C’è stato un tempo, di quel tempo non rimane che qualche lontana memoria affidata a chi ha raggiunto un’età veneranda, c’è stato un tempo in cui con l’arrivo del dicembre piazze e strade di borghi paesi e città si popolavano di bancarelle. In verità bancarelle c’erano sempre state: ogni stagione aveva le sue: quelle dei dolciumi e delle chicche, quelle dei frutti della terra e quelle della più varia mercanzia.
Ma le bancarelle di dicembre avevano una fisionomia tutta particolare. Erano, a modo loro, bancarelle speciali. E così erano riguardate. E così erano attese.
Il loro arrivo valeva come l’annuncio dell’approssimarsi del Natale. Erano una specie di calendario dell’Avvento in versione casalinga. Tutti lo sapevano e tutti sapevano dare all’arrivo delle bancarelle quel lieto significato. Se poi, come ogni anno accadeva, in una mattina di quei giorni dicembrini sentivi gli zampognari che diffondevano dolci nenie avevi la certezza di vivere giorni incantati. Giorni in cui la poesia tornava a signoreggiare nei cuori:
Sono versi tratti da “Le ciaramelle” di Giovanni Pascoli che seppe trasmetterci il senso di quel tempo incantato:
Di quel miracolo che si rinnovava ad ogni dicembre le bancarelle erano protagoniste. Già al vederle sembrava che anche il freddo fosse diminuito, come se emanassero un’aria più tiepida, che invitava la buona gente, i vecchi incalzati dai bimbi, ad accostarsi alle bancarelle per fare acquisti.
Le bancarelle di dicembre portavano in vendita le figurine per il Presepe. Tutti gli anni le stesse figurine che venivano acquistate per rimpiazzare quelle che erano andate perdute o per aumentare la consistenza dei protagonisti che, in ogni casa, avrebbero riprodotto la scena della Natività: per primi i pastori con i loro greggi e poi i popolani impegnati nei loro mestieri, il fabbro al mantice, la lavandaia al pozzo, il pescatore e poi ancora i tre Magi con al seguito elefanti e cammelli. E quindi gli angeli che recano la pace agli uomini di Buona Volontà e infine la Stella Cometa che veniva posta a illuminare la capanna che avrebbe accolto il Salvatore.
Così voleva e così vuole la tradizione. Giunta a noi da secoli lontani. Dalla notte in cui nel Natale del 1223 a Greggio frate Francesco volle rinnovare l’incantesimo della Notte Santa e volle che vi prendessero parte uomini e donne ai quali era destinato il miracolo della nascita di Gesù Salvatore. Toccava a loro, che erano accorsi dagli umili casolari recando i lumi che riempivano di luce la selva, dare testimonianza della sacralità dell’evento. Lo vivevano come un dono che colmava i loro cuori di beata letizia e li predisponeva alle opere buone e misericordiose.
Fu sicuramente quello, allestito nei boschi di Greggio, il primo presepe vivente della Storia. L’inizio di una tradizione che la Storia si è incaricata di perpetuare conservando lo spirito che aleggiava per tutta quella scena: l’ansia di Giustizia e di Pace che aveva fatto muovere uomini e donne, la loro fiduciosa attesa del Figlio di Dio che nasceva in una grotta per vincere il Male del Mondo con parole e atti di Bontà e di Carità.
Nel tempo che è stato percorso da quella fredda notte dell’anno 1223 lo spirito del Presepe non si è consumato e semmai ha trovato nelle tribolazioni vissute dall’Umanità le ragioni più vere per rinverdire la sua attualità, per confermare e fortificare quella speranza di un tempo di bene promessa agli uomini dal Bambinonato nella grotta di Betlemme.
A questa speranza non possiamo, non dobbiamo rinunciare. È proprio il gran dramma dei nostri giorni che ci sollecita a viverla con lo stesso cuore degli umili popolani che parteciparono al Presepe di Santo Francesco.
Sta qui il segreto della perenne attualità del Presepe che la tradizione ha saputo conservare e rinnovare.
Fortunati quelli che nei loro anni primi hanno atteso il Presepe: sono andati alla ricerca del muschio che serviva a ricreare la scena della Natività nelle loro case dove l’intera famiglia si sarebbe ritrovata.
Ecco perché una sincera commozione ci afferra quando, arriva il tempo del Presepe e ci apprestiamo a tirar fuori dagli scatoloni ove erano state riposte le statuine del Presepe e quando, con il timore di danneggiarle, le liberiamo dalle carte dove erano state avvolte.
Meraviglioso incantesimo degli anni primi che si rinnova. Anche per queste ragioni mi sento in dovere di rivolgere un plauso ed un ringraziamento ai due Lions ed al Rotary e all’Associazione Lucchesi nel Mondo che, con l’attiva collaborazione dell’azienda Euro Marchi di Bagni di Lucca, azienda specializzata nella lavorazione delle figurine, anche quest’anno ha voluto offrirci la rappresentazione della scena della Natività allestendo un meraviglioso Presepe nel Loggiato Pretorio in piazza san Michele.
In mezzo al brillante sfavillio di luci, che vuole apparentare Lucca alle grandi metropoli, il Presepe del Loggiato Pretorio tiene bene il confronto. Più che agli occhi parla ai cuori che non invecchiano e non mutano.
È questo che vuole la Tradizione.
Bello ricordare la tradizione del presepe, leggendo mi veniva in mente quando da piccolo con mio padre andavamo a fare la borraccina o muschio sui poggi umidi per fare il fondo del presepe, lo fatto anche con mio figlio. Grazie Professore, fa bene ogni tanto transitare nei ricordi.