dedito completamente a tali teorie, peraltro senza influenze o condizionamenti personali di tipo politico, possa capire perfettamente.
Quindi, al di fuori delle politiche keynesiane o meno, e parlando in generale, spero di non sbagliare nel dire che a me sembra che, da qualche decennio, forse, certa politica abbia eccessivamente protetto, forse anche fiscalmente,
gli investimenti finanziari
rispetto ad altre politiche di chi “fa”, inteso nel senso di fare cose utili e non inutili o, addirittura, dannose, solo perché attirano i consumatori e, quindi, il mercato delle stesse va bene. Cosa che, a mio parere, sta accadendo nel caso del fare cose inutili e dannose; mentre, sempre a mio parere, vedo sempre più estinguersi il mercato di cose utili e non dannose.
Non sono d’accordo con il sig Giuseppe C. sul fatto che certa politica abbia protetto le rendite finanziarie: in Italia le rendite finanziarie sono tassate ben tre volte. Mi spiego con un esempio. Un lavoratore che va in pensione dopo aver raggiunto l’età pensionistica riceve il trattamento di fine rapporto,su cui paga le tasse ( e una). Supponendo che, essendo proprietario della propria abitazione acquistata grazie ai propri rispami e/o ad un mutuo, decida di investire quanto ricevuto. A questo punto le alternative più comuni sono due: o i titoli di Stato (Bot, CCt, Btp) le cui cedole sono tassate al 12, 5% e ovviamente aumentare l’mposta sarebbe controproducente per o stato stesso, visto che si tratta di debito pubblico,, o acquistare azioni quotate in borsa che promettono discreti dividendi , come Enel, Eni, Terna, Snam. Quando queste approvano i bilanci, sull’eventuale utile pagano allo stato una salata imposta (e due) . Parte di quanto rimane viene distribuito agli azionisti sotto forma di dividendi, tassati a loro volta del 26% ! ( e tre). Spero di essermi spiegato: alzare ancora la tassazione sulle rendite , o sarebbe più esatto dire sul risparmio, sarebbe non solo iniquo, ma anche controproducente, visto che molte delle aziende da me citate sono a maggioranza partecipate dallo stato stesso.
massimo di grazia
Ha ragione, mi sono spiegato male, ovvero, in maniera troppo generica, rispetto ai Suoi esempi.
Peraltro aggiungerei anche il caso di chi, per esempio, stipulato un mutuo al pensionamento per acquisto casa, veda sempre il suo bene, bisogno primario, (nonostante tutte le imposte e tasse pagate al momento del rogito e della stipula del contratto d’acquisto, e nonostante gli interessi sul mutuo, e nonostante che i soldi con i quali ha pagato parte del bene oggetto del mutuo e le rate dello stesso siano già stati tassati alla fonte come reddito da lavoro) a rischio di essere, eventualmente, considerato come “ricchezza” da certa politica, e RITASSATO di nuovo (solo perché impiegata in un modo invece che in un altro?) come “ricchezza” da redistribuire ai “poveri”, ovvero coloro che alcuni, eventuali, Governi, non riuscendo forse a far lavorare tali poveri con adeguate politiche che, forse, sarebbe loro compito attuare e concepire, rivendichino, quindi, patrimoniali varie per redistribuire ai poveri che non lavorano, togliendo, quindi, di nuovo, denaro con imposte patrimoniali a chi già lo abbia pagato sul reddito lavorando, a seconda di come impieghi, o risparmi, ciò che gli rimanga dopo la tassazione già effettuata.
Per rendite finanziarie, mi riferivo non all’elenco da Lei fatto, al quale aggiungerei anche l’obbligo di versare (e prelevare) lo stipendio con accredito bancario o postale legiferato, se ben ricordo, da Governo del 2011; obbligo che, sopra un minimo certo importo, comporta, di conseguenza, anche l’onere di pagare le spese relative alla tenuta del conto, in un contesto in cui alcune banche, forse facentesi forte dell’essere considerate “too big to fail”? rispetto ad altre, danno interessi che, posso sbagliare ma a me sembrano bassi, anche a fronte delle spese pagate dai clienti.
Salvo errori alcune banche argomentano che sei “tu” a dover pagare per il servizio di custodia del tuo denaro fornito, invece di pretendere, “tu”, interessi per i soldi loro disposti in custodia.
Tenga presente che io, da ex dipendente in pensione bancario, attualmente, ho un interesse di favore dello 0.05%; ha letto bene: 0,05%, anche se non pago spese per la tenuta del conto.
Questo interesse “di favore” è (nel caso migliore del 5%), 100 volte più basso del 5%, o 4%, e altri vari, relativamente più alti, tassi erogati da altre banche per conto corrente aperto presso di loro, vincolato a pochi mesi, a periodi non certo lunghi, e che permettono, comunque, non so a che condizioni, di svincolare alla bisogna. Cento volte più basso.
Perché non si è mai più proceduto alla ventilata, giusta, ipotesi della divisione in “banche” e banche d’affari” per proteggere i risparmiatori rispetto agli investitori, scegliendo invece la politica di Bruxelles, voluta più che altro, se ben ricordo, dall’Olanda, del “bailin”?
La divisione in banche e banche d’affari non avrebbe forse evitato la divisione, di fatto, tra banche considerate “too big to fail” e altre?
Per tornare a palla, per interessi sulle operazioni finanziarie mi riferivo più che altro alle operazioni di compravendita di borsa delle società non partecipate dallo Stato e, in questo contesto, ad alcuni tipi di compravendita in particolare, delle quali ho solo una confusa conoscenza e, quindi, non mi impelago a parlarne.
Anche se, per onestà intellettuale, dovrei dire che, se qualcuno può guadagnare molto col mercato azionario pagando imposte forse relativamente basse, quando ci perde molto, o tutto, lo Stato non paga certo loro interessi sulla perdita subita.
Grazie per aver risposto e argomentato.
Giuseppe C.